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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 22 dicembre 2006, n. 42294 (ud. 29 novembre 2006). Pres. Foscarini - Est. Di Tomassi - P.M. Galati (diff.) - Ric. Ferretti.

Notificazioni in materia penale - All'imputato non detenuto - Domicilio dichiarato o eletto - Formalità - Dichiarazione di domicilio contenuta nell'atto di nomina del difensore e da questi autenticata - Validità - Assimilabilità a dichiarazione trasmesso con raccomandata - Fondamento.

È da ritenere valida, ai fini di cui all'art. 62 c.p.p., la dichiarazione di domicilio contenuta nell'atto di nomina del difensore, da questi ritual- mente autenticato e depositato agli atti del procedimento, offrendo tale modalità di presentazione garanzie ancora maggiori di quelle offerte dalla trasmissione a mezzo raccomandata, prevista come mezzo di comunicazione dal citato art. 162 c.p.p. (C.p.p., art. 162) (1).

    (1) Anche per Cass. pen., sez. I, 30 marzo 2006, Rossi- gni, pubblicata per esteso in questa Rivista 2006, 481, deve ritenersi validamente effettuata la comunicazione dell'avvenuta elezione di domicilio, da parte dell'imputato, presso il difensore, anche nel caso in cui l'atto contenente detta elezione, con sottoscrizione autenticata dal difensore, venga da quest'ultimo presentato direttamente nella cancelleria del giudice procedente anziché essere spedito per posta, come previsto dall'art. 162, comma 1, c.p.p. Di opposto tenore Cass. pen., sez. III, 29 gennaio 1999, Boscotrecase, ivi 1999, 436, secondo la quale l'elezione di domicilio è atto a forma vincolata da compiersi esclusivamente secondo le modalità indicate nell'art. 162 c.p.p. e Cass. pen., sez. V, 20 dicembre 1996, Orefice, ivi 1997, 516, per la quale l'elezione di domicilio è un atto personalissimo che deve essere compiuto in maniera espressa dall'imputato nelle forme previste (dichiarazione espressa raccolta a verbale o telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autentica) e non può essere surrogato neanche dalla dichiarazione fatta dal difensore in udienza, sia pure in presenza dell'interessato, non essendo possibile desumere dal silenzio dell'imputato l'assenso implicito alla dichiarazione di elezione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Bologna confermava la sentenza 16 novembre 1988 del Tribunale di Rimini, che aveva dichiarato Antonio Ferretti responsabile del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione in riferimento al fallimento della Srl Ferfin dichiarato il 20 gennaio 1992, condannandolo, in concorso di attenuanti generiche, alla pena di due anni di reclusione, con le pene accessorie di legge.

Il fatto addebitato al Ferreti ai sensi degli artt. 216 e 223 della legge n. 267 del 1942 consisteva nell'avere, quale institore al 12 marzo 1990 [e sostanzialmente dominus della società: p. 3 sentenza impugnata], distratto attività pari a circa 11 milioni di lire risultanti dal conto cassa e 60 milioni di lire di merce non rinvenuta al momento dell'inventario (in tal modo precisati dalla corte d'appello i fatti ritenuti dimostrati).

  1. - Ricorre il Ferretti per mezzo del proprio difensore impugnando assieme alla sentenza, della quale chiede l'annullamento, l'ordinanza dichiarativa della contumacia pronunziata dalla corte d'appello nel corso dell'udienza del giorno 8 luglio 2007.

    2.1. - Con il primo motivo, riferito a detta ordinanza, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p. la violazione degli artt. 179 comma 1, 161 comma 1, nn. 1 e 4, e 157 c.p.p.

    Sostiene il ricorrente che erroneamente la notificazione per il giudizio d'appello sarebbe stata effettuata al difensore ai sensi dell'art. 161, n. 4, c.p.p., affermando che a tale forma poteva ricorrersi solo nel caso dell'impossibilità della notificazione al domicilio indicato al comma 1 del medesimo articolo (eletto o determinato) e che nel caso di specie non v'era alcuna dichiarazione di domicilio, tale non potendo ritenersi la indicazione della residenza anagrafica dell'imputato contenuta nell'atto «di nomina» inviato con raccomandata alla procura della Repubblica e depositata nell'ufficio del giudice dell'udienza preliminare il 22 novembre 1996, cui aveva fatto riferimento la corte d'appello con l'ordinanza impugnata. Peraltro nel luogo predetto abitava solamente la madre dell'imputato, erroneamente ritenuta convivente, e la notificazione a mani della stessa, effettuata il 13 giugno 2005, e richiamata dalla corte d'appello mancava della dicitura «persona capace». Il giudizio di secondo grado sarebbe stato perciò viziato da nullità insanabile.

    2.2. - Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera d), c.p.p., la mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, già maturata alla data della pronunzia della sentenza impugnata, risultando i fatti contestati come commessi fino al 12 marzo 1990.

