L'agire provocatorio fra ricerca della notizia di reato e ricerca della prova

AutoreGiovanni Melillo
Pagine97-103

L''agire provocatorio fra ricerca della notizia di reato e ricerca della prova 1

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Ripercorrere le linee essenziali del complessivo processo normativo attraverso il quale è progressivamente emersa la figura dell'agente provocatore, seguendo, anziché le linee dogmatiche e giurisprudenziali che guidano l'approfondimento dei temi della punibilità dell'agente provocatore e dello stesso soggetto provocato, la più labile traccia offerta da alcune delle questioni processuali in cui pure si traduce la ricaduta problematica di quelle vicende normative, esige, in ogni caso, la preliminare condivisione di quello che mi sembra il senso profondo dell'elaborazione teorica più avanzata ed organica.

Il tema delle indagini che si svolgono utilizzando lo strumento che - soltanto convenzionalmente e per semplicità enunciativa - indichiamo come agente provocatore si colloca, infatti, al centro di un'area di riferimenti normativi e culturali nevralgica non soltanto nella regolamentazione del rapporto fra garanzia di autodeterminazione della persona ed istanze di repressione e prevenzione dei reati, ma anche per la definizione dello stesso ruolo del P.M.

Ciò è particolarmente vero proprio alla luce delle recenti modifiche legislative (penso soprattutto alle disposizioni dell'art. 12 quater L. 356/1992) che hanno espressamente introdotto cause di giustificazione speciale in relazione a moduli di intervento investigativo che mai in passato avrebbe potuto ricondursi negli angusti limiti della figura dell'agente provocatore, definiti dalla giurisprudenza (per intenderci, quella incentrata su di una nozione dell'agente provocatore come una sorta di osservatore internazionale, il quale, pur facilitando la realizzazione di un delitto, si limiti ad attività di osservazione, controllo e contenimento della situazione).

Di fatto, quegli interventi legislativi definiscono un fronte del tutto nuovo per attività rispetto alle quali i tradizionali titoli esimenti (primo fra tutti, quello dell'art. 51, oggetto di appropriata e consapevole riserva legale) operano su di un piano di retroguardia, quasi come un paracadute sempre disponibile ad aprirsi nella, ancora non ben chiara, zona di frontiera fra illecito e attività degli organi dello Stato.

Se si vuole provare a rinvenire una comune ispirazione delle disposizioni che, negli ultimi anni - a far tempo dal 1990, in materia di criminalità organizzata, ma ormai non soltanto in questa materia - hanno dato corpo di disciplina normativa alla figura dell'agente provocatore nel vuoto di riferimenti positivi espressi, allora forse non è sufficiente dire che si tratta di strumenti individuati, sotto l'onda emergenziale, per rafforzare l'azione di contrasto di gravi fenomeni criminali, accettandosi il rischio di pericolose compressioni della sfera delle garanzie individuali; occorre anche dire che si tratta della traduzione normativa della esigenza di attribuire alla polizia giudiziaria attribuzioni investigative adeguate alle realtà dei fenomeni da contrastare, sottraendo le prassi ai rischi di un vero e proprio terreno minato, quale diventava, nell'esperienza concreta, un panorama giurisprudenziale nient'affatto chiaro ed univoco e perciò affidabile.

Quest'ultima finalità è, ad esempio, programmaticamente enunciata nei lavori preparatori della legge antidroga del 1990 2.

Ma di questo processo di traduzione e promozione legislativa di preesistenti prassi investigative occorre immediatamente sottolineare un aspetto essenziale.

Osservate dal punto di vista del ruolo che il P.M. è chiamato a svolgere, diviene chiaro che le norme tumultuosamente introdotte nell'ultimo decennio per giustificare pratiche investigative riconducibili genericamente alla nozione di sintesi dell'agente provocatore costituiscono alcuni dei più significativi segnali di affermazione di una più generale tendenza normativa ad una maggiore responsabilizzazione del P.M. sul piano dell'efficacia dell'azione di contrasto della criminalità.

Occorre tuttavia evitare che questa tendenza legislativa - che corrisponde a quella più complessa e marcata, volta ad assecondare un progressivo allineamento del P.M. alla polizia giudiziaria - sia, nella prassi, interpretata e vissuta senza adeguata consapevolezza dei pericoli per la tenuta effettiva di quella funzione di garanzia che è comunque affidata al P.M. nella fase delle indagini preliminari e, in particolare, per statuto normativo, al fine del governo razionale e prudente di questi delicati strumenti.

