Corte di cassazione penale sez. V, 24 marzo 2014, n. 13835 (ud. 11 dicembre 2013)

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giur
4/2014 Arch. nuova proc. pen.
LEGITTIMITÀ
26 del 24 novembre 1999, dep. 26 gennaio 2000, Magnani,
Rv. 215094; sez. un., n. 5307 del 20 dicembre 2007, dep. 1
febbraio 2008, Battistella, Rv. 238240).
Diversamente dall’atto giuridicamente inesistente,
l’atto abnorme non è indifferente alla formazione del
giudicato, poiché le disposizioni del codice di rito con-
cernenti i termini per la proposizione dell’impugnazione
operano anche con riferimento al ricorso per cassazione
avverso gli atti abnormi; con la sola eccezione delle ipotesi
di gravame proposto nei confronti di quei provvedimenti
non abnormi ma, appunto, inesistenti perchè affetti da
un’anomalia genetica così radicale che, determinandone
l’inesistenza materiale o giuridica e rendendoli inidonei
a passare in giudicato, può essere denunciata in qualsiasi
momento (sez. un., n. 11 del 9 luglio 1997, dep. 31 luglio
1997, Quarantelli, Rv. 208221; conformi tra le molte: sez.
III, n. 20377 del 24 febbraio 2004, dep. 30 aprile 2004, La
Rocca, Rv. 229034; sez. VI, n. 30920 del 30 giugno 2009,
dep. 24 luglio 2009, Cavagliano, Rv. 244556).
1.3. Va, dunque, affermato il principio di diritto secondo
cui l’applicazione di pena illegale, per errore nella deter-
minazione e/o nel calcolo di essa, non conf‌igura un caso di
inesistenza giuridica o abnormità del provvedimento che
la dispone, e, ove sia il frutto di palese errore giuridico
o materiale e non di argomentata valutazione del giudice
della cognizione, ne impone la correzione o rettif‌ica da
parte del giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art.
666 c.p.p., nel rispetto dell’art. 25, comma secondo, Cost. e
dell’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu),
che escludono l’inf‌lizione di pena superiore a quella che
era applicabile al momento in cui il reato è stato commes-
so.
Segue che legittimamente, nel caso di specie, il Giudice
dell’esecuzione ha escluso la più gravosa pena detentiva,
applicata nel decreto penale congiuntamente a quella
pecuniaria, nonostante la previsione alternativa delle me-
desime sanzioni nell’art. 6, comma terzo, legge n. 283 del
1962, in riferimento all’art. 5, comma primo, lett. b), della
stessa legge, e, coerentemente, ha determinato la pena
da eseguire nella sola sanzione pecuniaria dell’ammenda
più favorevole al condannato; con la precisazione che tale
correzione postuma rispetto all’irrevocabilità del decreto
di condanna, contrariamente all’assunto del ricorrente,
non lo ha privato degli effetti favorevoli del relativo pro-
cedimento speciale, a norma dell’art. 460, comma 5, c.p.p.
(estinzione del reato e di ogni effetto penale della con-
danna).
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso
consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella de-
terminazione della causa di inammissibilità (Corte Cost.,
sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa
delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima
equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in
euro mille. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. V, 24 MARZO 2014, N. 13835
(UD. 11 DICEMBRE 2013)
PRES. MARASCA – EST. VESSICHELLI – P.M. VOLPE (CONF.) – RIC. PERSIA
Cassazione penale y Sentenza y Annullamento con
rinvio y Dell’appello proposto dalla parte civile y Av-
verso sentenza assolutoria y Dichiarazione erronea
d’inammissibilità y Rinvio al giudice penale che ha
emesso il provvedimento annullato y Sussistenza.
. Qualora l’appello proposto dalla parte civile avverso
la sentenza assolutoria emessa all’esito del giudizio di
primo grado venga erroneamente dichiarato inammis-
sibile, la corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso
proposto dalla medesima parte civile, deve annullare
il provvedimento con rinvio allo stesso giudice penale
che lo ha emesso, e non al giudice civile. (Mass. Redaz.)
(c.p.p., art. 622) (1)
(1) In senso analogo si veda Cass. pen., sez. II, 24 maggio 2013, n.
22347, in Ius&Lex dvd n. 4/2014, ed. La Tribuna. In argomento cfr.
Cass. civ. 24 novembre 1998, ibidem.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Propone ricorso per cassazione, Persia Michele, quale
parte civile nel procedimento penale a carico di Trombet-
ta Vincenzo, Trombetta Nicola e Fiorentino Francesca,
concluso con sentenza di primo grado, di assoluzione di
tutti gli imputati, dai reati loro rispettivamente ascritti:
sentenza rimasta confermata in appello, a seguito della
declaratoria di inammissibilità della impugnazione propo-
sta dalla parte civile.
E proprio tale sentenza, pronunciata 1’8 giugno 2012,
dalla Corte di appello di Potenza, ha formato oggetto del
predetto ricorso.
In particolare, Trombetta Vincenzo era stato assolto, in
primo grado, dal reato di minacce e lesioni, in danno di
Persia Michele (capo B), perchè il fatto non costituisce
reato mentre Trombetta Nicola e Fiorentino Francesca,
unitamente a Trombetta Vincenzo, erano stati assolti dai
reati di ingiuria, minacce e lesioni personali, sempre in
danno del Persia, rispettivanente a ciascuno contestati ai
capi A), C), D) e E) (con riferimento, come il reato su
B), ad una vicenda del 2 aprile 2003) perchè il fatto non
sussiste.
La Corte d’appello di Potenza ha dichiarato, come detto,
inammissibile l’appello della parte civile, perchè carente
della specif‌icazione dei prof‌ili civilistici della domanda.
Deduce la ricorrente parte civile, ai soli effetti civili, la
violazione dell’articolo 576 c.p.p.
Nell’atto d’appello era stata esplicitamente richiesta la
condanna, dell’imputato, al risarcimento dei danni della
parte civile, che venivano quantif‌icati in € 60.000.
D’altra parte, anche la richiesta del riconoscimento della
responsabilità dell’imputato era chiaramente f‌inalizzata agli
interessi civili, essendo da escludere che l’impugnazione
della parte civile, in assenza di gravame del pubblico mini-
stero, possa sortire l’effetto di una condanna penale.

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