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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 31 ottobre 2006, n. 36267 (c.c. 30 maggio 2006). Pres. Torquato - Est. Milo - P.G. Esposito (conf.)Ric. P.M. in proc. Spennato.

Misure cautelari personali - Condizioni di applicabilità - Gravi indizi di colpevolezza - Chiamata in correità - Riscontri individualizzanti - Necessità.

Ai fini dell'adozione di misure cautelari personali, le dichiarazioni rese dal coindagato o coimputato del medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato possono costituire grave indizio di colpevolezza, ex art. 273, commi 1 e 1 bis, c.p.p., soltanto se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano sorrette da riscontri esterni individualizzanti, sì da assumere idoneità dimostrativa in relazione all'attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la relativa valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento de libertate e, quindi, allo stato degli atti, cioè sulla base di materiale conoscitivo ancora in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 273) (1).

    (1) Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in ordine all'interpretazione dell'art. 273 c.p.p. come novellato dal'art. 11 della legge n. 63 del 2001, in particolare sotto il profilo se, ai fini della gravità indiziaria richiesta dai commi 1 e 1 bis del predetto articolo, la chiamata in correità ritenuta intrinsecamente attendibile debba essere confermata da riscontri individualizzanti. Sul punto si sono formati, in sede di legittimità, ben tre distinti orientamenti giurisprudenziali dei quali si dà ampiamente conto in parte motiva.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Il Tribunale di Lecce, decidendo in sede di riesame ex art. 309 c.p.p., con ordinanza 13 agosto 2005, annullava la misura della custodia cautelare in carcere adottata, il precedente 21 luglio, dal Gip dello stesso Tribunale a carico di Luigi Spennato, indagato per concorso nel duplice omicidio di Cosimo e Fabrizio Toma, commesso il 18 maggio 2000 (capo J), nella rapina in danno di Negro Salvatore e della Banca del Salento di Botrugno, commessa il 28 aprile 2000 (capi A1, B1, C1, D1), nella rapina in danno della gioielleria di Marcellino Antonio, commessa il 21 giugno 2000 (capi H1, I1, J1), nella rapina in danno di Zecca Vincenzo e della gioielleria di Piccinni Pasquale, commessa il 28 aprile 2000 (capi E1, F1, G1), nella rapina in danno di Carrieri Tonino, commessa l'11 settembre 2000 (capi K1, L1).

Il giudice del riesame dava atto che il quadro indiziario a carico dell'indagato era costituito essenzialmente dalla chiamata in correità operata dal collaboratore di giustizia Vito Di Emidio, esponente di spicco dell'associazione criminale denominata «Sacra Corona Unita», il quale, dopo avere riferito in ordine all'organigramma di tale sodalizio di stampo mafioso e alla variegata attività criminosa allo stesso riferibile, aveva confessato di aver preso parte direttamente ai delitti summenzionati, nei quali aveva concorso anche lo Spennato, attribuendo al medesimo, con specifico riferimento al delitto di omicidio, il ruolo di avere fornito indicazioni sui movimenti delle due vittime e di avere così consentito la realizzazione del piano delittuoso (agguato teso sulla strada Casarano-Collepasso).

Riteneva che tali propalazioni, in quanto dettagliate, coerenti e logiche, erano intrinsecamente attendibili ed avevano trovato riscontri esterni, con riferimento alle modalità oggettive di esecuzione degli illeciti, negli accertamenti espletati dalla polizia giudiziaria e nelle dichiarazioni di alcuni testimoni. Escludeva, invece, l'esistenza di riscontri individualizzanti, idonei cioè a confermare l'attendibilità del dichiarante in ordine al concorso dello Spennato negli illeciti. Precisava, quanto al duplice omicidio, che altri due collaboranti, tali Rizzo e Pantaleo, avevano riferito de relato sulla vicenda, ma nessun cenno avevano fatto circa il coinvolgimento nella stessa dello Spennato, né dall'esame dei tabulati relativi alle utenze telefoniche mobili intestate all'indagato e a suo fratello Gianluca erano state rilevate chiamate nella fascia oraria del giorno in cui era stato consumato il duplice omicidio (per informare - secondo la versione del collaborante - gli esecutori del delitto sui movimenti delle due vittime), con l'effetto che la chiamata in correità rimaneva isolata, priva del necessario riscontro individualizzante e, quindi, non idonea ad integrare la gravità indiziaria richiesta per legittimare l'adozione della misura cautelare; quanto alle rapine «Negro- Banca del Salento» e «Zecca-Piccinni», la situazione non era diversa, considerato che il collaborante Laneve, concorrente in tali illeciti insieme al Di Emidio e a tali Orlando e Tanisi, pur dichiaratosi in grado di riconoscere la quinta persona che vi aveva partecipato, della quale aveva presente i tratti somatici, aveva risposto negativamente alla ricognizione fotografica dello Spennato; quanto alle rapine in danno del Marcellino e del Carrieri, nessun collaborante aveva indicato lo Spennato come concorrente, sicché il suo in- Page 42 serimento tra gli autori di questi ultimi illeciti era stato frutto di una svista.

