I Principali aspettiproblematici di un rito speciale ampiamente utilizzato nella prassigiudiziaria: dalla manifestazione del consenso alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti

AutorePaolo Grillo
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1. Introduzione

Sin dal momento della sua introduzione nell’ordinamento processuale, il “patteggiamento” ha offerto agli studiosi ed alla giurisprudenza l’occasione per analizzare alcune questioni rimaste prive di soluzioni normative esplicite.

Il nostro ordinamento processuale conosce questa figura di negoziazione sulla pena da tempi relativamente recenti. Infatti, l’istituto non era previsto dal codice Rocco del 1930.1

La prima apertura verso uno strumento mediante il quale accusa e difesa possano accordarsi su una pena da applicare, rinunciando così all’accertamento dibattimentale del fatto storico oggetto del processo, si rinviene nell’art. 77 della legge n. 689 del 1981.2

Una disciplina più completa ed articolata è stata, invece, prevista dal testo originario del nuovo codice di procedura penale agli artt. 444 e seguenti.

Le caratteristiche peculiari dell’istituto in esame sono state, sin dall’inizio, quelle legate al suo ristretto ambito applicativo 3: due anni di pena detentiva come massimo negoziabile (entità, com’è facile intuire, scelta perché pari al massimo della pena sospendibile condizionalmente), limite massimo di un terzo per la riduzione di pena dipendente dalla scelta del rito alternativo e, infine, vaglio giudiziale sulla qualificazione del fatto di reato e sulla congruità della pena. È interessante notare, al riguardo, che la dottrina non ha manifestato, sotto il vigore di quello che può definirsi come il progenitore del patteggiamento poi introdotto dall’art. 444 c.p.p., particolare fiducia nella possibilità applicative dell’istituto.

Oggi, si può invece affermare che le previsioni pessimistiche in ordine al “successo” giudiziario del patteggiamento non erano, con tutta evidenza, esatte.

Si coglie pertanto l’occasione -ad oltre venti anni di distanza dalla sua introduzione nel codice di rito -per passare in rassegna alcune delle principali problematiche connesse all’operatività del rito in esame.

2. Difesa tecnica, presenza dell’imputato e manifestazione del consenso negoziale

Con riferimento, ad esempio, alla partecipazione del difensore dell’imputato patteggiante all’udienza in cui il rito negoziale dovrebbe giungere a compimento, la giurisprudenza aveva inizialmente ravvisato la necessità della sua presenza. Veniva così sanzionato, mediante la nullità assoluta l’omesso avviso al difensore dell’udienza o la sua mancata partecipazione alla stessa.4

Diversamente, qualora l’imputato fosse difeso da due legali, per la validità dell’accordo negoziale era sufficiente che uno soltanto di essi sia correttamente avvisato dell’udienza.5

L’evoluzione giurisprudenziale, comunque, è stata nel senso di conservare il più possibile la validità dell’accordo negoziale, anche se stipulato in presenza del difensore d’ufficio 6 e non già da quello di fiducia (al quale non sia stata recapitata la citazione); ciò perché, in ogni caso, la volontà deve essere espressa dall’imputato e non dal difensore.

Per quanto riguarda invece, la manifestazione del consenso, subito dopo l’entrata in vigore del nuovo codice, era sorto il dubbio se la volontà negoziale, in forza del principio di oralità che è proprio del rito accusatorio, fosse necessario esprimerla oralmente o se fosse invece possibile manifestarla per iscritto.

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3. Forma della manifestazione di volontà ed eventuali divergenze tra voluto e dichiarato

La giurisprudenza risolse sin da subito la questione, ritenendo che la volontà può essere manifestata sia oralmente, sia per iscritto, facendo leva sulle seguenti considerazioni.7

Anzitutto, nonostante l’oralità del rito accusatorio, le parti possono sempre presentare istanze scritte ai sensi dell’art. 121 c.p.p..

In secondo luogo, l’imputato può anche scegliere di non comparire, così come indirettamente si evince dalla previsione di cui all’art. 446, comma 5, c.p.p., nella parte in cui si prevede per il giudice la facoltà di convocazione dell’imputato per verificare la spontaneità del consenso prestato.

