Quando si contesta la quantificazione del contributo di bonifica

AutoreMarco Bertoncini
Pagine353-355

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Quando ci si occupa di contributi di bonifica, la Stella polare è rappresentata dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione 14 ottobre 1996, n. 8957 e n. 8960 (in questa Rivista 1996, 683). Il principio è terso, proposto più volte dalla stessa Cassazione e accolto pacificamente dalla giurisprudenza sia tributaria sia civile: «Non rileva il beneficio complessivo che deriva dall’esecuzione di tutte le opere di bonifica, destinate a fini di interesse generale; non rileva il miglioramento complessivo dell’igiene e della salubrità dell’aria; occorre un incremento di valore dell’immobile soggetto a contributo, in rapporto causale con le opere di bonifica (e con la loro manutenzione). Concludendo, il beneficio deve essere diretto e specifico, conseguito o conseguibile a causa della bonifica, e cioè tradursi in una “qualità” del fondo.»

In questo articolo intendiamo trattare un aspetto di solito pretermesso sia in dottrina sia nella giurisprudenza, vale a dire la quantificazione del contributo. In effetti, i procedimenti di solito tendono a trattare dell’esistenza o dell’assenza del beneficio; quando esso sia riscontrato esistente, viene di solito applicata la quantificazione derivata dal piano di classifica, sulla base di indici generali. È corretta questa impostazione?

Partiamo, appunto, dalla Cassazione. Il bene deve aver goduto un incremento di valore. Deve, cioè, aver avuto, in un tempo A, un valore X che, valutato nel tempo B dopo l’esecuzione di opere di bonifica o in conseguenza della manutenzione delle stesse, sia divenuto Z = X + Y. Se il bene continua a valere X, ciò significa che non si è registrato alcun aumento di valore fondiario Y e che, in applicazione di quanto statuito dalla Suprema Corte, non può esservi un conseguente beneficio e dunque, conclusivamente, non può applicarsi alcun contributo di bonifica. L’espressione «incremento di valore» non consente altra lettura se non l’individuazione di un aumento, riferito all’immobile de quo, nel rispetto della specificità sancita dalla Cassazione.

Tale specificità riguarda tanto le opere che arrecano beneficio, quanto il fondo che il beneficio riceve. La «qualità» invocata come caratteristica non concerne in generale i terreni, gli immobili, l’aria, l’ambiente, bensì proprio il singolo fabbricato, con tutte le sue individualità. Pertanto un immobile collocato in montagna può trarre un beneficio astrattamente ridotto rispetto ad un altro immobile sito in pianura. Un appartamento collocato ad un piano basso riceve, ictu oculi, un beneficio maggiore di uno collocato ad un piano alto dello stesso edificio. Ciò, appunto, per rispetto della singolarità del beneficio, della sua specificità. Occorre, quindi, individuare singolarmente il beneficio, non in astratto e in maniera indifferenziata. La specificità impone che la quantificazione del contributo sia correttamente riferita al beneficio dell’immobile de quo.

Ogni fabbricato esistente nel comprensorio consortile prima che s’inizi l’esecuzione delle opere pubbliche di bonifica può aver conseguito, da tale esecuzione, un beneficio aggiuntivo, sempre ferma restando la necessità di verificarne in concreto la ricorrenza e l’intensità. Ove il beneficio sussista, il relativo «incremento di valore» attiene senz’altro al fabbricato, per cui oggetto d’imposizione non può che essere il fabbricato stesso nella sua conformazione strutturale, nello stato anteriore alle opere di bonifica. Ampliamenti, soprelevazioni, migliorie recate al fabbricato non...

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