Il principio di completezza delle indagini preliminari e I poteri istruttori del «giudice preliminare»

AutoreDomenico Potetti
Pagine463-484

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    Relazione, riveduta, distribuita all'Incontro di studio sul tema «La funzione giudiziale preliminare», organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, tenutosi in Roma, 9-11 luglio 2001.

@1. Cenni sulla fase cautelare

Il concetto di completezza delle indagini preliminari non è cosa che riguardi l'intervento del giudice, fino a quando il pubblico ministero non abbia deciso di porre termine alle proprie autonome investigazioni.

È infatti lo stesso pubblico ministero, di regola, a governare i tempi e i modi dell'indagine, sicché quando il giudice, ad indagini non ancora concluse, sia chiamato ad atti istruttori (in senso ampio), egli opera non certo per garantire la completezza delle indagini complessivamente intese, ma semplicemente per assicurarsi una frazione di cognizione, per quel tanto che gli sia sufficiente al fine di rendere funzionale il suo intervento nella limitata occasione in cui questo è evocato.

In altre parole, si tratta di un intervento di cognizione ad acta, sovente finalizzato in senso garantista.

Così accade nella contingenza di cui all'art. 289 comma 2 c.p.p., per il quale, nel corso (appunto) delle indagini preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all'interrogatorio dell'indagato, con le modalità indicate agli articoli 64 e 65 c.p.p.

Così accade in particolare in relazione all'interrogatorio di garanzia di cui all'art. 294 c.p.p.; ed infatti si prevede che, mediante l'interrogatorio, il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste dagli artt. 273, 274 e 275, e quindi, quando ne ricorrano le condizioni, provvede, a norma dell'art. 299, alla revoca o alla sostituzione della misura disposta.

Intervento tipicamente circoscritto è anche quello di cui all'art. 295 c.p.p., seocndo il quale, al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pubblico ministero, nei limiti e con le modalità previste dagli artt. 266 e 267, possono disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione (con l'applicazione, ove possibile, delle disposizioni degli artt. 268, 269 e 270; inoltre, fermo quanto disposto nello stesso comma 3 citato e nel comma 5 dell'articolo 103, il giudice o il pubblico ministero possono disporre l'intercettazione di comunicazioni tra presenti quando si tratta di agevolare le ricerche di un latitante in relazione a uno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3 bis).

Più ampio e informale (ma comunque limitato all'oggetto della revoca o sostituzione della misura) è lo spazio concesso al giudice nei casi dell'art. 299 comma 3 ter e 4 ter c.p.p.

Nella prima di tali situazioni il giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di provvedere può assumere l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, mediante l'assunzione di un'iniziativa dalla natura eccezionale, in un sistema cautelare governato pur sempre dal principio della domanda.

Se poi l'istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, il giudice deve obbligatoriamente assumere l'interrogatorio dell'imputato che ne abbia fatto richiesta (con ciò ritornandosi allo schema del giudice evocato su istanza di parte).

Ampio è il potere officioso di cui al comma 4 ter dell'art. 299 c.p.p., per il quale, in ogni stato e grado del procedimento, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell'imputato.

Se poi la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere è basata sulle condizioni di salute di cui all'art. 275, comma 4 bis, ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, o risultano in altro modo al giudice, questi, pressoché in modo automatico 1 è tenuto ad avviare (se non ritiene di accogliere la richiesta sulla base degli atti) gli accertamenti medici del caso, con le forme della perizia, nominando il perito ai sensi dell'art. 220 ss. c.p.p.

Per completezza ricordiamo anche l'art. 301 c.p.p. (estinzione di misure disposte per esigenze probatorie), il cui comma 2 ter prevede che «La proroga della medesima misura è disposta... su richiesta inoltrata dal pubblico ministero... previo interrogatorio dell'imputato», nonché l'art. 302 c.p.p. (estinzione della custodia per omesso interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare), per il quale «Dopo la liberazione, la misura può essere nuovamente disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, previo interrogatorio...».

Come si vede, quindi, l'intervento «istruttorio» del giudice nella fase cautelare ha natura ben diversa da quello relativo alle fasi successive alla conclusione (da parte del pubblico ministero) delle indagini preliminari.

Nella fase cautelare, infatti, (ma ciò può dirsi, in generale, anche per gli altri tipi di intervento del giudice nel corso delle indagini preliminari) l'intervento del giudice non è finalizzato a garantire la completezza delle indagini, bensì a rispondere ad esigenze di natura contingente, salvaguar- Page 464 dando le prerogative del pubblico ministero, al quale sono rimesse le scelte sulla direzione e sulle modalità investigative.

