Osservazioni in tema di consenso tacito del p.m. Nel giudizio abbreviato e nel ricorso immediato al giudice di pace

AutoreEnrico Di Dedda
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@1. Premessa

Nel processo penale, la volontà delle parti non sempre ha una forma di manifestazione tipizzata, e, soprattutto, l'eventuale difformità dal modello previsto raramente subisce una sanzione processuale (nullità o inammissibilità).

Per entrambi i vizi vige espressamente il principio di tassatività, e questa peculiarità del nostro ordinamento funge da valvola, a tutela dei canoni generali della libertà delle forme e della conservazione degli atti processuali 1.

È necessario allora appurare se si possano inquadrare diversamente alcuni snodi del rito, recentemente modificati, valutando le eventuali conseguenze applicative.

@2. Casistica del consenso tacito

Non si può revocare in dubbio che talvolta si applicano istituti giuridici, pur nel silenzio della rubrica e della lettera della legge: in particolare, vi sono ipotesi in cui la volontà pattizia della parte può ricavarsi anche dal comportamento concludente ovvero nel silenzio della medesima.

Pensiamo, ad esempio, alla revoca del giudizio abbreviato.

A seguito della L. 5 giugno 2000 n. 144, in caso di modifica dell'imputazione, a seguito dell'attività istruttoria compiuta nel giudizio, l'imputato può scegliere se rimanere nel rito cartolare, oppure «tornare» all'udienza preliminare.

L'art. 441 bis c.p.p. non lo dice testualmente, eppure nessuno dubita che sia l'unico caso nominato di revoca del giudizio abbreviato. È una classica situazione in cui l'istituto giuridico prende forma da un comportamento concludente della parte.

Vi sono casi in cui il silenzio della parte è qualificato ex lege come indicativo della volontà, negativa o positiva, di aderire all'offerta del contraddittore o alla richiesta del giudice.

Nel patteggiamento, l'art. 147 comma c.p.p. e l'art. 464 comma 1 c.p.p. stabiliscono che, entro un certo termine, la parte può esprimere il proprio consenso all'offerta di definizione della causa. In caso di silenzio nel termine, si desume la volontà negativa di raggiungere l'accordo 2.

Esistono ipotesi inverse in cui il silenzio della parte è espressamente qualificato come volontà positiva. È il caso dell'art. 469 c.p.p.: interpellate sulla possibilità di una pronuncia pre-dibattimentale liberatoria, le parti possono esprimere il loro consenso, non opponendosi, e ciò basta a perfezionare l'accordo su una decisione di tal genere 3.

Ancora, si può ricordare il caso del giudizio immediato a richiesta dell'imputato.

Grazie all'art. 419 comma 5 c.p.p., l'imputato rinuncia alla garanzia della celebrazione dell'udienza preliminare, per vedersi immediatamente trattare in dibattimento il suo caso. La dottrina maggioritaria non esita a parlare di un negozio processuale, in quanto vi è l'adesione, da parte dell'imputato, alla richiesta del P.M. di verificare l'ipotesi accusatoria nel contraddittorio pieno delle parti 4.

Dunque non sono affatto rari, nel processo penale, i casi di negozialità bilaterale «oscuri», che invece possiedono tale natura e vanno trattati come tali, ai fini dei riflessi applicativi.

@3. Il giudizio abbreviato come rito consensuale

Ci si potrà domandare allora quanto di «pattizio» sia rimasto nel rito ex art. 438 ss. c.p.p., dopo l'eliminazione dell'assenso espresso dalla parte pubblica. A nostro avviso, non poco.

Le modifiche apportate al giudizio cartolare non vanno esaminate in modo distaccato dal complessivo riorientamento dei poteri investigativi del pubblico ministero.

Maggiori sono ora le possibilità che ha l'imputato di integrare/confutare il quadro conoscitivo in mano all'accusa, prima dell'esercizio dell'azione penale. Intendiamo riferirci sia alla normativa in tema di indagini difensive, sia al meccanismo introdotto dall'art. 415 bis c.p.p. 5.