  1. - Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Lecce, con riferimento alle sole imputazioni di omicidio e di rapine commesse il 28 aprile 2000, e ha dedotto:

    a) mancanza di motivazione in ordine all'apprezzamento e alla valutazione di alcuni dati di fatto che riscontrerebbero la chiamata in correità: turni di servizio di De Micheli Elisa (madre dello Spennato), ausiliaria presso l'ospedale di Casarano, ove Cosimo Toma si sottoponeva ad una terapia riabilitativa e da dove effettivamente il giorno 18 maggio 2000, poco prima di rimanere vittima del mortale agguato, era uscito dopo avere partecipato all'ultima seduta fisioterapica; ingiustificata assenza dello Spennato dal posto di lavoro presso il calzaturificio «Filanto» di Casarano nei giorni 28 aprile e 18 maggio 2000, date di consumazione rispettivamente delle rapine e del duplice omicidio; accertamenti positivi in relazione all'intestazione a nome della De Micheli di una autovettura «Renault Clio», che, secondo il collaborante, sarebbe stata utilizzata dallo Spennato per raggiungere la zona dell'ospedale e controllare i movimenti del Toma;

    b) violazione di legge quanto alla valutazione dei c.d. riscontri esterni, ai quali andava attribuita la sola funzione di conferma dell'attendibilità intrinseca del chiamante in correità, non essendo richiesta la loro diretta riferibilità al thema probandum, né tanto meno la consistenza di autonoma prova di colpevolezza.

  2. - La difesa dell'indagato ha depositato memoria, con la quale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto, evidenziando che, a seguito della legge n. 63 del 2001, la chiamata in correità deve essere, anche ai fini cautelari, corroborata da riscontri esterni di carattere necessariamente individualizzante.

  3. - La prima sezione penale di questa Corte, con ordinanza 21 dicembre 2005, rilevato il contrasto giurisprudenziale in ordine alla interpretazione dell'art. 273 c.p.p., così come novellato dall'art. 11 della legge n. 63/2001, ha rimesso la decisione del ricorso a queste Sezioni Unite.

    Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza in camera di consiglio.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - La questione portata all'attenzione delle Sezioni Unite può essere così sintetizzata: «se, ai fini della gravità indiziaria richiesta dall'art. 273, commi 1 e 1 bis, c.p.p., la chiamata in correità ritenuta intrinsecamente attendibile debba essere confermata da riscontri individualizzanti».

    Il problema, in sostanza, è di stabilire il grado di conferma che la chiamata in correità o in reità deve ricevere per giustificare l'adozione della misura cautelare personale e, conseguentemente, di individuare la consistenza, il grado di specificità e soprattutto l'oggetto dei c.d. riscontri esterni, se cioè questi debbano riguardare soltanto il fatto nella sua oggetività o anche la riferibilità soggettiva di esso.

  4. - Il tema, sia pure in un diverso contesto normativo, venne affrontato e risolto dalle Sezioni Unite, con la sentenza 21 aprile 1995 (ric. Costantino), a superamento di un contrasto insorto nella giurisprudenza della Suprema Corte in ordine ai criteri di valutazione della chiamata in correità, quale grave indizio di colpevolezza ai fini cautelari.

    Tale pronuncia, inquadrata la questione nel più generale problema della operatività o meno, in sede cautelare, delle regole generali in tema di valutazione della prova (art. 192 c.p.p., in particolare commi 3 e 4), ne esclude, sulla base di una interpretazione eminentemente letterale, l'applicabilità e individua nell'art. 273 c.p.p. la norma di riferimento esclusiva per la valutazione della chiamata di correo ai fini dell'adozione della misura cautelare, con l'effetto che «la rilevanza della chiamata in correità o in reità... deve essere apprezzata alla stregua dell'art. 273, che impone la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza».

    Riassuntivamente, la sentenza «Costantino» afferma il principio che le dichiarazioni accusatorie del coindagato o dell'indagato di reato connesso o interprobatoriamente collegato, in quanto fonte di dubbia affidabilità per la provenienza da soggetto non del tutto disinteressato, devono essere comunque sottoposte - anche in ambito cautelare - ad un vaglio critico particolarmente rigoroso, nel senso che alla verifica dell'attendibilità intrinseca (per precisione, coerenza, spontaneità, disinteresse) deve fare seguito quella dell'attendibilità estrinseca, mediante l'individuazione degli opportuni riscontri, che, per costituire la risposta necessaria alla peculiarità della fonte, non...

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