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AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine615-644

Page 615

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 12 settembre 2006, n. 29907 (ud. 30 maggio 2006). Pres. Gemelli - Est. Canzio - P.M. Esposito (conf.)Ric. La Stella.

Misure cautelari personali - Procedimento applicativo - Applicazione congiunta di misure coercitive - Fuori dei casi espressamente previstiInammissibilità.

L'applicazione cumulativa di misure cautelari personali può essere disposta dal giudice soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, di cui agli artt. 276, comma 1, e 307, comma 1 bis, c.p.p. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 276; c.p.p., art. 307) (1).

    (1) Nell'affermare il suesposto principio di diritto, la Corte ha altresì precisato che non è ammissibile l'imposizione "aggiuntiva", ad una misura coercitiva, di ulteriori prescrizioni non previste dalla legge. Le SS.UU. aderiscono all'orientamento giurisprudenziale prevalente che viene esaurientemente rappresentato in motivazione. Di opposto tenore alcuni precedenti che hanno ammesso la possibilità del cumulo in quanto trattamento meno afflittivo consentito in virtù del principio del favor libertatis. Si veda, in tal senso, la citata Cass. pen., sez. VI, 24 maggio 2004, Milloni, in questa Rivista 2005, 1405.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Nicola La Stella ha proposto ricorso per cassazione contro l'ordinanza 13 luglio 2005 del Tribunale della libertà di Milano, con la quale era stato confermato il provvedimento della Corte di appello che, su conforme richiesta del P.G., in seguito all'istanza dell'imputato di essere autorizzato ad allontanarsi dal domicilio per accedere alla piscina comunale in orario domenicale per un'attività riabilitativa, aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari, imponendogli gli obblighi congiunti di presentazione alla polizia giudiziaria e di dimora, con il divieto di allontanarsi dall'abitazione nelle ore notturne. Ha ritenuto, infatti, il Tribunale che la legge processuale non esclude l'applicazione cumulativa di due misure non custodiali, tra loro compatibili, laddove esse risultino - come nella specie - adeguate a salvaguardare le concrete esigenze cautelari, in sostituzione della più grave misura custodiale.

Con un primo motivo di ricorso il difensore dell'imputato deduce che la sostituzione della misura degli arresti domiciliari è stata disposta dalla Corte d'appello senza che egli l'abbia richiesta; con il secondo motivo censura l'ordinanza impugnata sotto entrambi i profili della violazione di legge, poiché l'applicazione congiunta di due misure è prevista solo nei casi regolati dagli artt. 276 e 307, comma 1 bis, c.p.p., e del difetto di motivazione, avendo l'ordinanza impugnata illogicamente ritenuto che il nuovo regime cautelare fosse meno afflittivo del precedente.

La sezione V della Corte, assegnataria del ricorso, rilevato che la censura articolata dal ricorrente, con riguardo al tema dell'applicazione congiunta di misure coercitive, postula l'esame di questioni sulle quali si registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, ne ha rimesso con ordinanza dell'1 febbraio 2006 la decisione alle Sezioni Unite, richiamando, da un lato, l'indirizzo interpretativo secondo il quale la possibilità del cumulo, essendo diretta ad evitare l'adozione di misure custodiali altrimenti indispensabili, sarebbe consentita in virtù del principio del favor libertatis, e dall'altro l'opposto orientamento che considera preclusa, in tutti i casi in cui non sia espressamente prevista da singole norme processuali, l'applicazione congiunta di misure coercitive che pure siano tra loro astrattamente compatibili.

Con successivo decreto il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l'odierna udienza in camera di consiglio.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il primo motivo di ricorso, attinente alla mancanza di un'espressa richiesta dell'imputato di sostituzione della misura degli arresti domiciliari, si palesa privo di pregio perché la Corte d'appello di Milano, che procedeva al giudizio di appello nei confronti dello stesso per il reato di bancarotta, per un verso era tenuta a deliberare sull'autonoma richiesta di applicazione delle meno gravi, ma congiunte, misure dell'obbligo di presentazione e di dimora, formulata ex art. 299, comma 4 bis, dal Procuratore Generale, al quale era stata comunicata l'istanza dell'imputato di variazione delle modalità applicative dell'originaria misura coercitiva, e comunque era legittimata a provvedere «anche di ufficio», ai sensi dell'art. 299 comma 3 c.p.p., alla revoca o alla sostituzione in melius della misura cautelare personale.

  1. - Con riguardo alla violazione di legge denunziata con il secondo motivo di ricorso, le Sezioni Unite, registrandosi nella giurisprudenza di legittimità un perdurante e radicato contrasto interpretativo, sono chiamate a risolvere la questione «se l'applicazione cumulativa di misure coercitive sia sempre consentita, ovvero possa essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge».

