Il ruolo della componente volitiva nei fatti processuali penali

AutoreBorasi Ivan
Pagine253-256

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di Ivan Borasi

SOMMARIO
1. Premessa. 2. Fatti, atti e rapporti giuridici . 3. Forma, causa, volontà. 3.1. Leale collaborazione e abuso del diritto. 4. Legittimazione. 4.1. Applicazioni concrete. 5. Conclusioni.

1. Premessa

Il presente lavoro è teso a valorizzare, nell’analisi della disciplina dei fatti processuali penali in senso lato, l’elemento volitivo-finalistico.

In particolare, si vuole provare come, nelle diverse species di fatti, atti o comportamenti lato sensu, la volontà possa comportare, o meno, conseguenze sull’iter del processo penale, e sui rapporti ad esso connessi in senso procedimentale.

Nella presente analisi si lambirà solamente la quaestio dell’applicabilità dei vizi della volontà agli atti processuali penali (1), mentre si approfondirà l’incidenza indiretta del “dolo specifico” dell’atto, sotto i profili della rappresentazione e volizione dello stesso, nonché della legittimazione.

2. Fatti, atti e rapporti giuridici

I fatti umani, in generale, sono produttivi di effetti per il soggetto attivo se costui è capace di intendere e volere. Quando tali fatti vogliono produrre effetti giuridici, qualificandosi come atti giuridici, occorre anche la legale capacità di agire. Ulteriormente, gli atti giuridici debbono distinguersi in: dichiarazioni di volontà, ove è necessaria anche la volontà degli effetti da produrre, modificativi di rapporti giuridici, anche definibili come negozi giuridici; partecipazioni e comunicazioni, ove gli effetti prodotti, anche se non voluti dal soggetto attivo, sono predeterminati dal legislatore; dichiarazioni di scienza, ove l’autore dichiara di avere conoscenza di un fatto giuridico, con finalità di attestazione (2).

I suddetti fatti (3), possono creare rapporti giuridici processuali (4), autonomi o connessi, sul piano procedimentale, con il processo penale di riferimento. Gli atti giuridici, anche attraverso comportamenti concludenti, possono esprimersi sotto forma di negozi processuali (5).

Strettamente connessa ai diversi presupposti di validità degli atti giuridici succitati, ed ai correlati vizi della volontà (errore, violenza, dolo), è la classificazione tra atti facoltativi ed atti collegati ad un onere processuale.

La facoltà riguarda una scelta comunque conforme al diritto (6), che in alcuni casi predeterminati dalla legge, risulta obbligata ai fini di un determinato effetto giuridico
(7), concretando un onere (8).

La distinzione ut supra, non incide direttamente sulle conseguenze degli eventuali vizi riscontrabili, ma può “colorare” l’interesse tutelato dalle prescrizioni legislative previste.

3. Forma, causa, volontà

In materia di atti processuali penali, non vige il principio di libertà delle forme, a differenza che nel codice di procedura civile (art. 121 c.p.c.), bensì l’inverso principio delle forme vincolate a pena di invalidità lato sensu dell’atto. Anche di fronte ad atti orali espressi in udienza, è necessaria la formalizzazione degli stessi all’interno di un verbale, che li cristallizzi in uno scritto, suscettibile di controllo successivo. Strettamente collegato al controllo de quo, è il profilo della pubblicità.

In relazione all’incidenza dell’elemento formalistico negli atti processuali, è da raffrontare il principio del raggiungimento dello scopo, figura di sanatoria istituzionalizzata nel processo civile, e di non trascurabile applicazione, nelle sue varie figure sintomatiche, anche nel processo penale. In altre parole, per poter vagliare un vizio di un atto processuale, da far valere in senso incidente nel processo penale, è necessario, prima valutare la ratio della prescrizione di forma da parte del legislatore, per poi vedere in concreto, se attraverso il raggiungimento dello scopo (9) in modo alternativo, tale finalità prescrittiva possa essere ritenuta comunque tutelata in senso sanante dalla condotta indiretta. Nel fare tale attività, da un lato si deve seguire una prospettiva di vaglio particolarmente rigida, in modo da evitare la lesione del principio di certezza del diritto, dall’altro, si deve dare rilievo al raggiungimento alternativo dello scopo, al fine di non violare anche il principio di ragionevole durata del processo nelle sue plurime esplicazioni.

Particolarmente interessante, è l’elemento causale proprio degli atti processuali penali che, in quanto tipizzati, a differenza delle prove stricto sensu, abbisognano di un controllo, non in ordine alla causa in senso normativo, bensì solo con riferimento alla causa in concreto (10). In altre parole, con il concetto di causa in concreto, vuole individuarsi un possibile ambito di controllo, da parte del giudice, del fine ultimo di utilizzo dello strumento processuale; si vuole evitare, quindi, quella che in diritto tributario viene definita un’elusione.

Diversi sono i concetti di coscienza e volontà (11) degli atti processuali penali da un lato, c.d. suitas, e di volontarietà degli effetti, dall’altro. La prima figura, incide fondamentalmente sulla riconducibilità dell’atto, sul piano giuridico, al soggetto attivo sotto il profilo materiale del comportamento giuridico estrinsecato, in stretta connessione con il differente aspetto della legittimazione. La volontà degli effetti, invece, presuppone come presente la suitas dell’atto, e si aggiunge alla stessa nel senso di volere gli stessi effetti tipici previsti dal legislatore in relazione all’atto di riferimento, oppure effetti atipici, rispetto ai quali sarà però necessaria...

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