Tra intercettazioni dirette, indirette e casuali il giudice delle leggi delimita la sfera dell'immunità parlamentare: ai nastri di partenza il giusto equilibrio tra guarantigie e obbligatorietà dell'azione penale

AutoreCinzia Laganà
Pagine666-670

Page 666

La Corte Costituzionale è tornata ad occuparsi dell'importante ed attuale materia dell'immunità che involge i parlamentari nell'esercizio delle funzioni di cui sono titolari.

In particolare, con le due pronunce n. 389 e n. 390 del 2007, il «guardiano supremo della Costituzione» ha imposto l'autorità del proprio imprimatur su una questione complessa e da tempo dibattuta, relativa al regime delle intercettazioni, in qualsiasi forma intervenute, cui sono sottoposti i membri del Parlamento1. Al vaglio del giudizio di legittimità è stata la disciplina dell'art. 6 della legge 140 del 20032, relativa alle intercettazioni eseguite nei procedimenti riguardanti terzi, nella parte in cui stabilisce che la documentazione delle «intercettazioni indirette», in caso di diniego di autorizzazione della camera di appartenenza, debba essere immediatamente distrutta e i verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni, dichiarati inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento. Le due pronunce della Corte, nel definire l'esatto contenuto e ambito di applicazione dell'art. 6 della legge 140/2003, muovendosi all'interno del thema decidendum con argomentazioni equilibrate e coordinate ad un tempo, hanno svolto una funzione decisiva per fare rivivere la Costituzione e i principi che stanno alla base dell'art. 68 Cost.3.

Un contributo determinante e da tempo atteso, considerata la tendenza ad estendere la sfera dell'immunità dei soggetti politici che ha ispirato il legislatore del 2003 e che ha raggiunto il suo apice proprio sotto il regime delle intercettazioni.

Preliminarmente attraverso l'ordinanza n. 3894, dal chiaro contenuto interpretativo, la Corte ha rilevato che la sola interpretazione costituzionalmente corretta, dell'ambito di operatività degli artt. 4 e 6 della 140 del 2003 è quella giustificata dall'attualità della qualifica di parlamentare del soggetto intercettato.

L'utilizzo di formule rigorosamente al presente, il carattere eccezionale e derogatorio di altri principi costituzionali; queste le valide ragioni a cui la pronuncia si è richiamata per argomentare, bacchettando il giudice a quo, che erroneo e privo di supporto è il presupposto interpretativo fondato sul convincimento che sia necessaria l'autorizzazione della Camera anche per le intercettazioni di persona che acquisisca la qualità di parlamentare successivamente all'espletamento del mezzo di ricerca della prova5.

Page 667

Non costituisce di certo una novità; che la Corte si avvalga dell'espressione linguistica della lettera della legge al fine di risolvere dubbi di costituzionalità, ma è in questa materia che siffatto elemento argomentativo viene elevato ad emblema di un corretto modus operandi in materia di legittimità.

Già l'ordinanza n. 163 del 20056, limitando l'inutilizzabilità di cui all' art. 6 della legge n. 140/2003 alle «sole conversazioni cui il soggetto abbia preso parte interloquendo», aveva dimostrato che le mire espansionistiche dei giudici a quo potevano essere condotte lungo i binari di una interpretazione secondo Costituzione solo attraverso un'attenta lettura della formula della legge e della Costituzione.

È una consapevolezza che cresce e si arricchisce nel tempo fino a diventare il perno intorno al quale fare ruotare entrambe le pronunce gemelle del 2007.

Così nell'ordinanza n. 389 l'attenzione riposta sull'espressione linguistica «quando occorre eseguire nei confronti di un membro del parlamento (...) intercettazioni» - riguardo all'ipotesi regolata dall'art. 4 relativa alle intercettazioni dirette - o ancora sulla espressione linguistica relativa alle «conversazioni o comunicazioni intercettate in qualsiasi forma (...) alle quali hanno preso parte membri del Parlamento» - per quanto riguarda l'ipotesi delle intercettazioni indirette ex art. 6 - sottolinea, in entrambi i casi, sia il testo delle norme censurate che induce a comprendere che le conversazioni «protette» sono solo quelle caratterizzate dall'attualità della qualifica di parlamentare del soggetto intercettato.

La riflessione, già matura e degna di nota, diventa ancor più significativa con la sentenza n. 390 laddove, obiter dictum, è l'intera disciplina delle intercettazioni «indirette» ad essere esclusa dall'alveo della copertura costituzionale di cui all'art. 68, comma terzo, Cost.

Sebbene l'ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Torino7 limiti l'ambito di sindacabilità della disciplina di cui all'art. 6 alla sola parte in cui si ricava che, nel caso in cui la Camera di appartenenza neghi l'autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni di conversazioni cui abbia preso parte un parlamentare, la relativa documentazione debba essere distrutta e non sia utilizzabile in riferimento a qualunque indagato e, non solo, in relazione al parlamentare, una valutazione attenta al contenuto della pronuncia lascia, visibilmente, comprendere che per il «giudice delle leggi» è l'intero apparato normativo che sorregge l'art. 6 ad essere messo in discussione.

Ripetutamente, il giudice a quo viene rimproverato di essere stato miope allo sguardo; con forza la Corte sottolinea di avere perso l'occasione per rimuovere definitivamente una normativa che non solo non è costituzionalmente imposta, ma non è neanche costituzionalmente consentita.

Così il dictum della Corte vincolato al petitum8, ossia unicamente a quanto attiene alla prevista inutilizzabilità erga omnes delle intercettazioni e alle radicali conseguenze del rifiuto di autorizzazione della Camera, trovando in esso un limite, è approdato ad una pronuncia manipolativa del testo di legge che, rispetto ai terzi coinvolti, non è più applicabile perché illegittima, ma che, rispetto al parlamentare casualmente intercettato, continua ancora ad essere (e si spera per poco) pienamente operante e applicativa.

La limitatezza dell'oggetto dell'ordinanza di rimessione, che sottende la pronuncia de qua, non ha impedito però alla Corte di sciogliere magistralmente quel nodo che in tema di intercettazione parlamentare, non solo è legato all'incertezza interpretativa dell'art. 6, ma che è più strettamente connesso alla disciplina della legge di attuazione...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT