L’argomentazione testimoniale: analisi di alcuni casi processuali

AutoreSergio Novani

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1. Introduzione

Nella lettera enciclica Fides et Ratio,1 Papa Giovanni Paolo II, riassume così il suo pensiero, le sue riflessioni filosofico-teologiche sull’argomentazione testimoniale:

“L’uomo non è fatto per vivere solo. Egli nasce e cresce in una famiglia, per inserirsi più tardi con il suo lavoro nella società. Fin dalla nascita, quindi, si trova immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non soltanto il linguaggio e la formazione culturale, ma anche molteplici verità a cui, quasi istintivamente, crede. La crescita e la maturazione personale, comunque, implicano che queste stesse verità possano essere messe in dubbio e vagliate attraverso la peculiare attività critica del pensiero. Ciò non toglie che, dopo questo passaggio, quelle stesse verità siano «ricuperate» sulla base dell’esperienza che se ne è fatta, o in forza del ragionamento successivo.

Nonostante questo, nella vita di un uomo le verità semplicemente credute rimangono molto più numerose di quelle che egli acquisisce mediante la personale verifica. Chi, infatti, sarebbe in grado di vagliare criticamente gli innumerevoli risultati delle scienze su cui la vita moderna si fonda? Chi potrebbe controllare per conto proprio il flusso delle informazioni, che giorno per giorno si ricevono da ogni parte del mondo e che pure si accettano, in linea di massima, come vere? Chi, infine, potrebbe rifare i cammini di esperienza e di pensiero per cui si sono accumulati i tesori di saggezza e di religiosità dell’umanità? L’uomo, essere che cerca la verità, è dunque anche colui che vive di credenza. Nel credere, ciascuno si affida alle conoscenze acquisite da altre persone. È ravvisabile in ciò una tensione significativa: da una parte, la conoscenza per credenza appare come una forma imperfetta di conoscenza, che deve perfezionarsi progressivamente mediante l’evidenza raggiunta personalmente; dall’altra, la credenza risulta spesso umanamente più ricca della semplice evidenza, perché include un rapporto interpersonale e mette in gioco non solo le personali capacità conoscitive, ma anche la capacità più radicale di affidarsi ad altre persone, entrando in un rapporto più stabile ed intimo con loro.”.

Letto questo passo dell’enciclica, si potrebbe dire che sia stato scritto da un riduzionista: Giovanni Paolo II è insomma un diffidente! Che significa questo? Significa semplicemente che l’autore ritiene l’argomentazione testimoniale insufficiente, una fonte (argomentativa), quindi, che necessita, per avere valore epistemico, del ricorso ad altre fonti argomentative. Da sola esprime una carica epistemica limitata, deve trovare il conforto di altre buone argomentazioni. In che senso? In questo senso: mi viene fatta questa argomentazione testimoniale, x, “Palestra di Botta e Risposta ha sede in piazza Capitaniato”; posso dire (i) di poter dar credito a questa argomentazione testimoniale e quindi conoscere x per il sol fatto che mi è stato argomentato testimonialmente che Palestra di Botta e Risposta ha sede in piazza Capitaniato, oppure (ii) devo cercare qualche buona evidenza a supporto di questa argomentazione testimoniale? Nell’ambiente epistemologico,2 se rispondete (i) siete “creduloni”, “fondamentalisti”, quindi antiriduzionisti; se rispondete (ii) siete “anticreduloni”, “diffidenti”, quindi riduzionisti. Ecco perché Giovanni Paolo II deve considerarsi un argomenta- tore diffidente, riduzionista: considera la sua argomentazione testimoniale una fonte conoscitiva imperfetta, che si perfeziona progressivamente mediante solo “l’evidenza raggiunta personalmente”. Della serie che occorrono altre argomentazioni, oppure altre diverse evidenze per sopportare e supportare quella iniziale argomentazione.

Vorrei aprire questa ricerca con alcune domande che credo emergano in modo chiaro da questa lettura: intanto, 1) l’argomentazione testimoniale è un’argomentazione epistemica? 2) e poi, se sì, di quale argomentazione epistemica stiamo parlando? 3) e, ancora, è di tipo riduzionista come vuole la testimonianza “eccellente” di Giovanni Paolo II o non riduzionista?

In questo lavoro cercheremo di dare qualche risposta a queste domande, partendo da un’analisi filosofica dell’argomentazione testimoniale per poi cercare di ricavarne alcune ricadute filosofico-processuali.

2. L’argomentazione testimoniale, compagna di tutti i giorni

Cerchiamo, allora, di dare una risposta alla prima domanda: l’argomentazione testimoniale è un’argomentazione epistemica? Intanto, si può dire che l’argomentazione testimoniale non è (e questo è ovvio) solo quella delle aule di giustizia3 ma è presente, consapevolmente o inconsapevolmente, in modo diffuso nella vita di tutti i giorni. Un esempio? Devo recarmi a Padova, in Piazza Capitaniato. Mia moglie, Elena, è stata diverse volte a Padova e conosce bene Piazza Capitaniato. Chiedo quindi a lei. Mi consiglia di prendere il treno per Firenze e, una volta nella città viola, prendere il veloce freccia argento Firenze-Padova: “spendi qualcosa di più”, mi dice, “ma arrivi prima e stai più como-