    2.3. - Con il terzo motivo il ricorrente denunzia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera d), c.p.p., il vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità sulla scorta (sostanzialmente) delle sole dichiarazioni rese da tale Manuela Fabbri in una querela immediatamente (dopo due mesi) rimessa, erroneamente ritenute attendibili.

    Osserva inoltre il ricorrente che la Fabbri era stata originariamente indagata assieme al Ferretti e la sua Page 318 posizione era stata archiviata. La stessa aveva dunque ampio interesse a «scaricare» sul Ferretti ogni responsabilità, e non poteva comunque essere assunta come teste. Le sue dichiarazioni, oltre che interessate e perciò inattendibili, erano perciò anche inutilizzabili. Quanto alla relazione del curatore fallimentare, essa non costituiva riscontro alla Fabbri perché si limitava a fare proprie, reiterandole, le dichiarazioni di quella.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il primo motivo è manifestamente infondato.

    Come ha esattamente osservato la corte d'appello risulta dagli atti che la citazione a giudizio è stata notificata all'imputato non già ai sensi dell'art. 161, comma 1, n. 4 (come si deduce) bensì nel luogo della sua residenza a mani della madre.

    Nella relata si legge che essa era «capace e convivente». Ed è principio consolidato che - attesa l'implicita indicazione della sussistenza delle condizioni che legittimano la consegna che assiste la relazione dell'ufficiale giudiziario o dell'ufficiale postale e che istituisce una presunzione, seppure iuris tantum, di ritualità della notifica - spetta alla parte che ne contesti la legittimità dimostrare che l'atto è stato consegnato a persona che, per un qualsiasi motivo, non poteva riceverlo. Sicché sul punto la censura, per la sua genericità e per l'assenza di argomenti specifici, è pure palesemente inammissibile.

    La dichiarazione del luogo di propria residenza contenuta nell'atto di nomina di difensore costituiva valida dichiarazione di domicilio ai sensi dell'art. 162 c.p.p.

    La natura di atto personale a forma vincolata della dichiarazione (o dell'elezione di domicilio) concerne, secondo ratio e funzione della norma, la riconducibilità all'imputato della relativa manifestazione di volontà. La forma da rispettare ad substantiam è dunque, secondo la regola di disciplina dell'art. 162 c.p.p., la dichiarazione a verbale o, diversamente, l'autenticazione della sottoscrizione dell'atto, diretto all'autorità che procede, che contiene tale dichiarazione. La disposizione dello stesso art. 162, comma 2, secondo cui la dichiarazione e l'elezione di domicilio devono essere «comunicate» con telegramma o lettera raccomandata, concerne invece, all'evidenza, soltanto la trasmissione a distanza. Essa non regola in alcun modo, né vieta, la presentazione diretta, e non può esser intesa come una tassativa prescrizione di forma, dal momento che la spedizione per raccomandata offre garanzia certamente minore rispetto alla presentazione mediante deposito ad opera del difensore, o dello stesso imputato o di loro incaricati, circa l'identificazione dell'autore del documento, servendo soltanto ad evitare ogni possibile contestazione sulla esistenza del documento stesso e a conferirgli data certa. Le forme di comunicazione mediante telegramma o raccomandata indicate dalla norma non solo sono dunque riferibili esclusivamente alla trasmissione a distanza, ma devono comunque considerarsi prescritte ad probationem tantum. Sicché quando la dichiarazione del proprio domicilio, ritualmente autenticata, risulti depositata e allegata al fascicolo processuale, come è nel caso di specie, risulta comunque raggiunto, dal momento dell'allegazione agli atti, lo scopo voluto dalla norma (cfr. Cass., sez. V, 15 dicembre 2005, Perna e altro, non massimata sul punto).

    E ciò a prescindere dal rilievo che, secondo principi già consolidati sotto la vigenza dell'art. 171 del codice del 1930, il vizio della notificazione conseguente alla irrituale designazione del domicilio dichiarato non potrebbe essere validamente opposto - non vertendosi in ipotesi di mancanza di notifica - dalla stessa parte che vi ha dato causa, ex art. 182 c.p.p.

    Tali considerazioni valgono tanto più quando, come nel caso in esame, per effetto delle precedenti notificazioni effettuate e mai «contestate» (citazione a giudizio in primo grado, notificazione della sentenza del tribunale poi appellata) il domicilio poteva altresì ritenersi determinato ai sensi dell'art. 161, comma 2, secondo periodo, c.p.p.

  2. - Manifestamente infondato è anche il secondo motivo con il quale si deduce l'intervenuta prescrizione presupponendo che essa decorra dai singoli episodi distrattivi contestati, mentre la data di consumazione del reato di bancarotta pacificamente coincide con quello della dichiarazione di fallimento.

  3. - Inammissibile perché volto a prospettare censure di fatto, relative all'apprezzamento del materiale probatorio, e manifestamente infondato, perché articolato con riferimento a situazioni che non trovano riscontro negli atti, è infine il terzo motivo: tutto...

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