Clausola risolutiva espressa e nuova disciplina delle locazioni di immobili adibiti a uso abitativo (legge n. 431 Del 1998)

AutoreMauro Paladini
Pagine23-25

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@1. L'art. 5 della legge n. 392/78 e i riferimenti normativi in esso contenuti.

La disciplina normativa delle locazioni di immobili adibiti ad uso abitativo - così come innovata dalla legge 9 dicembre 1998 n. 431 - offre all'interprete motivi di riflessione sia sul piano della riconsiderazione dell'ambito applicativo di talune norme della legge 27 luglio 1978 n. 392 (non abrogate dall'art. 14 della legge di riforma), sia sotto il profilo del coordinamento sistematico con istituti generali del codice civile, i quali, sotto il vigore dei principi imperativi dell'equo canone, avevano visto significativamente compresso il proprio margine di operatività nei rapporti giuridici tra locatore e conduttore.

Com'è noto, l'art. 5 della legge n. 392 del 1978 - intitolato all'«inadempimento del conduttore» e compreso all'interno del capo dedicato alla locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione - oltre ad indicare l'entità dell'inadempimento, idonea a legittimare il locatore a richiedere l'anticipato scioglimento del contratto, contiene altresì due richiami ad altrettanti articoli di legge, che hanno dato adito, in dottrina e in giurisprudenza, a non univoche ricostruzioni del complesso della normativa.

In primo luogo, la norma in esame stabilisce che «il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'art. 1455 del codice civile». Il rinvio effettuato alla norma generale, che detta il principio della non scarsa importanza dell'inadempimento per la risoluzione di ogni rapporto contrattuale, è stato interpretato dalla giurisprudenza 1 - dopo talune iniziali incertezze 2 - in ossequio al criterio di specialità, nel senso che l'art. 5 contiene una presunzione legale assoluta di gravità dell'inadempimento, che priva il giudice del potere-dovere di valutare discrezionalmente l'importanza dell'inadempimento 3.

A sua volta, l'inciso iniziale dell'art. 5, che fa salva l'applicazione dell'art. 55 della stessa legge n. 392/78, è stato interpretato, nei limiti in cui tale ultima norma consente al conduttore la sanatoria della morosità, come deroga 4 rispetto alla regola generale, di cui all'ultimo comma dell'art. 1453 c.c., che sancisce la regola secondo cui «dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più non adempiere la propria obbligazione». Siffatta valenza derogatoria appare, peraltro, ancor più incisiva alla luce del sopravvenuto orientamento delle sezioni unite della Suprema Corte 5, che ha stabilito che, nei contratti con prestazioni corrispettive, verificatosi l'inadempimento di non scarsa importanza di una parte, l'altra può rifiutare l'adempimento tardivo anche prima della domanda giudiziale di risoluzione e la legittimità del rifiuto deve essere accertata nel giudizio di risoluzione instaurato dalla parte adempiente successivamente al rifiuto stesso. Da questo punto di vista, pertanto, la facoltà del conduttore di sanare la morosità (in udienza o nel termine concesso dal giudice) assurge a fatto impeditivo del diritto del locatore alla risoluzione del rapporto contrattuale: diritto che sorge, sul piano sostanziale, nel momento in cui l'inadempimento assume le caratteristiche quantitative e temporali indicate nell'art. 5.

@2. La deroga all'art. 5 attraverso la stipulazione di clausola risolutiva espressa, sotto il vigore dell'art. 79 della legge n. 392/78 ed alla luce dell'attuale disciplina legislativa.

Il contenuto normativo del combinato disposto degli artt. 5 e 55 della legge n. 392/78 ha notevolmente inciso sull'operatività dell'istituto della clausola risolutiva espressa e, in generale, della risoluzione c.d. automatica nell'ambito del contratto di locazione. Invero, avendo il legislatore, con l'art. 5, determinato l'inadempimento necessario per la risoluzione della locazione, sotto il vigore dell'art. 79 della legge sull'equo canone - che comminava la nullità di ogni pattuizione diretta... ad attribuire [al locatore un] vantaggio in contrasto con le disposizioni della stessa legge - non si poteva dubitare fondatamente della nullità della clausola risolutiva espressa, che avesse consentito al locatore di ottenere la risoluzione automatica del contratto per un inadempimento di rilevanza (quantitativa o temporale) inferiore rispetto a quella tipizzata dall'art. 5.

Sennonché, alla medesima conclusione non pare oggi potersi pervenire, in seguito all'entrata in vigore della legge 9 dicembre 1998 n. 431, la quale, da una parte, ha abrogato l'art. 79 della legge n. 392/78 limitatamente alle locazioni abitative (art. 14), e, dall'altra, ha comminato la sanzione di nullità delle sole pattuizioni volte ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito (art. 13).

La nuova legge distingue i contratti stipulati ai sensi dell'art. 2, comma 3 (contratti che si uniformano ai contratti-tipo definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative), da quelli stipulati, invece, ai sensi dell'art. 2, comma 1 (c.d. contratti liberi): per i primi è prevista la nullità di ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito, per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie, dagli accordi definiti in sede locale; per i secondi, è previsto che siano nulli qualsiasi obbligo del conduttore, nonché qualsiasi clausola o altro vantaggio (sic!) economico o normativo diretti ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito (art. 13, comma 4).

Orbene, deve escludersi - a nostro avviso - che la clausola risolutiva espressa possa essere ricompresa nella menzionata categoria delle pattuizioni o clausole nulle in quanto rivolte ad attribuire al locatore, direttamente o indirettamente, un canone superiore a quello legislativamente con-Page 24sentito. L'istituto giuridico di cui all'art. 1456 c.c., infatti - consistente nella pattuizione, nell'ambito di un contratto con prestazioni corrispettive, in virtù della quale il rapporto negoziale si risolve nel caso in cui una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite - permette unicamente di derogare al meccanismo giudiziale della risoluzione del contratto 6, ma non incide sulla determinazione delle rispettive obbligazioni contrattuali, che, secondo la nuova normativa, è rimessa esclusivamente all'autonomia negoziale delle parti (libera o conformata ai c.d. contratti-tipo).

Conseguentemente, il quesito relativo alle norme della legge n. 392/78 che, pur non abrogate dall'art. 14 della legge n. 431/98, vedano trasfigurare la loro natura - da quella imperativa, precedente, a quella dispositiva, attuale - pare debba essere risolto in senso affermativo con riguardo alla norma dell'art. 5, cui le parti (autonomamente o sulla base di quanto stabilito nei contratti-tipo) potranno, d'ora in avanti, liberamente derogare, configurando margini di morosità anche più ridotti rispetto a quelli previsti dal legislatore, ma parimenti rilevanti, ai sensi dell'art. 1456 c.c., ai fini della risoluzione del rapporto contrattuale. In tale ipotesi, qualunque sindacato giudiziale sul merito della clausola contrattuale portante...

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