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AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine543-549

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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. un., 22 giugno 2010, n. 23909 (ud. 27 maggio 2010). Pres. Carbone – Est. Rotella – P.M. Febbraro (diff.) – Ric. P.O. in proc. Simoni ed altro

Indagini preliminari – Chiusura – Archiviazione – Ordinanza di prosecuzione delle indagini – Nuova richiesta di archiviazione – Opposizione della P.O. – Poteri del giudice – Individuazione.

Nel caso in cui il pubblico ministero riproponga richiesta di archiviazione all’esito delle nuove investigazioni disposte a seguito del mancato accoglimento della precedente richiesta opposta dalla persona offesa, il giudice può provvedere sulla stessa con decreto, senza dunque obbligo di instaurare nuovamente il contraddittorio incidentale, qualora la persona offesa non abbia nuovamente presentato opposizione ovvero quando quest’ultima risulti inammissibile. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 408; c.p.p., art. 409; c.p.p., art. 410) (1)

    (1) Sulle problematiche risolte dalla pronuncia in epigrafe si vedano le differenti posizioni in precedenza sostenute dalla giurisprudenza di legittimità, citate in motivazione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La persona offesa del procedimento per diffamazione nei confronti di Luciano Simoni e Vincenzo Trapella, Davide Zanardi, ricorre tramite difensore contro decreto di archiviazione in data 25 settembre 2008 del Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Ferrara.

Il Gip ha accolto la richiesta di archiviazione, ripetuta dal pubblico ministero dopo lo svolgimento di indagini suppletive, indicategli nell’ordinanza consecutiva all’udienza camerale seguita ad una prima opposizione della stessa persona offesa che, ricevuto l’avviso della nuova richiesta, l’ha riproposta. Stavolta ha ritenuto irrilevanti, perché già svolte, le indagini indicate con la nuova opposizione ed infondata la notizia di reato perché, come sostenuto dal P.M., si è in presenza di esercizio del diritto di critica politica.

Il ricorso deduce: a) violazione del principio del contraddittorio, perché l’oggetto delle investigazioni suppletive di cui all’art. 410, primo comma, c.p.p. può riguardare anche un’integrazione, nella specie richiesta; b), perché il Gip, riportandosi alle argomentazioni del P.M., ha omesso di considerare che la notizia, pubblicata nel periodico “un Po nel Delta”, è smentita dalle stesse indagini suppletive; c) il Giudice, reiterata la richiesta di archiviazione, presentata all’esito delle indagini suppletive e di nuova opposizione della persona offesa, avrebbe dovuto fissare l’udienza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 409, secondo comma, c.p.p., per valutare in contraddittorio i risultati di tali indagini.

La successiva memoria richiama in particolare le sentenze secondo le quali “il giudice, prima di provvedere sulla seconda richiesta di archiviazione, ha l’obbligo di instaurare il contraddittorio in udienza camerale”.

La Sezione V, preso atto del ricorso e delle conclusioni di inammissibilità del Procuratore Generale, in ordinanza del 29 gennaio 2010, ha rilevato che l’ultimo motivo pone questione preliminare, perché sentenze della sez. I, n. 1203/96, Maimone; sez. II, n. 842/95, Riccia, n. 43913/03 P.O. in proc. Fortunato, RV 227333; sez. V, n. 23899/02, Quatela ed a.; sez. VI, n. 2174/98, Cardella, RV 211791; n. 2318/00, P.O. in proc. Negro, RV 220551; n. 40691/06, P.O. in proc. Tollari, RV 235551 e n. 21988/06, P.O. in proc. Ballarani, hanno nel caso affermato la necessità di fissazione di nuova camera di consiglio.

Rilevato contrasto di giurisprudenza, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. È questione “se, dopo l’espletamento delle indagini disposte in esito al non accoglimento, su opposizione della persona offesa, di una prima richiesta di archiviazione, il giudice per le indagini preliminari, riproposta dal pubblico ministero la richiesta di archiviazione, sia tenuto a fissare l’udienza camerale o possa provvedere con decreto”.

    1.1. Le sentenze citate nell’ordinanza di rimessione formano un indirizzo che afferma, per ragioni confluenti ma non concordi, l’obbligo del giudice per le indagini di fissare nuova camera di consiglio, dopo che il pubblico ministero ha compiuto le indagini disposte in prosecuzione nel termine fissato con ordinanza ai sensi dell’art. 409, quarto comma, c.p.p.