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do”. Come non crederle? È mia moglie, è di casa a Padova ed è un’eccellente viaggiatrice by train. Accetto, sono il suo uditorio e aderisco senza resistenza, quindi la sua argomentazione testimoniale sul percorso da fare, il mezzo da prendere, l’ora di partenza e di arrivo, raggiunge il suo scopo, suscita l’adesione e, in questo caso, anche la mia approvazione.4 Giunto poi a Padova, chiedo ad un addetto in stazione la direzione per Piazza Capitaniato e, anche qui, ricado nella testimonianza. Credo, insomma, a quello che mi si dice sulla strada più breve e veloce per raggiungere la piazza. Arrivato in Piazza Capitaniato, entro nella facoltà di Filosofia (quella riesco a vederla da solo, benedetti sensi!) e un impiegato all’entrata mi domanda nome, cognome, ragioni della visita e mi chiede di consegnargli un documento. Gli fornisco tutte queste informazioni e l’impiegato “credulone” crede a quanto gli dico: accetta quindi la mia testimonianza sulle mie “generalità”. Dopo la visita alla Facoltà, devo recarmi all’appartamento e anche qui ci risiamo con l’argomentazione testimoniale. Dove si trova via Luzzatti, chiedo ad un passante? Dopo aver importunato due passanti, evidentemente non autoctoni, finalmente trovo un padovano doc e, voilà, le indicazione per l’appartamento di via Luzzatti: “sono dieci, al massimo quindici minuti in quella direzione, su quella via, poi svolta a sinistra e si trova davanti quella piccola via, appunto, via Luzzatti”. È più facile a farsi che a dirsi, ma quanto è importante “dirsi”. Ringrazio della testimonianza il passante indigeno e mi incammino verso la mia nuova casa. Una volta preso possesso dell’appartamento, mi metto a leggere il quotidiano che mi ha dato un collega in Facoltà (è il solito siparietto: domanda:“lo vuoi leggere? Tanto l’ho già letto e ormai, sono le sei, lo butterei nel cestino”; risposta: “sì, grazie, non ho niente da leggere, almeno di «quotidiano»”). Leggo le solite informazioni, cronaca nera, rossa, rosa, fino ad arrivare alla pagina culturale; lì mi fermo ad osservarla e a leggerla con quel sentimento misto di simpatia e invidia che suscita leggere cose che non si riuscirà mai a scrivere, anche perché con difficoltà si riesce a leggerle, a malapena si capiscono, figuriamoci se si riesce a scriverle. Ammettiamo, però, che riusciamo, dopo sforzi lancinanti, ad assimilare quelle argomentazioni o, almeno, alcune. Credo quindi che quanto leggo sia vero ed accetto, beata ignoranza, un’ulteriore argo- mentazione testimoniale. Preso dalla solita disperazione da gustata ignoranza post lettura, accendo la televisione per finirmi in pace con il solito film visto e rivisto. Ma niente, mi tocca il solito noioso telegiornale. Quindi, nuovamente, argomentazioni testimoniali: “Marchionne minaccia di an- dare negli Stati Uniti, anzi in Cina, anzi no, in Russia, anzi …”, “Lavoratori firmate o andrete tutti a casa (magari di Marchionne!)”. E così via. Come al solito, a parte queste argomentazioni testimoniali, che mi lasciano francamente perplesso, almeno altre (meno condizionate) le credo senza opporre resistenza, e finisco per cedere alle ennesime argomentazioni, argomentazioni testimoniali. Si potrebbe proseguire oltre e raccontare altri dettagli, magari sempre relativi all’esempio, ma penso che quanto qui finora detto sia sufficiente per dire che l’argomentazione testimoniale sia argomentazione epistemica, all’opera in molte faccende della nostra vita quotidiana e che essa riguarda una precisa modalità di acquisizione delle credenze o delle conoscenze, acquisizione derivata dal nostro apprendere qualcosa attraverso le parole altrui, ascoltate o lette.5

3. Com’è l’argomentazione testimoniale?

Qui assumiamo che l’argomentazione sia un ragionamento situato6; è un ragionamento nel senso che consiste nell’inferire, da enunciati che fanno da premessa, un enunciato che costituisce una conclusione; è situato perché, diversamente dalla dimostrazione che è a-spaziale e a-temporale, è vincolato (il ragionamento argomentativo, s’intende) al qui ed ora, è collocato sia nel tempo che nello spazio. Un’argomentazione testimoniale si può allora dire un ragionamento che consiste nell’inferire, da enunciatitestimonianze che fanno da premesse, un enunciato che costituisce una conclusione. Ma a differenza di quanto avviene nella logica formale, le premesse non sono vere. Sono solo assunte come vere da chi sviluppa il ragionamento e/o da chi lo ascolta e lo valuta. Il valore di verità di quanto è affermato nelle premesse dipende dal livello di credenza sia di chi enuncia che di chi ascolta e valuta l’argomentazione.

Se dico:

ogni A è B,

ogni B è C

x è un A,

_____________

allora x è un C

ho sviluppato un ragionamento dimostrativo.7 Non ho argomentato: ho ragionato senza contesto, senza una semantica riferita ad un mondo reale, usando la capacità di condurre inferenze, codificata dalla logica attraverso schemi...

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