Art. 3 della l. 26 febbraio 1977 n. 39 e sue violazioni

AutoreEdgardo Colombini
Pagine673-681

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In una sua recente sentenza la Corte di cassazione (18 agosto 1998, n. 8154, in questa Rivista 1999, p. 986) ha affermato che «l'assicuratore il quale lasci trascorrere i termini per la formulazione dell'offerta e, dopo l'instaurazione di un giudizio, paghi, in seguito a transazione, una somma superiore a lire 100.000, è soggetto alla sanzione di lire 100.000 e non a sanzione pari alla somma corrisposta, atteso che la transazione intervenuta a seguito della instaurazione di un giudizio (ancorché non racchiusa un un verbale di conciliazione) non è equiparabile alla offerta di cui all'art. 3 del D.L. 857 del 1976 convertito in L. 26 febbraio 1977 n. 39, costituendo un negozio a sè stante, in cui, tra l'altro, non necessariamente l'assicuratore deve assumere il ruolo di proponente, potendo limitarsi ad accettare una proposta transattiva avanzata dalla controparte».

Si tratta di una decisione che, a nostro sommesso avviso, può lasciare perplessi - specie per certe connotazioni di fatto che non corrispondono, in materia di transazione in campo assicurativo, ad una realtà operativa ben diversa e conosciuta da quanti, come noi, per decenni hanno svolto la loro attività in questo settore - anche se, a onor del vero, punta ad individuare comunque, per il caso specifico, una via di uscita dalle secche di una disposizione legislativa incompleta, incongruente e quindi imperfetta, quale quella che appare quando si approfondisca l'esame dell'art. 3 della L. 26 febbraio 1977 n. 39 rapportandolo ad una casistica ben più complessa di quella individuata sommariamente dal nostro legislatore, che ha finito col fare anche, in qualche situazione, di tutte l'erbe un fascio in un'ottica punitiva - talora sproporzionata - dell'assicuratore, in taluni casi ben poco responsabile per ritardi su una tabella di marcia che purtroppo, non può tener conto, nella sua astrattezza e nella sua generalizzazione, di strutture operative spesso diverse fra di loro: il che era proprio stato posto in evidenza, nei precedenti gradi del giudizio portato all'esame della Corte Suprema, dalla compagnia di assicurazione interessata, la quale aveva osservato essere irragionevole sanzionare con appena lire 100.000 la mancanza di offerta e con importo pari alla somma offerta (se superiore) il ritardo nella formulazione della offerta stessa - o nel pagamento della medesima - essendo queste ultime condotte molto meno gravi della prima.

Incongruenza nell'art. 3 della L. 26 febbraio 1977 n. 39 riconosciuta dal Giudice di pace di Trieste - come rilevabile dalla esposizione della Corte di cassazione nella sentenza citata - non superabile però, allo stato, «non potendo l'interprete sostituirsi al legislatore».

Ma non solo di incongruenze parleremo. Constateremo pure, infatti, che, in alcuni casi, le sanzioni dovrebbero essere plurime sommandosi fra di loro con effetti devastanti, mentre talaltra ci si trova di fronte ad una vera e propria situazione di incompletezza che può spingere anche, ad esempio, a sostenere - come avvenuto in più di una occasione - che la transanzione è equiparabile addirittura ad una mancanza di offerta e non ad un ritardo di quest'ultima onde puntare ad ottenere l'applicazione della sanzione inferiore delle lire 100.000 anziché quella più pesante pari all'importo della tardiva offerta, trascurando il fatto che, comunque, nella transazione, oltre tutto, è pur sempre individuabile - come più diffusamente vedremo in appresso - una offerta dell'assicuratore.

Incompletezza rilevata - come si è detto - dalla stessa Corte Suprema.

Questa ha infatti premesso che la ratio dell'art. 3 del D.L. 23 dicembre 1976 n. 857 convertito con modifiche in L. 26 febbraio 1977 n. 39 «da un lato tende a favorire la composizione extragiudiziale per le conseguenze dannose dei sinistri da circolazione stradale, mentre da un altro lato mira a far conseguire in tempi rapidi al danneggiato il risarcimento dovutogli, ed a tal fine costruisce una forma di procedimento scandito da termini legislativamente prefissati. Per l'inosservanza di tali termini da parte dell'assicuratore (e quindi a garanzia del loro rispetto) è prevista la irrogazione di una sanzione pecuniaria. Tale sanzione è diversamente strutturata secondo le alternative contemplate nell'art. 3 ottavo comma della legge n. 39 del 1977, ma il presupposto è unico ed è costituito dalla inosservanza dei termini».

Ma le alternative previste dal legislatore in modo espresso sono soltanto due, sempre secondo i giudici della Cassazione: «la prima riguarda il caso in cui l'assicuratore lasci trascorrere inutilmente i termini fissati per adempiere l'obbligo di comunicare al danneggiato la misura della somma offerta per il risarcimento, ovvero per indicare i motivi per i quali non si ritiene di fare offerta (commi primo, secondo, terzo dell'art. 3); la seconda concerne l'ipotesi in cui l'assicuratore, dopo avere formulato una offerta superiore a lire centomila, non provveda poi al pagamento nei termini prescritti».

Per la prima alternativa è prevista una sanzione pecuniaria di lire 100.000 ed in tale previsione rientra anche, per la Suprema Corte (ibid. p. 988), «l'inerzia dell'assicuratore, il quale ometta di rispondere dopo la ricezione della richiesta di risarcimento, non risultando formulata per questo specifico caso un'apposita regola, sicché resta come solo dato rilevante l'inosservanza dei termini prescritti per la risposta (a parte eventuali diverse iniziative degli organi di sorveglianza)»: in mancanza cioè di una apposita previsione legislativa per il caso di omissione di una offerta (o di mancata comunicazione dei motivi per i quali si ritiene di nulla dover pagare), la Cassazione finisce con l'equiparare questa situazione a quella del ritardo oltre il termine fissato senza far decidere dalla Corte costituzionale se la disposizione di legge sia o meno corretta sotto il profilo costituzionale sanzionando in maniera identica situazioni fra di loro completamente differenti.

Non ci pare invero sufficiente appoggiarsi alla dizione dell'ottavo comma che genericamente parla di «inosservanza dei termini prescritti» poiché, anche se in ambedue i casi un termine non è stato rispettato, le situazioni sono ben diverse: un conto è, infatti, un ritardo ad un facere, ed un altro un non facere, che si ha quando né tempestivamente,Page 674 né tardivamente una offerta venga formulata. È evidente quindi la distorsione che deriva nella applicazione di una sanzione identica per situazioni differenti e dalle conseguenze ben diverse per il danneggiato che proprio si vorrebbe favorire facendogli avere in tempi rapidi il risarcimento dovutogli.

La stessa Corte di cassazione (ibid.) si prospetta invero il dubbio della irragionevolezza della norma «meritevole pertanto di una verifica da parte del giudice delle leggi con riferimento al parametro della uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione perché predispone una disciplina più favorevole per l'inerzia dell'assicuratore, il quale si limita a non rispondere alla richiesta di risarcimento, e sanziona invece più gravemente la condotta del medesimo assicuratore che, sia pure dopo la scadenza dei termini per la risposta, avanzi una offerta e paghi nei termini all'uopo prescritti, equiparando tale condotta a quella dell'assicuratore che, dopo aver formulato l'offerta (così nella sostanza riconoscendo il buon diritto del danneggiato) ometta poi di corrispondere la somma offerta, in tal guisa ledendo più intensamente l'interesse perseguito dalla legge, che è quello della pronta ed efficace tutela del danneggiato»: verifica da parte della Consulta aggirata nel caso specifico attraverso una particolare valenza attribuita alla transazione intervenuta fra il danneggiato e la compagnia assicuratrice dopo l'instaurazione di un giudizio per risarcimento danni, transazione in cui non si volle ravvisare la forma di una offerta, con ciò accantonando il problema appena prospettato.

La seconda alternativa prevista dall'art. 3 della L. 39/1977 - secondo quanto ricordano i giudici della Corte Suprema (ibid.) - prevede invece, «se è stata formulata offerta superiore a lire centomila, poi non pagata nei termini, una sanzione pecuniaria determinata in misura pari alla somma offerta».

Poiché abbiamo accennato sin dall'inizio alla esistenza di più di una lacuna o di una incongruenza, pensiamo sia bene prospettarci le variegate situazioni che si possono riscontrare sull'argomento per poter controllare se alle stesse possano applicarsi le disposizioni del legislatore, se queste siano sempre ragionevoli o se siano individuabili discrepanze tali da considerare censurabile la normativa esistente davanti alla Corte costituzionale per violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale non essendo osservato il parametro dell'uguaglianza attraverso il trattamento identico di situazioni fra di loro differenti: sì da ottenere opportuni rimedi legislativi, almeno su queste situazioni, visto che ormai di riforma della assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore non si parla più dopo il naufragio, anni or sono,di alcuni tentativi arenatisi a seguito di susseguentesi conclusioni anticipate delle legislature in cui gli stessi venivano impostati.

La realtà operativa ci porta invero ad individuare tutta una serie di casi ben differenti fra di loro.

Partiremo dalla situazione più semplice.

L'assicuratore formula la sua offerta o comunica di non ritenere di fare alcuna offerta - indicando i motivi di questa decisione - al di là dei termini fissati dal secondo comma dell'art. 3 della L. 26 febbraio 1977 n. 39 (sessanta giorni) o dal terzo comma (trenta giorni se il modulo di denuncia è stato sottoscritto da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro). Vale per questa situazione il disposto dell'ottavo comma che prevede la irrogazione di una sanzione di lire centomila che sale ad un importo pari alla somma offerta, se questa è superiore...

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