    La citata sez. I, Maimone ha sottolineato il diritto della persona offesa, riportandosi a sentenze della Corte costituzionale, n. 413/94 (che estendeva la facoltà di opposizione al rito pretorile) e n. 88/91 (v. oltre). Ed ha affermato che, già instaurato il contraddittorio, non è necessario che la persona offesa rinnovi l’opposizione (nello stesso senso le citate sez. VI, Ballarani e Tollar e da ultimo Pian, n. 40113/09, RV 244560).

    Altre sentenze (cfr. le citate sez. VI, Cardella e Negra, Sez. V, Quatela; Sez. II, Fortunato, nonché sez. IV, Ignoti, n. 3494/04, RV 229835) hanno ritenuto invece necessariaPage 544 la nuova opposizione. Ma sez. VI, Ouiai, n. 2100/98, RV 211957 ha rimarcato che il giudice deve comunque provvedere con ordinanza.

    1.2. In senso contrario si ritiene, per ragioni di sistema, che il P.M. debba ripetere l’avviso alla persona offesa, che può riproporre opposizione per nuovo contraddittorio, che il Gip può dichiarare inammissibile ed archiviare per decreto (art. 410, secondo comma c.p.p.).

    Diversamente, spiega la sentenza Gismondi (sez. V, n. 2825/01, RV 218831), si e- sproprierebbe il P.M. delle sue scelte discrezionali ed il giudice del controllo di legalità.

    La Nannarone (sez. VI, n. 4229/97, RV 210310), rifacendosi a S.U. Testa n. 2/96, esige la nuova opposizione concreta e specifica per l’ulteriore prosecuzione delle indagini, escludendo che possa replicare nel merito. E la Iaselli (sez. IV, n. 2009/02, RV 220790) sottolinea che i margini della dichiarazione di inammissibilità sono nel caso più ampi perché, già discusso il tema delle nuove indagini da svolgere, il Gip può motivatamente ritenerne la completezza e superfluo proseguirle. Nello stesso solco si pongono sez. II, n. 26675/03, Abbagnato (RV 225162) e sez. IV, n. 34405/03, Basile (RV 225718).

  2. Per risolvere il contrasto, rileva anzitutto la diversa lettura dell’obbligo di esercizio dell’azione penale nel Codice vigente, rispetto a quello preesistente alla Costituzione.

    Il rito inquisitorio prevedeva che il pubblico ministero, in alternativa alla propria istruzione sommaria, chiedesse nei casi complessi al giudice di svolgere quella formale. Formulata invece richiesta di archiviazione, secondo l’art. 74, secondo comma, c.p.p. 1930, il giudice istruttore poteva disporre con ordinanza di proseguire lui le indagini. La norma era ritenuta rispondente all’art. 112 Costituzione, perché la richiesta d’archiviazione del pubblico ministero era intesa per diritto vivente forma residua di esercizio dell’azione penale.

    La Corte costituzionale, difatti, affermò l’intangibilità del principio di “obbligatorietà dell’azione penale” da parte del pubblico ministero, volta ad assicurare l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, in sentenza n. 84/79 che, occupandosi di norme (L. 378/1865) che attribuivano azioni penali ad organi diversi, le ritenne sussidiarie o concorrenti.

    Mutato il rito, la Corte ha riaffermato il “principio d’intangibilità” in sentenza n. 88/91 (cit. in Cass. sez. I, Maimone) che, nel ritenere legittimo il dettato dell’art. 125 D.P.R. 271/89 (Disp. att. c.p.p. 1988), premette che il rito accusatorio, teso ad evitare la “superfluità del processo”, affida al giudice per le indagini il controllo che il pubblico ministero non si sottragga all’obbligo di esercizio di azione penale per “mera inopportunità”.

    Qui si rileva che, esclusa la fictio che unificava le opposte iniziative del P.M. nel rito inquisitorio, la concisa lettera dell’art. 112 Cost. ha consentito al legislatore del’88 di invertire l’economia del processo. L’art. 50 del Codice difatti reca: “il pubblico ministero esercita l’azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta di...

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