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@Corte di cassazione Sez. un., 18 settembre 2006, n. 20076. Pres. Carbone - Est. Settimj - P.M. Iannelli (parz. diff.) - Bertazzoni (avv. Ermini) c. Condominio Villaggio Panetta 1 in Davoli Marina.

Competenza civile - Competenza per territorio -Cause condominiali - Foro competente - Individuazione - Criteri - Art. 23 c.p.c. - Applicabilità alle sole cause tra condomini - Esclusione - Cause tra condominio e condomini relative al pagamento degli oneri condominiali - EstensioneSussistenza.

La previsione dell'art. 23 c.p.c. (per la quale la cognizione delle cause tra condomini è devoluta al giudice del luogo in cui si trova la cosa comune) deve trovare applicazione non solo alle controversie che si instaurano tra condomini in ordine alla proprietà o ad altri diritti inerenti alla disponibilità e all'uso della cosa comune, ma anche a quelle sulle obbligazioni nascenti pro-quota a carico dei singoli condomini dalla loro partecipazione alla comunione, sicché territorialmente competente è sempre e comunque il foro speciale tra condomini, quale norma in deroga rispetto al foro generale di cui agli artt. 18 ss. c.p.c. (C.p.c., art. 23) (1).

    (1) La pronuncia in epigrafe risolve la divergenza di opinioni che trae origine da tre pronunzie (Cass. 10 gennaio 2003, n. 269, in questa Rivista 2003, 321; Cass. 1 marzo 2000, n. 2249, ivi 2001, 74 e Cass. 11 dicembre 1993, n. 12208, ivi 1994, 303) postesi in contrasto con quanto espresso da Cass. 20 agosto 2002, n. 12274, ivi 2002, 715 e Cass. 16 agosto 1993, n. 8734, ivi 1994, 83.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Giovanni Bertazzoni ha convenuto il Condominio Villaggio Panetta n. 1 di Davoli Marina innanzi al Giudice di pace di Catanzaro, con opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti da quell'ufficio per la somma di lire 485.024 ex adverso pretesa quale quota di pertinenza d'oneri condominiali, eccependo, preliminarmente in rito, l'incompetenza per territorio del giudice adìto, sulla considerazione che questa dovesse essere determinata con riferimento al luogo ove trovasi, non già l'ufficio dell'amministratore, ma l'immobile condominiale, e contestando, nel merito, la propria qualità di condomino in relazione ai contributi richiesti e la regolarità della costituzione del condominio.

Ne ha deciso il Giudice di pace di Catanzaro, con sentenza 25 febbraio 2000, respingendo dapprima l'eccezione in rito, sul rilievo che nella città aveva domicilio l'ufficio del condominio cui affluivano tutti i pagamenti delle quote condominiali, e quindi quelle nel merito.

Detta pronunzia Giovanni Bertazzoni ha impugnato con ricorso per cassazione affidato a due motivi, nel primo dei quali ripropone la questione di competenza denunziando la violazione dell'art. 23 c.p.c.

Discussa la causa innanzi alla seconda Sezione civile, questa, con ordinanza 28 settembre 2005, ha rimesso la causa al Primo Presidente, avendo rilevato un contrasto d'orientamenti, tra le sezioni semplici ed interno alla medesima sezione, sulla questione se la previsione dell'art. 23 c.p.c., per la quale la cognizione delle cause tra condomini è devoluta al giudice del luogo in cui si trova la cosa comune, debba trovare applicazione alle sole controversie sul diritto di proprietà od altri diritti inerenti alla disponibilità ed all'uso della cosa comune, ovvero debba essere estesa anche a quelle sulle obbligazioni nascenti pro quota a carico dei singoli condomini dalla loro partecipazione alla comunione.

La causa è stata, quindi, assegnata a queste SS.UU. per la soluzione del contrasto.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Come questa Corte ha già avuto occasione d'evidenziare con una pronunzia che già espone, sulla base d'una disamina complessiva dell'istituto alla luce anche della prevalente giurisprudenza, tutti i criteri interpretativi necessari ad una corretta applicazione della normativa in materia (Cass. 18 aprile 2003 n. 6319), nel vigente codice di procedura civile, con il quale il legislatore s'è impegnato a realizzare coerenti indirizzi di politica giudiziaria, la competenza per territorio prevede un foro generale ed una serie di fori speciali e la ratio di tali previsioni risiede, quanto all'uno, nell'opportunità che le persone fisiche e giuridiche siano chiamate a comparire innanzi al giudice del luogo nel quale è per loro meno oneroso convenire, quanto agli altri, nell'opportunità di prescindere dalla regola generale in funzione del maggior vantaggio che entrambe le parti possano conseguire nel radicare la lite innanzi al giudice del luogo in cui è collocato l'oggetto dei contrapposti interessi, oppure delle particolari esigenze di determinati procedimenti in relazione agli oggetti od ai soggetti.

