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AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine701-718

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. un., 20 settembre 2010, n. 33885 (ud. 24 giugno 2010). Pres. Gemelli – Est. Conti – P.G. Palombarini (diff.) – Ric. Giuliani ed altra

Indagini preliminariChiusuraArchiviazioneEfficacia preclusiva in assenza del decreto di riapertura delle indaginiPortata.

Il provvedimento di archiviazione determina nei confronti dello stesso ufficio del pubblico ministero una preclusione endoprocedimentale che inibisce, in assenza del decreto di riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p., non solo la ripresa dell’attività investigativa e le iniziative cautelari, ma lo stesso esercizio dell’azione penale, con riferimento allo stesso fatto-reato oggetto del provvedimento di archiviazione. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 409; c.p.p., art. 414) (1)

(1) Le SS.UU. si conformano a quanto già affermato in precedenza da Cass. pen., sez. un., 1 giugno 2000, Finocchiaro, pubblicata per esteso in questa Rivista 2000, 905. In motivazione i giudici hanno anche statuito che non può attribuirsi alcuna efficacia preclusiva al provvedimento di archiviazione governato dalla disciplina del codice di rito del 1930, la cui minore “stabilità” non imponeva la necessità di un formale provvedimento di riapertura delle indagini.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Con la decisione in epigrafe, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza in data 29 aprile 2003 del Tribunale di Roma, appellata da Salvatore Giuliani e Luciano Petrone, condannati, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di anni tre di reclusione ed euro 250 di multa ciascuno, oltre al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede, in favore della parte civile Sandro Zito, in quanto responsabili del reato di cui agli artt. 110, 629 primo e secondo comma, in relazione all’art. 628 ultimo comma, c.p., perché, in concorso tra loro, agendo in più persone riunite, costringevano lo Zito, tenendolo chiuso dentro un locale per alcune ore e mediante minacce per la sua incolumità fisica, a cedere a Giulia Milesi De Bazzichini la propria quota della società “Pub” s.r.l. che gestiva un esercizio pubblico (in Roma, il 28 luglio 1989).

  2. La Corte di appello riteneva infondato il motivo proposto da entrambi gli imputati circa la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 414 c.p.p. per avere il p.m. esercitato l’azione penale relativamente a fatto per il quale era stata in precedenza disposta l’archiviazione (nella specie, decreto di non doversi promuovere l’azione penale emesso dal Giudice Istruttore a norma dell’art. 74 c.p.p. 1930), senza previa autorizzazione del G.i.p. alla riapertura delle indagini.

    Osservava al riguardo, in adesione a un orientamento giurisprudenziale (citando Cass., sez. III, n. 43952 del 2004), che l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. per lo stesso fatto già oggetto di provvedimento di archiviazione, in mancanza di un decreto di autorizzazione del g.i.p. ex art. 414 c.p.p. non invalidava l’azione penale, comportando solo la sanzione di inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti, nella specie insussistenti, “essendosi il processo sviluppato interamente nella fase dibattimentale”.

    Dovevano poi rigettarsi gli ulteriori motivi dedotti dagli appellanti.

    La responsabilità penale era stata correttamente affermata sulla base delle dichiarazioni della persona offesa Sandro Zito, confermate da quelle, sia pure de relato, dei fratelli di questo, Silvana e Fabio Massimo nonché da quelle confessorie, rese al p.m., da Edoardo Ughetti, marito di Silvana Zito, successivamente deceduto, che aveva riferito circa la condotta minacciosa del Giuliani e del Petrone nei confronti dello Zito al fine dell’acquisizione della gestione della s.r.l. “Pub”.

    La pena era stata determinata a livello del minimo edittale e le attenuanti generiche erano state correttamente valutate equivalenti alla contestata aggravante.

  3. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori.

  4. L’avv. Cristiana Venturi Bernardini, difensore del Giuliani, denuncia, con un unico motivo, la nullità della sentenza di appello per violazione degli artt. 161, 171, 185 c.p.p., dato che all’imputato, invitato nel corso delle indagini “a eleggere domicilio”, non venne dato, come desumibile dal relativo verbale, il prescritto avvertimento che, in caso di mutazione del domicilio, sarebbe stato suo onere darne comunicazione all’autorità procedente e che in mancanza le notificazioni sarebbero state eseguite mediante consegna al difensore a norma dell’art. 161 comma 1 c.p.p.

    Trattandosi di nullità assoluta ed essendo l’imputato rimasto contumace, da essa derivava la nullità degli atti consecutivi; e il giudice di appello avrebbe dovuto dichiararla, rimettendo gli atti al giudice che procedeva al momento in cui la nullità si era verificata.