D'altra parte un'opzione di tale genere è addirittura ovvia, sia per un motivo sistematico (è principio fondamentale quello per cui al giudice non sono rimesse le scelte di strategia investigativa), sia per motivi logici (perché sarebbe logicamente prematura una censura di incompletezza alle indagini del pubblico ministero prima che questi, con un atto formale, abbia autonomamente cessato di investigare).

@2. Il principio di completezza delle indagini in Corte cost.n. 88 del 1991.

L'art. 421 bis c.p.p., alla luce della coincidenza di parametri fra artt. 125 att. c.p.p. e 425 comma 3 c.p.p. - In tema di supplemento istruttorio previsto dall'art. 421 bis c.p.p., introdotto all'art. 21 della L. n. 479 del 1999, potrebe dirsi (ma solo ad una prima osservazione) che il Natale del 1999 ha portato con sè una singolare «resurrezione»: quella del vecchio, ma evidentemente non dimenticato, giudice istruttore.

Il Gup sembra invadere (contro i principi del sistema accusatorio) lo spazio tipico del pubblico ministero, ossia lo spazio delle indagini.

In prospettiva, già si scorge (per i procedimenti muniti di udienza preliminare) una gestione «condominiale» e progressiva della fase (o meglio delle fasi) investigative, di cui la prima (gestita dal pubblico ministero) diretta ad una iniziale cognizione della vicenda penale, e la seconda (gestita dal Gip/Gup) di conclusivo approfondimento, secondo le modulazioni di cui agli artt. 409 comma 4 (se la richiesta del P.M. sia di archiviazione) e 421 bis c.p.p. (se vi sia richiesta di rinvio a giudizio).

Osserviamo più da vicino il nuovo scenario.

Per quanto più specificamente riguarda l'art. 421 bis c.p.p., è istintivo porlo a confronto con l'art. 409 comma 3, 4; ma è un confronto da approfondire e potenzialmente ingannevole, perché, se è vero che la formulazione delle due disposizioni presenta evidenti analogie, esse tuttavia sono destinate ad operare in ambiti ben diversi, non foss'altro perché l'art. 409 c.p.p. consiste in uno strumento di controllo sul mancato esercizio dell'azione penale, mentre l'art. 421 bis c.p.p. serve semmai a controllare (in una fase ormai processuale) un'azione penale già esercitata.

Vediamo dunque quali sono i presupposti dei due atti del giudice, che sono, in entrambi i casi, atti diretti a provocare ulteriore attività di indagine: si tratta di presupposti coincidenti fra loro? o vi sono delle differenze?

L'art. 409 comma 4 così definisce il relativo presupposto: «... il giudice, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica...».

Da parte sua, l'art. 421 bis prevede che, quando non ritiene di poter decidere allo stato degli atti, «... il giudice, se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini...».

Sia il concetto di necessarietà (delle indagini), sia quello di incompletezza (delle indagini medesime) esprimono semanticamente concetti di relazione (necessarie a che fine? incomplete rispetto a quale fine?).

Il fondamentale parametro di riferimento del criterio di necessarietà delle indagini (art. 409 comma 4) è, ad una prima osservazione, di facile individuazione: trattandosi di decidere sull'archiviazione, esso non può essere che quello di cui all'art. 125 att. c.p.p., e quindi il Gip è tenuto a provocare nuove indagini quando esse siano necessarie per accertare se vi siano elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio.

Viceversa, individuare il parametro di riferimento da applicarsi al criterio dell'incompletezza delle indagini (art. 421 bis), è operazione meno lineare, quantomeno perché in questo caso (avendo il pubblico ministero già esercitato l'azione penale) si è fuori dell'ambito del controllo sul non esercizio dell'azione.

Un irrinunciabile punto di partenza è costituito da una fondamentale sentenza della Corte costituzionale 2, non a caso pronunciata proprio in tema di art. 125 att. c.p.p.

In quell'occasione la Corte costituzionale (sent. n. 88 del 1991), dal combinato disposto della direttiva n. 37 della L. 16 febbraio 1987, n. 81 e degli artt. 326 e 358 c.p.p., traeva e consacrava proprio il principio di «completezza» delle indagini preliminari (presidiato in particolare, secondo la Corte, dall'art. 409 comma 4 c.p.p.); principio che, nella struttura del nuovo processo, avrebbe dovuto assolvere ad alcune fondamentali funzioni:

a) consentire al pubblico ministero (all'esito della fase investigativa) di esercitare le varie possibili opzioni, tra cui la richiesta di giudizio immediato, evitando l'udienza...

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