Danno biologico: vecchi e nuovi problemi sulla natura e sull

AutoreCataldo De Sinno
Pagine51-55

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Ampie appaiono le problematiche giuridiche poste dalla lesione del bene salute o danno biologico, nell'ambito, più generale, del danno alla persona1 che hanno appassionato la dottrina e la giurisprudenza.

La questione oggetto di valutazione da parte della sentenza in epigrafe, riguarda la inclusione nella determinazione del danno biologico sia dell'invalidità temporanea che dell'invalidità permanente.

È opportuno, preliminarmente, fare qualche cenno alla natura del danno biologico, al fine di comprendere appieno il significato del riconoscimento, nella sua liquidazione sia dell'invalidità temporanea che permanente. È noto che il concetto di invalidità è da rapportarsi alla capacità lavorativa generica. Sorge, quindi, la necessità di chiarire in che relazione stia la perdita della capacità lavorativa generica con il danno biologico2, posto che lo stesso sembra comprendere «l'ampio orizzonte dei danni extralavorativi»3. In altri termini occorre acclarare se nella nozione di danno biologico possa essere ricompresa anche la perdita della capacità lavorativa, essendo quest'ultima certamente da porsi in un ambito ben preciso quale è quello di danno patrimoniale da potenziale diminuzione o perdita della capacità di produrre reddito da lavoro4. Ecco quindi che appare opportuno non prescindere da qualche riferimento - sia pur breve e schematico - alle controverse problematiche riguardanti la nozione, la natura e gli effetti del danno biologico. È interessante notare come tale materia attenda ormai da tempo una regolamentazione legislativa e forse sono maturi i tempi per la approvazione di una legge, come sembrerebbe di poter affermare in seguito alle iniziative legislative che si sono registrate recentemente5, tendenti ad affrontare il problema del risarcimento del danno biologico non solo da un punto di vista sistematico, ma anche pratico.

La decisione dei giudici di appello tarantini riconosce la risarcibilità del danno biologico da invalidità permanente, ponendosi nel solco già tracciato dalla Cassazione6. La Suprema Corte ha infatti ritenuto che trattandosi di un risarcimento dovuto per la lesione del bene primario salute (consistente nel diritto di ciascuno all'integrità psico-fisica, che trova ampia tutela e riconoscimento nell'art. 32 della Costituzione), non possa, conseguentemente, non essere riferito anche all'invalidità micropermanente, quale componente del danno biologico.

Il ragionamento seguito dai giudici del Supremo Collegio fa leva sulla osservazione che l'incapacità non deve essere considerata come causa di mancato guadagno - in quanto ciò attiene ad un ambito specifico di danno patrimoniale - ma deve essere messa in relazione alla lesione del generico modo di essere del soggetto7. L'opinione trova anche il consenso della dottrina8, che riconosce e giustifica la connessione tra incapacità lavorativa generica e danno biologico. Esattamente la Corte tarantina ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico, quale conseguenza della lesione del bene salute. Occorre notare come invece la giurisprudenza (e non solo quella di merito), non sempre abbia saputo individuare una figura di danno biologico onnicomprensiva e rappresentativa di varie situazioni di lesione di interessi attinenti la sfera psico-fisica della persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, alla sfera sessuale ecc.), ma che al contrario spesso abbia individuato, ad esempio, una autonoma figura di danno alla vita di relazione non sempre coincidente con il danno biologico9.

Risolta allora la questione del contenuto del danno biologico risarcibile e della sua connessione o meno anche alla capacità lavorativa10, o quanto meno della delimitazione del suo riferimento all'ambito della capacità lavorativa generica11, rimane da affrontare la problematica relativa alla prova del danno biologico.

In generale - e da tempo - la Corte costituzionale ha chiarito che la lesione del bene salute «dà luogo a risarcimento indipendentemente dai riflessi sull'attitudine a produrre reddito del danneggiato»12.