  5. L’avv. Giosuè Bruno Naso, difensore del Petrone, denuncia, con un primo motivo, la nullità della sentenza in relazione agli artt. 414 e 178 comma 1, lett. b), c.p.p.,Page 702 osservando che la Corte di appello, nell’assumere che la mancanza del decreto di autorizzazione alla riapertura delle indagini non invalidava l’atto di esercizio dell’azione penale, aveva ignorato la giurisprudenza delle Sezioni unite, che in due pronunce (sent. Finocchiaro e sent. Romeo), in adesione alla sentenza della Corte cost. n. 27 del 1995, avevano affermato che in mancanza del decreto ex art. 414 c.p.p. è inibito al p.m. sia lo svolgimento dell’attività investigativa sia l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto oggetto del provvedimento di archiviazione.

    Nel caso di specie, altro magistrato del medesimo Ufficio del P.m., sulla base di una irrituale sollecitazione della persona offesa e di una mera “rilettura” delle emergenze investigative, aveva esercitato l’azione penale in mancanza di un provvedimento di autorizzazione del G.i.p.

    Con un secondo motivo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale, rilevando, in primo luogo, che la Corte di appello, nel valutare attendibili le dichiarazioni della persona offesa, non aveva tenuto conto dei puntuali rilievi mossi dall’appellante alla sentenza di primo grado; la quale, del resto, aveva riconosciuto che la testimonianza dello Zito “non era coerente in tutti i passaggi”, divergendo dalla originaria denuncia su due punti fondamentali della vicenda, l’uno afferente alla circostanza della contestata sottoscrizione da parte del Giuliani di una scrittura contenente una sorta di confessione stragiudiziale, l’altro relativo alla mancata menzione nella denuncia dello Zito dell’asserito “sequestro di persona” da parte del Petrone.

    Tali circostanze inficiavano l’attendibilità della versione della persona offesa, aspetto che non poteva essere superato dalle interessate dichiarazioni dei suoi fratelli, de relato dalla stessa fonte.

  6. I ricorsi venivano assegnati alla Seconda sezione penale, che, con ordinanza emessa all’esito della udienza del 26 febbraio 2010, e depositata il 19 marzo 2010, ne ha rimesso la trattazione alle Sezioni unite, a norma dell’art. 618 c.p.p., rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale circa la questione, sollevata nel ricorso dell’imputato Petrone e ritenuta estensibile ex art. 587 c.p.p. all’altro imputato ricorrente, in quanto non esclusivamente personale, relativa alle conseguenze dell’omessa richiesta da parte del p.m. del decreto di riapertura delle indagini.

    L’ordinanza evidenzia che, nel caso di specie, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione della notizia di reato contenuta nella denuncia della persona offesa per il delitto di estorsione aggravata nei confronti del Petrone e del Giuliani e che, successivamente, il medesimo P.m., previa nuova iscrizione della stessa notizia di reato - identica nei profili soggettivi e oggettivi - e rinnovata valutazione degli stessi fatti, aveva richiesto il rinvio a giudizio, senza prima sollecitare la riapertura delle indagini e senza svolgerne di nuove.

    Si osserva al riguardo che la giurisprudenza di legittimità ha espresso sul punto due diversi orientamenti, l’uno per il quale la mancanza del decreto di riapertura determina soltanto l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi all’emissione del provvedimento di archiviazione, l’altro secondo cui, sulla falsariga della pronuncia interpretativa di rigetto della Corte costituzionale (sentenza n. 27 del 1995), il decreto di riapertura delle indagini integra una condizione di procedibilità, il cui difetto impedisce l’esercizio stesso dell’azione penale.

    Si osserva ancora che le Sezioni unite, con la sentenza n. 9 del 2000, Finocchiaro, pur componendo un contrasto che si era determinato lungo le direttrici appena sopra indicate, non avevano chiarito se l’effetto preclusivo si verifichi anche quando l’azione penale, non rimosso il decreto di archiviazione, sia esercitata senza essere preceduta da nuove indagini; e che, secondo altro orientamento, l’efficacia preclusiva ha per oggetto la notizia di reato e non il fatto e impedisce la “prosecuzione della fase procedimentale” ma non la “definizione giuridica dell’imputazione”, in sostanza limitando gli effetti della mancata riapertura delle indagini alla sola inutilizzabilità degli esiti delle indagini svolte dopo l’archiviazione, con esclusione della più radicale conseguenza dell’improcedibilità dell’azione.

  7. Il Presidente Aggiunto, con decreto del 30 marzo 2010, assegnava il ricorso alle Sezioni unite penali, fissando per la sua trattazione l’odierna udienza pubblica.

    MOTIVI DELLA DECISIONE

  8. La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente:

    “Se la mancata emissione del decreto di riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p. comporti, con riferimento allo stesso Ufficio del pubblico ministero che aveva richiesto e ottenuto il provvedimento di archiviazione, la...

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