Mandato di cattura europeo e limiti massimi alla carcerazione preventiva: l'adattamento della disciplina italiana Secondo le sezioni unite

AutoreDiletta Servi
Pagine488-490

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In materia di mandato d'arresto europeo, con riguardo alla previsione dell'art. 18 lett. e) della legge n. 69 del 2005, che contempla un caso di rifiuto della consegna ´se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventivaª, l'autorità giudiziaria italiana deve verificare, ai fini della consegna, se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia espressamente fissato un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, o, in mancanza, se un limite temporale implicito sia comunque desumibile da altri meccanismi processuali che instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare o, in alternativa, alla estinzione della stessa.

@1. Antefatto

- Proliferano gli interventi in materia di mandato di arresto europeo e, stavolta, a scendere in campo sono addirittura le Sezioni Unite. La questione si snoda attorno ad una delle norme più controverse della legge italiana di implementazione, l'art. 18 lett. e) 1 L. n. 69 del 2005, laddove inibisce la consegna del soggetto richiesto qualora il provvedimento a monte è di natura cautelare, ed il Paese emittente ´non prevede i limiti massimi della carcerazione preventivaª.

L'impulso al Supremo consesso 2, muovendo da una esegesi antinomica a quella precedentemente fornita 3, dà atto dell'esistenza di un contrasto ´potenzialeª sul tema, di tale rilievo da richiedere, in tempi rapidi, ´una soluzione uniforme e persuasivaª 4.

Questi, in particolare, i termini della problematica. In origine, ci si rifiutava di consegnare un ricercato all'autorità belga, sul presupposto che quell'ordinamento non contempla un limite alla carcerazione ante iudicium, bensì obbliga il giudice a verificare mensilmente la permanenza delle ragioni a sostegno del titolo custodiale 5; mentre la norma italiana, ricalcando il disposto di cui all'art. 13 comma 5 Cost., non sembrava indulgere, nel suo rigido enunciato, ad una esegesi sistematica e razionalizzatrice 6.

Secondo l'ordinanza che rimette gli atti alle Sezioni Unite, invece, l'art. 18 della legge n. 69 del 2005 si presterebbe ad una lettura maggiormente elastica, più conforme, del resto, allo spirito ed alle premesse politico-istituzionali sia della decisione quadro 2002/ 584/GAI in materia di mandato di arresto europeo, sia della stessa normativa interna di attuazione 7.

I Supremi giudici aderiscono a tali conclusioni, elaborando i principi in base ai quali l'Autorità giudiziaria italiana deve eseguire l'euromandato a favore non solo di quei Paesi che prevedono limiti massimi di detenzione cautelare fino alla sentenza di primo grado, ma anche qualora negli ordinamenti stranieri un termine di durata sia implicito in virtù di altri meccanismi che instaurano, in maniera obbligatoria e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale, di fatto, equivalente a quello previsto dalla trama normativa interna.

@2. Conformità della disciplina alla decisione-quadro

- I temi da risolvere si snodavano, sostanzialmente, lungo due direttrici: la compatibilità della norma italiana rispetto alla richiamata decisione quadro e, in secondo luogo, la possibilità di una sua lettura ´adeguatriceª, maggiormente armonica con il panorama comunitario.

Quanto al primo aspetto, la previsione nazionale si colloca, infatti, nel catalogo delle divergenze 8 tra la legge di implementazione e l'atto dell'Esecutivo europeo, atteso che il legislatore ha coagulato nel corpo dell'art. 18 L. n. 69 del 2005 un ventaglio di motivi di non liquet tutti obbligatori 9, distinguendo così - diversamente dalle altre legislazioni straniere 10 - il distinguo operato dalla fonte europea 11, ed inserendo ipotesi, come quella in esame, addirittura estranee alle linee guida di quest'ultima.

La specifica causa ostativa, perciò, ha sollevato nutrite obiezioni 12, divenendo oggetto anche di incidente di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 11 e 117 Cost. per difformità della disciplina interna dagli obblighi comunitari poiché, se letta restrittivamente, essa determinerebbe una sostanziale vanificazione della normativa europea 13. Comunque, al di là del fatto, alquanto singolare, che bisognava giudicare di una norma ordinaria in cui è trasposto il dettato della stessa Costituzione (art. 13 comma 5) o in ogni caso fi- Page 489 nalizzata alla salvaguardia di valori costituzionali 14, la esegesi razionalizzatrice delle Sezioni Unite verosimilmente esimerà i giudici della Consulta dal pronunciarsi.

In linea di fondo, occorre rilevare - come sottolinea la sentenza 15 - che la previsione, seppur non trovi uno specifico corrispondente nel testo europeo, si giustifica proprio nell'ambito di un quadro di garanzie riconosciute dallo stesso. In particolare, il suo inserimento sarebbe legittimo in virtù del punto n. 12 dei consideranda, laddove statuisce il rispetto dei diritti della persona e l'osservanza dei principi sanciti dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea e contenuti nella Carta di Nizza sui diritti fondamentali 16.

E nell'alveo di questi valori è compreso quello alla libertà personale garantito dall'art. 6 della suddetta Carta, il quale richiama il disposto racchiuso nell'art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, secondo cui ´ogni persona arrestata o detenuta (...) ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere rimessa in libertà durante la proceduraª; ciò anche alla luce della presunzione di innocenza di cui al successivo art. 48 della medesima Carta di Nizza che vieta di ricorrere alla custodia cautelare quale anticipo di pena 17.

Né è irrilevante, ai fini che qui interessa, il secondo periodo del richiamato considerando, nella parte in cui statuisce che la decisione quadro ´non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo (...)ª; la qual cosa rappresenta un potenziale limite alla operatività dell'atto comunitario a favore di quegli ordinamenti statuali che offrano maggiori profili di garanzia 18 ammettendo, implicitamente, addizioni normative interne funzionali alla loro tutela 19.

In questo ordine di idee, allora, la norma italiana, pur smorzando le pretese di concretizzazione del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, è stata consapevolmente dettata quale baluardo contro i rischi insiti nelle diversità ordinamentali dei vari Paesi dell'Unione (esistenti anche in materia de libertate), a salvaguardia dei principi racchiusi nella nostra Carta fondamentale - segnatamente con gli enunciati degli artt. 13 comma 5 e 27 comma 2 - così come riconosciuti dalla fonte europea 20.

In tale prospettiva garantistica, inoltre, anche in assenza di una previsione espressa quale quella dell'art. 18 lett. e), è l'incipit della legge n. 69 del 2005 (artt. 1 e 2) a porre come argine all'atto dell'Unione le garanzie costituzionali interne in tema di libertà e di giusto processo, nonché i principi fondamentali previsti dai trattati internazionali, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dai relativi Protocolli addizionali 21.

Per i rilievi sopra espressi, ininfluente è allora - come del resto affermano le stesse Sezioni Unite - il fatto che lo specifico motivo di rifiuto in esame non sia previsto in tema di estradizione dal diritto convenzionale vigente per l'Italia, né dall'ordito codicistico interno disciplinante la stessa materia 22.

@3. La scelta interpretativa

- Se i Giudici di legittimità non considerano l'art. 18 lett. e) della disciplina italiana eccentrico rispetto alla decisione quadro - essendo esso posto a presidio del diritto alla ragionevole durata della custodia preventiva contemplato dalla CEDU (art. 5 comma 3) ed al cui rispetto è tenuto perciò ogni ordinamento democratico - nei successivi passaggi motivazionali limitano il senso della previsione medesima.

Infatti, il nodo esegetico da sciogliere era se la norma italiana postulava che la legge del Paese richiedente deve contemplare limiti massimi alla detenzione ante iudicium, secondo il modello profilato dal nostro codice di rito 23, oppure se implicava il richiamo anche a meccanismi meno rigidi che offrono, comunque, garanzie equipollenti.

Le Sezioni Unite risolvono il quesito nella seconda prospettiva, muovendo dai canoni elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea in tema di ragionevolezza della carcerazione preventiva (art. 5 § 3 CEDU), quale espressione del più generale diritto alla ragionevole durata del processo (art. 6). Stando ai parametri profilati dai Giudici di Strasburgo, innanzitutto, il concetto in esame abbraccia solo il segmento precedente la pronuncia di primo grado e non copre, quindi, la tranche temporale successiva 24; nel valutarne la ragionevole durata, poi, occorre accordare preferenza a quei sistemi, di matrice anglosassone, che subordinano il protrarsi della custodia cautelare a verifiche periodiche e costanti da parte della competente Autorità giudiziaria, mostrando perplessità, invece, nei confronti di paradigmi (come quello italiano) che ancorano effetti liberatori a meccanismi astratti, legati cioè al mero decorso del tempo e modulati sulla base del titolo di reato e del segmento procedurale 25.

Trasfondendo i richiamati principi relativi alla norma pattizia nell'art. 18 lett. e), i Supremi...

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