È noto come l'origine del riconoscimento giurisprudenziale del danno biologico come danno meritevole di autonoma rilevanza sia da porre in relazione proprio al superamento dell'orientamento tradizionale tendente a riconoscere il danno alla persona esclusivamente come danno patrimoniale, o in caso di reato di danno non patrimoniale13. Di tal che in termini di liquidazione lo stesso veniva commisurato essenzialmente a valori reddituali da porsi in relazione alla capacità lavorativa. E ciò, naturalmente aveva determinato inaccettabili (e, talora, incredibili) situazioni di disparità di trattamento non solo nei confronti di chi non avesse capacità di produzione di reddito da lavoro (ad esempio, i pensionati). Risultava, cioè, escluso il riconoscimento della capacità di produrre valori d'uso (beni o servizi prodotti per sè al di fuori del - o di un - lavoro retribuito)14 ed affermato solo quello della capacità relativa ai valori di scambio (cioè beni o servizi prodotti nell'ambito di un'attività di lavoro). Di qui la progressiva affermazione, operata dalla giurisprudenza, della autonoma rilevanza del danno biologico in quanto tale, connesso cioè alla lesione dell'integrità psico-fisica15 dell'uomo, nozione sganciata dalla capacità di produrre redditi, e collegata invece alle ca-Page 52pacità naturali della persona16. L'evoluzione giurisprudenziale ha poi consentito alla stessa Corte costituzionale il pieno riconoscimento della risarcibilità della lesione del bene salute, in quanto bene costituzionalmente tutelato dall'art. 3217. Nella elaborazione della giurisprudenza la lesione del bene salute deve quindi essere tenuta distinta dagli altri pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali che in ipotesi possono verificarsi in caso di danno alla persona.

Sembrava, in altri termini, essere stata riproposta la teoria18 del tertium genus (tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale) costituito appunto dal danno biologico19. E ciò a fronte della tradizionale (e codicistica) bipartizione tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale20, che obbligherebbe alla scelta del danno biologico come danno patrimoniale21, data anche la oggettiva impossibilità di risarcimento del danno non patrimoniale al di fuori delle ipotesi previste connesse alla sussistenza di un reato. Non mancati peraltro tentativi diretti ad annoverare il danno biologico tra i danni non patrimoniali22.

In altri termini gli orientamenti in favore della tesi della tripartizione o della opposta per la bipartizione si contendono il campo sia nella dottrina che nella giurisprudenza. Appare comunque corretta la impostazione seguita dalla giurisprudenza che tende a dare autonoma rilevanza al danno biologico, distinguendolo dalle ipotesi di danni patrimoniali. Il fatto che il danno biologico sia «oggettivamente misurabile»23 e che pertanto presenti elementi di patrimonialità (il relativo risarcimento mira a compensare comunque perdite di utilità), non può comunque significare che esso debba sic et simpliciter essere configurato in termini di «danno patrimoniale» se non con la precisazione che esso ha sicuramente un contenuto patrimoniale in quanto il risarcimento tende a compensare quelle perdite di utilità che il soggetto leso ha subito e che non possono non avere un riferimento di ordine economico. E ciò senza disconoscere che «la qualificazione del danno alla salute in termini di danno patrimoniale meglio risponde allo schema del codice civile il quale distingue tra danno patrimoniale e non patrimoniale»24. In altri termini la «patrimonialità» del danno biologico non va intesa nel senso che debba essere posta in relazione al valore di scambio del bene leso, ma al contrario alla valutazione del valore d'uso25. Anche e soprattutto perché, come si è osservato, «il problema che si tende a risolvere con l'introduzione del danno alla salute è quello di risarcire le lesioni che si collocano in posizione intermedia tra le sofferenze ed i patemi d'animo (danno morale), da un lato, e la perdita di reddito (danno da lucro cessante), dall'altro»26. D'altra parte non può non rilevarsi che la salute di per sè non è un bene, ma un aspetto della persona, e come tale rientra tra i diritti della personalità27, e che la salute, al pari dell'uomo è «insuscettibile di valutazione economica»28, essendo «la persona umana un valore in sè [...] non commensurabile con altre utilità»29. Ciò che rileva, pertanto, è la conseguenza della lesione e cioè il complesso delle utilità che ciascuno trae dalla sua persona30. Ma ciò non deve comportare ulteriori conseguenze per ciò che concerne l'onere probatorio in ordine al pregiudizio subito. Caratteristica essenziale del danno biologico è che per il suo riconoscimento e la conseguente liquidazione non è necessario che il richiedente danneggiato dimostri concretamente la sua entità. A sostegno di tale tesi basti ricordare che la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, sin dalla sentenza che riconobbe la lesione del bene salute come suscettibile di risarcimento (la n. 184/86), ha fatto riferimento al danno biologico quale danno «presunto», e che anche successivamente ha ribadito che la tutela risarcitoria «deve essere ammessa, per precetto costituzionale, indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento essendo la diminuzione o la privazione di valori della persona inerenti al bene protetto».

In altri termini sussistendo la lesione del bene salute, sussiste il danno biologico...

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