Sempre la giurisprudenza 8 ha invece ritenuto necessaria la forma scritta per la volontà negoziale espressa al di fuori dell’udienza.

Se la dottrina appare concorde nel ritenere che il rito negoziale in esame non sia qualificabile come una transazione,9 giacché i diritti in gioco non sono disponibili, si deve invece registrare una difformità tra dottrina e giurisprudenza sul tema delle eventuali divergenze tra quanto dichiarato in sede di negoziazione sulla pena e quanto realmente voluto.

La giurisprudenza ha ritenuto, infatti, che si debba tenere conto unicamente di quanto dichiarato e che non possa considerarsi nullo quel patteggiamento nel quale il voluto sia diverso 10; tale nullità, infatti, non è prevista dal codice e, dunque, non può essere dichiarata per il principio di tassatività che disciplina le cause di invalidità.

La dottrina, dal canto suo, ha assunto posizioni più articolate, sostenendo che il giudice non dovrebbe ratificare con la sentenza un negozio processuale viziato da divergenze tra dichiarazione e volontà, o anche che, sebbene non possa parlarsi di nullità, il decidente potrebbe esercitare i poteri inibitori per impedire il raggiungimento dell’accordo.

Tale ultima tesi si fonda, oltre che sull’esigenza di non configurare nullità diverse da quelle già esistenti, anche sulla considerazione che l’eventuale nullità ricadrebbe non già su atti processuali già compiuti, ma su accordi prodromici a quello previsto dal codice.11

4. Soggetti legittimati

Abbiamo già osservato, in relazione ai soggetti legittimati a prestare il consenso, che la volontà negoziale deve essere espressa sia dall’imputato, sia dal pubblico ministero. In luogo del primo può anche negoziare il difensore, purché sia munito di procura speciale.12

È stato recentemente osservato che il difensore non munito di procura speciale, sebbene non possa concordare la pena, può invece presentare l’accordo formulato e sottoscritto dall’imputato, la cui sottoscrizione sia autenticata dallo stesso difensore.13

Con riferimento a quest’ultima, occorre rilevare che la prevalente dottrina è concorde nel ritenere che non occorre indicare né il quantum né il quomodo della pena: un’eventuale indicazione in tal senso, anzi, viene ritenuta contrastante con la struttura negoziale del rito, giacché irrigidirebbe le trattative tra accusa e difesa limitando la prima ad accettare o rigettare in toto la proposta.14

Sulla stessa scia si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità, acutamente osservando che, qualora vi fosse in procura speciale una rigida indicazione della pena da applicare, il procuratore perderebbe qualsivoglia autonomia, regredendo al ruolo di mero portavoce della volontà altrui.15

È proprio sulla base di tali pronunce che si è formato un orientamento piuttosto consolidato in seno al problema del superamento, da parte del difensore, dei limiti eventualmente imposti con il mandato difensivo durante l’esercizio dell’attività di negoziazione della pena e del trattamento sanzionatorio.

La giurisprudenza, sul punto, si è inizialmente espressa nel senso di ritenere che tale eventuale superamento non è in grado di inficiare in alcun modo la validità del patteggiamento poi conclusosi, poiché il travalicamento dei limiti imposti al difensore è limitato ai rapporti tra quest’ultimo e l’imputato.16

Successivamente, tuttavia, tale indirizzo è stato ribaltato da pronunce di segno esattamente opposto, nelle quali è stata maggiormente valorizzata la circostanza della natura strettamente personale (per l’imputato) del diritto che viene esercitato dal difensore munito di procura speciale.17

Da quanto si è detto si evince tuttavia che la giurisprudenza ritiene pur sempre opportuno - ai fini della corretta estrinsecazione della logica negoziale - che il procuratore, nel rispetto dei limiti dell’atto che lo nomina in tal senso, abbia ampia autonomia nel determinare la pena ed i contenuti accessori del patteggiamento.

È stato, conseguentemente, ritenuto soltanto formale e non sostanziale il potere di rappresentanza conferito al difensore al quale non sia contestualmente attribuita la facoltà di negoziare liberamente la pena.18

Di contro, occorre che il potere di definire il procedimento penale con patteggiamento venga conferito attraverso formule non equivoche nel loro tenore, non valendo a tal fine deleghe dal...

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