    Secondo un primo indirizzo (Cass., sez. V, 14 aprile 2000, n. 2361, Goglia, RV 216543; sez. VI, 30Page 616 marzo 2004, n. 23826, Milloni, RV 230000), l'applicazione congiunta di misure coercitive, che siano tra loro compatibili, deve ritenersi ammessa anche fuori dalle ipotesi disciplinate dagli art. 276 (provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte) e 307 (provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini), posto che la legge impone l'adozione del trattamento meno afflittivo, tra quelli idonei ad assicurare le esigenze cautelari del caso concreto, e la combinazione tra i vincoli derivanti da più misure, avendo effetto ampliativo delle possibilità offerte al giudice, consente di rinunciare ai più incisivi provvedimenti custodiali, altrimenti necessari, così rispondendo al più generale favor libertatis.

    L'opposto e prevalente orientamento sostiene invece, in ossequio al principio di legalità e tassatività delle misure cautelari personali, che, al di fuori dei casi in cui sia espressamente prevista da singole norme processuali (artt. 276, comma 1, e 307, comma 1 bis, c.p.p.), non è ammessa l'applicazione simultanea, in un mixtum compositum, di due diverse misure cautelari tipiche, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili, quali ad esempio il divieto di espatrio, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e il divieto o l'obbligo di dimora ex artt. 281, 282 e 283 c.p.p. (Cass., sez. II, 29 novembre 2001 n. 641/02, Colella, RV 221151; sez. IV, 15 maggio 2003, n. 34380, Zazzaro, RV 226016; sez. III, 4 maggio 2004, n. 37987, Mosca, RV 230025; sez. IV, 23 febbraio 2005 n. 32944, Pagliaro, RV 231725).

    Le Sezioni Unite ritengono di condividere la ratio decidendi delle sentenze risalenti a quest'ultimo, più rigoroso, orientamento giurisprudenziale per le seguenti considerazioni di ordine logico-sistematico.

  2. - Il progetto di riforma del codice di procedura penale del 1978 stabiliva, con l'apposita disposizione dell'art. 265 (limite alla cumulabilità delle misure), che «salvi i casi previsti dalla legge, una stessa persona non può essere sottoposta contemporaneamente a più di una misura». La rigidità di tale regola era peraltro attenuata, prevedendo singole norme l'applicazione congiunta, in via di eccezione, del divieto di espatrio con ogni altra misura coercitiva (art. 269 comma 4), nonché del divieto o obbligo di dimora con l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 271 comma 5) e con l'obbligo di rimanere in una determinata abitazione (art. 272 comma 2). Inoltre, in caso di violazione del divieto di espatrio, il giudice poteva disporre «una o più» tra le altre misure, mentre in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte con queste ultime poteva solo disporsi «una misura più grave».

    Nella medesima ottica del principio di adeguatezza delle misure cautelari personali, l'art. 282 del c.p.p. 1930, secondo l'ultima formulazione ad opera dell'art. 43 L. 5 agosto 1988, n. 330 e quindi pochi mesi prima dell'approvazione del nuovo codice di procedura penale, consentiva al giudice, «anziché emettere il mandato di cattura», di disporre l'applicazione di «una o più» delle misure coercitive diverse dalla custodia cautelare, quali la prestazione di cauzione o malleveria, l'obbligo di presentazione periodica all'autorità di polizia giudiziaria e il divieto o l'obbligo di dimorare in un dato luogo, se le stesse apparivano sufficienti a tutelare nel caso concreto le esigenze cautelari indicate nell'art. 253.

    Ben diversa si prospetta, invece, la regolamentazione del fenomeno nel nuovo codice di rito del 1988.

    Non è confermata la regola preclusiva dell'art. 265 del progetto riformatore del 1978 (Relazione al Progetto preliminare, p. 73), ma neppure è dato rinvenire alcuna disposizione che, almeno nella fase genetica di applicazione delle misure cautelari personali, ne preveda espressamente la cumulabilità, configurandosi da parte del legislatore solo una specifica ipotesi di contaminazione dei tipi nella «più blanda» figura della misura domiciliare di cui all'art. 283 comma 4 c.p.p., quale prescrizione «minore e accessoria» all'obbligo di dimora (Relazione al Progetto preliminare, p. 74).

    Nel sottolineare inoltre che l'art. 275 c.p.p., indicando i «criteri di scelta delle misure», declina queste sempre al singolare - «ciascuna», «ogni», «ogni altra» -, sembrando evidenziare l'intento legislativo di fare riferimento ad una misura coercitiva per volta e non all'applicazione cumulativa delle stesse, non appare priva di significato la circostanza che l'applicazione della misura «aggiuntiva» del divieto di espatrio a una delle altre misure coercitive exart. 281, comma 2 bis, che non era prevista dall'originaria disciplina codicistica, sia stata frutto della sopravvenuta interpolazione normativa ad opera dell'art. 9, comma 1, del D.L. n. 306 del 1992, conv. in L. n. 356 del 1992: disposizione, questa, dichiarata peraltro...

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