Soprattutto, va registrato come ormai lo standard probatorio dovuto dal pubblico ministero, per la richiesta di rinvio a giudizio, debba essere necessariamente più elevato che in passato, atteso l'avanzamento delle formule assolutorie di dubbio all'udienza preliminare (art. 425 c.p.p., come novellato dall'art. 24, comma 1, della L. n. 479/99).

È vero che la dottrina maggioritaria sul punto appare assai cauta e preferisce mantenere l'accento sulla natura processuale della sentenza e sulla necessità del rinvio a giudizio, anche nel caso di contraddittorietà o lacune del quadro probatorio, risolubili a dibattimento 6.

Una tale esegesi finisce però per «bloccare» i parametri probatori del rinvio a giudizio a quanto già si riteneva e si statuiva prima della riforma, vanificando così la modifica testuale intervenuta.

Tale indirizzo interpretativo inoltre pone in ombra un altro novum che oggi accomuna Gup e giudice del dibattimento: l'affidamento al primo sin dall'udienza preliminare, di un giudizio tipico del merito pieno delle controversie, ossia la concessione eventuale delle attenuanti, al fine della pronuncia di prescrizione.

Per dare senso e collocazione alla modifica intervenuta, dobbiamo allora pensare che, implicitamente, sia stata riproposta quella che era stata la prima formula dell'art. 125 att., oppure una delle interpretazioni autorevolmente avanzate sull'attuale art. 125 d.a., prima della sentenza n. 88/91 della Consulta: la necessità per il P.M. di chiedere l'archiviazione ogni qualvolta ritenesse «gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sufficienti al fine della condanna dell'imputato» 7.

Se dunque il titolare dell'accusa ritiene di dover esercitare l'azione penale, dopo aver compiuto tutto quanto gli era possibile quanto a completezza dell'accertamento, nonostante le integrazioni probatorie, offertegli o sollecitate dalla difesa, vorrà dire che non teme di superare lo sbarramento dell'udienza preliminare, quantomeno sull'an del fatto e della sua ascrizione all'imputato 8. Page 14

Essendo la formulazione finale dell'addebito un atto di volontà, presupposto cognitivo indispensabile non potrà essere che una prognosi di condanna.

Nell'ottica dell'accusatore, un giudizio che si svolge comunque prevalentemente sugli atti formati dal proprio ufficio, difficilmente dovrebbe allora sfuggire all'esito pronosticato con l'imputazione.

A nostro avviso quindi, l'eclisse testuale del consenso del P.M. all'ammissione del rito è ampiamente rimpiazzata dalla volontà definitoria del processo che deve ricavarsi, strutturalmente, dall'avvenuta promozione dell'azione penale 9.

In tal senso ci sembra ora orientata anche la Consulta. Pur se ai limitati fini di valutare l'allargamento del catalogo delle incompatibilità del giudice, la Corte ha registrato come l'epilogo dell'udienza preliminare poggia ormai su una valutazione del merito dell'accusa non più distinguibile, nell'intensità e nella completezza dello spettro delibativo, da quella di altri momenti processuali tradizionalmente «pregiudicanti».

Anche di recente, il giudice delle leggi è ritornato sul tema e, nel dichiarare che l'udienza preliminare debba essere qualificata come «giudizio» ai fini dell'art. 34 c.p.p., ha espressamente sottolineato come: «Le valutazioni di merito affidate al giudice dell'udienza preliminare sono state private di quei caratteri di sommarietà che, fino alle indicate innovazioni legislative, erano tipici di una decisione orientata soltanto, secondo la sua natura, allo svolgimento (o alla preclusione dello svolgimento) del processo.

I contenuti delle decisioni che concludono l'udienza preliminare hanno assunto, in parallelo alle novità appena segnalate, una diversa e maggiore pregnanza [...].

Il nuovo art. 425 del codice, in questo modo, chiama il giudice a una valutazione di merito sulla consistenza dell'accusa, consistente in una prognosi sulla...

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