Quanto ai fori speciali, atteso il fatto stesso che sono individuati, con riferimento ad una specifica loro utilità, in via d'eccezione rispetto alla regola costituita dal foro generale, devesi ritenere, per il principio genus per speciem derogatur, che siano configurabili dal legislatore come prevalenti rispetto al foro generale; inoltre, non essendo per essi prevista la facoltà di scelta alternativa viceversa espressamente consentita Page 32 rispetto al foro generale per le cause relative ai diritti d'obbligazione, devesi ritenere, per il principio ubi lex dixit voluit, ubi non dixit noluit, che sia stato loro attribuito il carattere dell'esclusività.

In definitiva, la statuizione del foro speciale esclude sia il foro generale sia quello alternativo.

Ex art. 23 c.p.c., costituisce foro speciale quello per le cause tra i soci e tra i condomini che, per i sopra richiamati principi, prevale rispetto al foro generale e costituisce un foro esclusivo, insuscettibile di deroga in favore di fori alternativi rimessi alla scelta dell'attore in base a diversi criteri territoriali di collegamento, onde le controversie de quibus devono proporsi, necessariamente, davanti al giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi.

Alla previsione della norma in esame, per la prevalente giurisprudenza, vanno ricondotte tutte le ipotesi di comunione ex art. 1100 c.c. e non solo quella dei condomini d'edificio diviso per piano o porzioni di piano (Cass. 18 febbraio 1999 n. 1365; 30 ottobre 1998 n. 10863; 1 luglio 1996 n. 5967; 1 marzo 1994 n. 2026; 16 agosto 1993 n. 8734).

Presupposto per l'applicabilità della stessa è, ovviamente, che sia l'attore sia il convenuto abbiano la qualità di condomino in relazione ai «beni comuni» o alla «maggior parte di essi» che si trovino nel luogo ove va incardinato il giudizio; non di meno, sempre per la giurisprudenza prevalente, anche le controversie che insorgono tra l'amministratore del condominio ed il singolo condomino in ordine all'attività di gestione della cosa comune e, particolarmente, alla riscossione dei contributi dovuti da ciascun condomino in ragione della sua partecipazione alla comunione, vanno considerate alla stregua delle liti tra condomini e, quindi, regolate, quanto all'individuazione della competenza per territorio del giudice destinato a conoscerne, dalla disposizione dell'art. 23 c.p.c. (oltre alla già richiamata, Cass. 5 novembre 2004 n. 2172; 20 agosto 2002 n. 12274; 1 marzo 1994 n. 2026; 16 agosto 1993 n. 8734; 24 agosto 1992 n. 9828).

Ciò in quanto, l'attività dell'amministratore del condominio volgendosi in due diverse direzioni, id est nei confronti dei terzi per conto dell'intero gruppo dei condomini e nei riguardi dei singoli partecipanti alla comunione, va in essa ravvisata una diversità di posizioni giuridiche riconducibili, rispettivamente, ai rapporti esterni ed a quelli interni alla sfera condominiale, nei quali ultimi, relativi anche alla riscossione dei contributi condominiali della quale si discute, rappresentando l'amministratore in tale attività gli altri condomini in ragione d'un mandato con rappresentanza, caratterizzato da tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione del rapporto ed al contenuto «sociale» della gestione, la controversia proposta è in definitiva una lite tra condomini.

Né alla tesi prospettata può utilmente opporsi il dato testuale del riferimento normativo ai «beni comuni» ed alle cause «tra condomini» per ritenere che il legislatore abbia inteso includere nell'art. 23 c.p.c. le sole controversie aventi ad oggetto l'uso delle cose comuni e quelle di carattere reale fra condomini.

Invero, l'argomento letterale sul quale essa precipuamente si fonda, ossia il fatto che l'art. 23 c.p.c. faccia riferimento alle «cause tra condomini» e non a quelle tra condominio e condomini, è del tutto fallace, poiché una siffatta distinzione non ha alcun senso ove si consideri che il condominio, a differenza dalla società, non è un soggetto dotato di una propria personalità, sia pure attenuata, o di una propria autonomia patrimoniale rispetto ai soggetti che ne fanno parte, ma si configura come gestione collegiale d'interessi individuali facenti capo a questi ultimi, onde il suo amministratore - la...

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