Tempi e modi dell'obbligo ex art. 129, Comma 1, C.P.P. Di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità: una questione assai controversa, da risolvere avendo riguardo alle diverse fasi processuali e al diverso ruolo che in esse svolge l'organo giudicante.

AutoreSandro Celletti
Pagine487-490

Page 487

@1. I termini del problema

Si registrano, nella prassi degli organi giudicanti di primo grado, casi non infrequenti di errata applicazione del disposto dell'art. 129, comma 1, c.p.p., interpretato da taluni di quelli come norma che li autorizza a procedere comunque a immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, anche a prescindere dal rispetto delle altre disposizioni regolanti la specifica fase processuale.

Con ogni probabilità, l'errore ha radice nel testo stesso della richiamata disposizione, che recita: «In ogni stato e grado del processo, il giudice il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza». In tal modo, una lettura incentrata soprattutto sulla circostanza "temporale" indicata dalla legge («in ogni stato e grado del processo») può indurre il giudice a ritenersi legittimato a dichiarare la non punibilità dell'imputato senza particolari formalità, alla sola condizione che sia stata esercitata l'azione penale, e dunque che si sia superata la fase procedimentale e ci si trovi in quella propriamente "processuale".

La esclusione della fase procedimentale dall'ambito di operatività dell'art. 129, pertanto, costituisce la principale differenza tra tale disposizione e quella, ad essa corrispondente, dell'art. 152 dell'abrogato codice del 1930.

È pur vero che tra la vecchia e la nuova disposizione non manca qualche altra variante testuale: infatti, tra le formule di proscioglimento richiamate dal comma 1 di detto art. 152 non figurava la formula «che il fatto non costituisce reato», ma soltanto quella «che la legge non lo prevede come reato». La diversità rispetto alla disciplina odierna era, però, più apparente che reale; la qual cosa perché, secondo il costante orientamento dottrinale e giurisprudenziale dell'epoca, le due formule erano tra loro equivalenti e dovevano essere impiegate ogni qualvolta, mancando nel fatto un elemento - il dolo, ma non solo - esso fatto, pur sussistendo nei suoi tratti naturalistici, non era più quello previsto dal Legislatore 1.

La differenza essenziale era data dalla maggiore latitudine del potere-dovere di proscioglimento immediato del giudice, che attualmente è limitato al "processo" - sicché presuppone che l'organo di accusa abbia esercitato l'azione penale nelle forme di cui all'art. 405 c.p.p. - laddove nel vecchio sistema era giocoforza meno imbrigliato, stante la mancanza di soluzione di continuità tra "procedimento" e "processo" e la fluidità dei modi di esercizio dell'azione penale: basti pensare alla possibilità per il giudice istruttore, una volta trasformatasi l'istruzione sommaria in formale ai sensi dell'art. 272, comma 2, c.p.p. 1930 (ossia per il decorso del termine di quaranta giorni dall'inizio della custodia preventiva senza che il Pubblico Ministero avesse richiesto la citazione a giudizio o il proscioglimento dell'imputato), di pronunciare sentenza di non doversi procedere ex art. 378 stesso codice anche in assenza di promovimento dell'azione penale da parte del magistrato requirente.

Ma il problema dell'ambito di applicazione della norma circa l'obbligo del giudice di dichiarare immediatamente determinate cause di non punibilità, si poneva per l'art. 152 del codice "Rocco" non meno che per l'art. 129 del codice vigente; e allora come oggi trovava, nella giurisprudenza, soluzioni talora sbagliate, la cui causa andava cercata, essenzialmente, nell'ambiguità dell'espressione «in ogni stato e grado» del procedimento/processo.

@2. Il significato, in generale, dell'obbligo di declaratoria di cui all'art. 129, comma 1, c.p.p.

In realtà, l'art. 129, comma 1, del codice di procedura penale, nello stabilire che il giudice è obbligato, in ogni stato e grado del processo, a pronunciare determinate cause di non punibilità, gli impone un dovere funzionale a cui dare priorità rispetto a qualsiasi altra decisione; ma - almeno secondo l'opinione tuttora di gran lunga prevalente nella giurisprudenza di legittimità (sul punto, cfr. infra, par. 4) - non gli conferisce affatto il potere di decidere de plano, senza portare a termine la fase processuale, sia che si tratti della fase compresa tra la chiusura delle indagini preliminari e l'udienza preliminare, sia che si tratti dell'udienza preliminare o (come più spesso accade) del dibattimento.

Il sistema conosce soltanto un caso in cui al giudice è dato di pronunciare sentenza di proscioglimento senza completare la fase in cui il processo si trova, ossia prima del dibattimento.

L'evenienza, del tutto eccezionale, è prevista e discipli nata dall'art. 469 c.p.p., la cui applicabilità è subordinata a una serie di condizioni, per lo più negative:

- che non ricorra una causa di assoluzione nel "merito" (art. 129, comma 2, c.p.p.);

- che, in concreto, manchi una condizione di procedibilità o risulti una causa di estinzione del reato e per accertarla non sia necessario procedere al dibattimento;

- che il Pubblico Ministero e l'imputato siano stati previamente sentiti e non si siano opposti.

Una norma analoga era contenuta nell'art. 421 del codice del 1930, che regolava la materia del proscioglimento predibattimentale: tra la vecchia e la nuova disposizione, al di là dei dati testuali, la differenza forse più importante concerneva la minore estensione dell'obbligo del giudice di sentire previamente le parti, limitato, giusta la comune interpretazione giurisprudenziale dell'inciso «sentite le parti» Page 488 (aggiunto al testo originario dall'art. 19 della legge 18 giugno 1955, n. 517), al caso in cui, dovendosi pronunciare sentenza di proscioglimento per amnistia, all'imputato non fosse stata previamente contestata l'accusa 2.

Al di fuori dell'ipotesi sopra citata (art. 469), il giudice, per poter pronunciare sentenza, deve rispettare le norme valevoli per la fase a cui il processo è giunto.

La regola, tuttavia, produce effetti diversi a seconda della fase processuale di riferimento.

@3. L'obbligo di declaratoria ex art. 129, comma 1, c.p.p. nel predibattimento

Nella fase degli atti preliminari al giudizio (artt. da 465 a 469 c.p.p.), la sfera di operatività del giudicante è limitata sia soggettivamente (Presidente del Tribunale o della Corte) che oggettivamente (anticipazione o differimento dell'udienza; assunzione di prove non rinviabili; autorizzazione alla citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici).

In questo ambito, l'unica eccezione in senso decisionale è rappresentata, appunto, dall'art. 469, di cui si è parlato.

La questione è stata più volte esaminata dalla suprema Corte, la quale ha affermato che «il proscioglimento prima del dibattimento è previsto soltanto per i casi in cui manca una condizione di procedibilità o ricorre una causa estintiva del reato», mentre, «per tutti gli altri casi in cui ricorra una causa di assoluzione nel merito, la decisione deve essere adottata in dibattimento, come si evince dal testo dell'art. 530, comma 1, c.p.p., che enuncia fra le cause di assoluzione riservate al...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT