Brevi considerazioni a margine della sentenza della corte di cassazione n. 20228/06

AutoreIsidoro Palma
Pagine764-767

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@1. Premessa

- La sentenza in commento afferma importanti principi in tema di controllo sulla corrispondenza del detenuto. Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto inutilizzabile la corrispondenza acquisita mediante ordine di esibizione indirizzato dall'autorità inquirente al direttore del carcere ed avente ad oggetto tutta la corrispondenza dell'imputato in vinculis. La Corte ha messo in rilievo che libertà e segretezza della corrispondenza sono diritti inviolabili della persona, comprimibili solo con atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei casi previsti dalla legge. Al di fuori del rispetto della c.d. doppia riserva, le prove acquisite sono illegittimamente lesive di diritti costituzionali e, come tali, inutilizzabili. Il legislatore, osserva la Corte, ha predisposto due strumenti processuali per acquisire al procedimento elementi conoscitivi derivanti dalla corrispondenza del detenuto: il sequestro probatorio (art. 253 c.p.p.) ed il visto di controllo sulla corrispondenza disciplinato dall'art. 81 della L. 26 luglio 1975, n. 354 ord. pen. Forme di controllo della corrispondenza diverse dalle predette sono illegittime e le relative risultanze sono inficiate da inutilizzabilità. Il percorso argomentativo del giudice di legittimità è imperniato sull'accoglimento della categoria delle prove c.d. incostituzionali 1 e sull'interpretazione dell'art. 191 c.p.p. nel senso dell'estensibilità della sanzione dell'inutilizzabilità patologica anche alla violazione di divieti posti da norme di diritto sostanziale 2. La pronuncia in esame, offre, dunque, «il destro» per fare il punto sulle possibili forme di controllo della corrispondenza alla luce della normativa vigente, al fine di verificare se, allo stato, residuino ancora margini per l'utilizzo efficace di forme di controllo della corrispondenza epistolare a scopo investigativo.

@2. La disciplina antecedente alla L. 8 aprile 2004, n. 95

- La disciplina prevista originariamente dall'art. 18 della L. 26 luglio 1975, n. 354 e dall'art. 38 D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) riconosceva in capo all'A.G. il potere di apporre limiti alla corrispondenza del detenuto, ripartendo la competenza tra magistrato di sorveglianza e magistrato della cognizione, a seconda che fosse stata pronunciata o meno sentenza di condanna di primo grado. Erano, inoltre, previsti in capo alla direzione dell'istituto penitenziario un potere d'ispezione su tutta la corrispondenza, al fine d'impedire che si potessero veicolare valori o oggetti non consentiti e un potere, di natura cautelare, di trattenimento della corrispondenza, sulla base del mero sospetto circa la presenza di elementi costituenti reato o comunque fonti di pericolo per l'ordine e la sicurezza. In quest'ultimo caso, il direttore dell'istituto penitenziario aveva l'obbligo di notiziare immediatamente il magistrato di sorveglianza che decideva di disporre l'inoltro, qualora avesse ritenuto insussistente le ragioni del trattenimento. In caso contrario, il magistrato di sorveglianza poteva confermare il trattenimento e inoltrare la missiva all'autorità inquirente che provvedeva al sequestro. È evidente che tale regime giuridico collideva innanzitutto col principio della c.d. doppia riserva previsto dall'art. 15 della Costituzione, atteso che erano previsti, da fonte regolamentare, poteri di apporre limiti alla libertà di corrispondenza da parte dell'autorità amministrativa e sulla base del mero sospetto. Quanto poi ai poteri d'intervento dell'autorità giudiziaria, la legge non disciplinava casi e modalità delle limitazioniPage 765 né prevedeva termini di durata di provvedimenti che comprimevano libertà e segretezza della corrispondenza. Né d'altra parte erano previsti rimedi di carattere giurisdizionale a tutela della posizione soggettiva del detenuto, al quale era concessa solo la possibilità di esperire un reclamo ai sensi dell'art. 35 ord. pen. (L. n. 354/75).

Tale assetto normativo fu ritenuto, tuttavia, per lungo tempo conforme al dettato costituzionale sull'assunto che le limitazioni del diritto all'inviolabilità della corrispondenza erano conseguenze accessorie della compressione del bene più ampio della libertà personale, di cui libertà e segretezza della corrispondenza rappresentavano mere specificazioni 3.

Fu solo grazie ad un lento e graduale processo evolutivo, che prese le mosse dalla c.d. legge «Gozzini» (L. 10 ottobre 1986, n. 663) e culminò con la sentenza della Corte costituzionale n. 26/99, che si giunse ad affermare la permanenza in capo al detenuto, anche durante lo stato di detenzione, di diritti della persona inalienabili e incomprimibili se non nel rispetto delle previsioni costituzionali. E poiché il riconoscimento di diritti soggettivi intanto può avere un significato in quanto se ne garantisce l'effettività tramite la giustiziabilità, il giudice delle leggi giunse a dichiarare con la menzionata sentenza, l'incostituzionalità dell'art. 35 ord. pen. nella parte in cui non consentiva il ricorso giurisdizionale avverso provvedimenti dell'amministrazione penitenziaria lesivi di diritti soggettivi del detenuto 4.

Ma l'assetto normativo previgente collideva anche con l'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo che riconosce ad ogni persona il rispetto della sua corrispondenza, ammettendo «ingerenze della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto» solo se previste dalla legge e necessarie per tutelare una gamma di valori fondanti una società democratica.

La Corte di Strasburgo, in diverse pronunce, condannò, di conseguenza, lo Stato italiano ritenendo la disciplina dettata dall'art. 18 ord. pen. in contrasto con l'art...

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