La Corte costituzionale censura l’interpretazione “sorpassata” dell’art. 195, Comma 4, c.p.p.

AutoreAmato Carbone
Pagine452-454

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@1. Il caso

– La Corte di Cassazione annulla con rinvio una sentenza della Corte d’Assise d’appello enunciando un principio di diritto1 che, dopo l’annullamento della sentenza, ma prima che si pronunci il giudice di rinvio, le Sezioni Unite contraddicono (Cass. SS.UU. n. 36747 del 2003, Torcasio), statuendo che “il divieto di testimonianza indiretta di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, che il comma 4 dell’articolo 195 c.p.p. stabilisce con riguardo al contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), si riferisce tanto alle dichiarazioni che siano state ritualmente assunte e documentate in applicazione di dette norme, quanto ai casi nei quali la polizia giudiziaria non abbia provveduto alla redazione del relativo verbale, con ciò eludendo proprio le modalità di acquisizione prescritte dalle norme medesime”.

Tale ultima interpretazione viene altresì ritenuta l’unica costituzionalmente compatibile.

Il giudice di rinvio – pur consapevole del nuovo orientamento delle Sezioni Unite – si è ritenuto vincolato, ai sensi dell’art. 627, comma 3, c.p.p., al principio di diritto antecedentemente enunciato, attenendosi ad esso.

La Corte di Cassazione investita del ricorso avverso la sentenza del giudice del rinvio ha sollevato questione di costituzionalità dell’art 195, comma 4, c.p.p.2.

Infatti, la struttura del giudizio di cassazione con rinvio, vietando ai giudici che ancora debbano farne applicazione di dare alla disposizione in questione un significato diverso da quello ad essa attribuito con la determinazione del principio di diritto, impedisce un’interpretazione adeguatrice3, che, invece, si porrebbe in coerenza con l’orientamento della Corte Costituzionale secondo il quale una disposizione non si dichiara illegittima perché suscettibile di un’interpretazione contrastante con i parametri costituzionali, ma soltanto se ne è impossibile altra a questi conforme4.

@2. Diritto vivente e vincolo del giudice del rinvio

– Come visto la Corte Costituzionale è giudice delle Leggi e non dell’interpretazione, essendo la funzione nomofilattica di pertinenza della Corte di Cassazione. Ma al di là di questa affermazione, è noto che il Giudice delle Leggi è andato oltre ponendo ad oggetto del suo giudizio anche il c.d. diritto vivente5, ovverosia la norma così come costantemente interpretata e applicata, che non lascia margini alla ricerca di un significato costituzionalmente compatibile della norma da parte del giudice. Esemplificativamente, si pensi alla declaratoria di incostituzionalità degli artt. 309 e 310 c.p.p. nella parte in cui non consentivano la rivalutazione dei gravi indizi di colpevolezza a seguito del rinvio a giudizio. In quel caso la Corte Costituzionale6 intervenne prendendo a riferimento l’interpretazionePage 453 costante della giurisprudenza, così come scolpita da tre sentenze delle Sezioni Unite del 25 ottobre 19957.

La particolarità del caso oggetto della presente analisi consiste nella circostanza che ad essere censurata è la massima di diritto formulata dal giudice del rinvio, la quale non poteva, al momento in cui è stata sollevata la questione di costituzionalità, ritenersi diritto vivente in quanto superata da una decisione delle Sezioni Unite (sentenza Torcasio8).

Come noto, infatti, giurisprudenza costante ritiene che il giudice del rinvio, nel decidere la specifica regiudicanda, ha un obbligo assoluto di uniformarsi al principio di diritto affermato dalla sentenza...

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