Il nuovo comma 4 bis dell’art. 76 T.U. sull’accesso al patrocinio a spese dello Stato

AutoreEleonora Antonuccio
Pagine139-143

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@1. Le fattispecie interessate

Il nuovo comma 4 bis dell’art. 76 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito ad opera dell’art. 12 ter del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla l. 24 luglio 2008, n. 125, pone una presunzione di superamento dei limiti di reddito previsti per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato, nei confronti dei soggetti già condannati con sentenza definita per i reati di associazione di tipo mafioso anche straniera (art. 416 bis c.p.), di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291 quater D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, limitatamente alle ipotesi aggravate di cui all’art. 80 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, limitatamente al comma 1 dell’art. 74 D.P.R. n. 309/1990, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo1.

Sulla natura, assoluta o relativa, della presunzione legale, il Legislatore non ha dato suggerimenti. La lettera della norma non esclude la prova contraria, ma nemmeno indica espressamente il contenuto di un’eventuale prova liberatoria2. In assenza di appigli letterali, all’interprete non rimane che guardare al sistema in cui è inserita la disposizione e alla sua ratio.

Per la generalità dei procedimenti penali, l’art. 79, c. 1, lett c), D.P.R. n. 115/2002, impone, a pena d’inammissibilità, all’interessato d’allegare alla sua istanza d’ammissione una dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la sussistenza delle condizioni di reddito. Il terzo comma dello stesso articolo prevede che il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati possano richiedere, a pena d’inammissibilità, che l’interessato produca la documentazione necessaria ad accertare la veridicità delle dichiarazioni. La falsità o le omissioni sono punite ai sensi dell’art. 95.

Il successivo art. 96 prevede, al primo comma, che il giudice, nel decidere sull’istanza di ammissione, debba pronunciarsi affermativamente quando, alla stregua dell’autocertificazione sulle condizioni di reddito di cui all’art. 79, c. 1, lett. c), ricorrano le condizioni reddituali richieste dalla legge.

Per il secondo comma dell’art. 96, il magistrato respinge l’istanza quando ci sia fondato motivo di ritenere che non sussistano le condizioni di reddito, avuto riguardo al tenore di vita, alle condizioni personali e familiari, alle attività economiche eventualmente svolte e - a seguito di un’interpolazione attuata mediante l’art. 12 ter del d.l. n. 92/2008 - alle risultanze del casellario giudiziale. Nel procedere a questa valutazione, il magistrato può ricorrere, in via preventiva, alle ulteriori verifiche eseguite, su sua richiesta, dalla Guardia di Finanza.

Pronunciata l’ammissione al beneficio, per il disposto dell’art. 98, il relativo decreto, insieme alla copia dell’istanza, delle dichiarazioni e della documentazione allegate dall’interessato, sono trasmesse all’ufficio finanziario che verifica l’esattezza dell’ammontare del reddito attestato dall’interessato, la compatibilità dei dati con le risultanze dell’anagrafe tributaria e la posizione fiscale dell’istante.

Se questo è il quadro generale, per alcune fattispecie di reato, il comma terzo dell’art. 96 pone una norma di maggior rigore: per i delitti previsti dall’art. 51, c. 3 bis, c.p.p.3 (ovvero nei confronti di persona proposta o sottoposta a misura di prevenzione), il magistrato deve chiedere ulteriori informazioni sul tenore di vita, sulle condizioni personali e familiari e sulle attività economiche eventualmente svolte dal richiedente, al questore, alla direzione investigativa antimafia (DIA) e alla direzione nazionale antimafia (DNA), oltre che, eventualmente, alla Guardia di finanza. La previsione pone già, a ben vedere, una sorta di presuntiva inattendibilità delle dichiarazioni sostitutive di certificazione prodotte, prevedendo in capo al giudice il dovere di rivolgersi ai soggetti suddetti, interpellati in quanto migliori conoscitori del quadro criminale entro il quale, eventualmente, raccogliere le tracce dell’esistenza di patrimoni illeciti, sparpagliati nelle reti di affiliazioni e connivenze, non altrimenti percepibili dall’analisi della situazione fiscale dichiarata.

Le forme di controllo preventivo, concesse o imposte al giudice ai c. 2 e 3 dell’art. 96, giungono nel D.P.R. n. 115/2002 per esservi state pedissequamente trasfuse dalla l. 30 luglio 1990, n. 213. La stessa era stata interpolata all’art. 1, coi commi 9 bis e 9 ter (oggi, appunto, commi 2 e 3 dell’art. 96), ad opera della l. 29 marzo 2002, n. 134, in ossequio all’esplicito intento di sventare i rischi di abuso del beneficio a cui la l. n. 213/1990, col suo meccanismo di controllo formale del giudice e solo successivo dell’intendente di finanza, prestava inevitabilmente il fianco. Soprattutto, i controlli pervasivi per tramite della DIA e della DNA dovevano evitare che situazioni di artata nullatenenza aprissero la via dell’ammissione al patrocinio a spesePage 140 dello Stato anche per quei soggetti che, attraverso attività illecite, avessero accumulato ingenti risorse economiche non fiscalmente accertabili.

Venendo alla novella, l’elenco predisposto dal nuovo comma 4 bis dell’art. 76 sottrae spazi di operatività all’art. 96. Contemplando espressamente il traffico aggravato di stupefacenti, la norma evita che la richiesta del soggetto già condannato per tale reato ricada nel meccanismo generale dell’art. 96, c. 2. Estendendo, poi, la presunzione di superamento dei limiti reddituali a buona parte delle fattispecie previste dall’art. 51, c. 3 bis, c.p.p., fa sì che, sempre nel caso in cui sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna per uno di questi delitti, non si debba più ricorrere alle verifiche indicate dall’art. 96, c. 3. Il meccanismo di verifica del terzo comma rimane pienamente operativo solo con riguardo agli articoli 416, c. 6, 600, 601 e 602 c.p..

In questo quadro di sistema, la presunzione introdotta dal pacchetto-sicurezza acquista il seguente significato: per i soggetti richiedenti raggiunti da una sentenza irrevocabile di condanna per uno dei reati indicati, il controllo ai sensi dell’art. 96, c. 3, è superato dall’accertamento penale intervenuto, il quale è sufficiente a far ritenere che l’istante abbia accumulato risorse illecite superiori a quelle fiscalmente rappresentate. Così, se si volesse ammettere una prova contraria, essa dovrebbe consistere nella prova dell’inesistenza di accumuli patrimoniali occulti, una probatio diabolica in sostanza non molto diversa da una presunzione assoluta.

La scelta del Legislatore odierno sembra, dunque, quella di disinnescare in toto, con la presunzione suddetta - e, quindi, a prescindere da un nuovo controllo in...

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