Anticipando immediatamente alcune conclusioni, va detto che non si fa altro che esercizio di realismo nell'ammettere che - attraverso le figure più innovative della recente legislazione speciale (mi riferisco ai casi di compimento di atti illeciti sotto copertura che si traducono in veri e propri casi di infiltrazione in organizzazioni criminali) - si marca un progressivo coinvolgimento del P.M. nella stessa elaborazione della logica di polizia che permea le attività riconducibili alla figura dell'agente provocatore 3.

Ai fini dell'ordinato sviluppo espositivo, occorre innanzitutto dire che del processo di evoluzione normativa che stiamo considerando, non si può in alcun modo individuare l'antecedente causale nell'introduzione del processo di partivoluto dal legislatore del 1988.

Benché la vicinanza temporale delle trasformazioni normative suggestivamente appaia indicarlo, l'evoluzione normativa ha ben altre radici ed è comune ad ordinamenti di natura diversa.

Vi è, innanzitutto, alla base di detta evoluzione legislativa una spinta di diritto internazionale convenzionale, come risulta evidente dalla considerazione delle norme in materia dettate dalla Convenzione di Vienna del 1988 in tema di repressione del traffico di stupefacenti, accentuata poi da quelle in tema di consegne sorvegliate e di osservazioni transfrontaliera introdotte con gli accordi di Schengen (L. 388/1993).

La legislazione del 1990 - che, per la prima volta, ha introdotto espressamente la figura dell'agente provocatore, proiettandola ben al di là dei limiti di agibilità, di praticabilità, tradizionalmente individuati dalla dottrina e, ancor più rigorosamente, dalla giurisprudenza - non ha fatto che tradurre quelle spinte in istituti di diritto interno sostanzial-Page 98mente conformi alle linee guida della convenzione del 1988, che (artt. 2 e 11), accanto all'espressa considerazione delle operazioni di consegna controllata, prevede l'obbligo degli Stati firmatari di introdurre nelle legislazioni interne ogni misura necessaria per combattere con efficacia il traffico.

Infatti, negli stessi anni, si realizzano importanti innovazioni legislative in altri Paesi, anche Paesi i cui sistemi processuali sono lontani dal modello accusatorio, come è il caso della Francia e della Germania.

Anzi, se in Francia la clausola generale di non punibilità è introdotta nel dicembre 1991 4, limitatamente alle operazioni finalizzate al contrasto del traffico di stupefacenti, in Germania, nel 1992 5, risulta - attraverso la fusione dei caratteri di più istituti nati nell'area dell'emergenza eversiva - formalizzata una figura di investigatore coperto utilizzabile non solo nella lotta al traffico di stupefacenti, ma anche in relazione ad altre forme di manifestazione della criminalità organizzata (la legge prevede espressamente i settori del traffico di stupefacenti, armi, monete e titoli mobiliari falsi, dei reati contro la personalità dello Stato, ma ha una clausola di chiusura riferita ai reati commessi nell'ambito di bande criminali organizzate).

Potrebbe essere utile soffermarsi sull'opportunità di adozione di un modello così oggettivamente ampio e non definito secondo il rinvio a specifiche tipologie delittuose.

Ai fini espositivi già tracciati, è tuttavia prioritario rilevare che, analogamente alla nostra esperienza, l'operatività delle cause di giustificazione è ancorata, innanzitutto in funzione di garanzia, a forme di coinvolgimento dell'autorità giudiziaria:

- in Germania è condizionata dall'intervento diretto del P.M., esigendosi una sua autorizzazione preventiva, salvo casi di particolare urgenza, nei quali comunque dovrà richiedersi ed ottenersi entro tre giorni, quale condizione di lecita prosecuzione delle attività di polizia;

- in Francia, alla preventiva informazione al P.M. o al G.I., a seconda dei casi, ove si debba procedere ad operazioni di sorveglianza passiva di transazioni illecite, ed alla autorizzazione scritta delle medesime A.G., in caso di operazioni di acquisto simulato o comunque di intervento attivo dell'agente provocatore nelle attività illecite di trasporto, detenzione, vendita degli stupefacenti.

Gli esempi potrebbero continuare con riferimento ad altre legislazioni: è particolarmente significativa quella danese, peraltro adottata già nel 1986, che fa del ricorso all'agente provocatore una possibilità consentita nelle indagini relative a tutti i reati più gravi, subordinandola alla condizione, valutata dall'autorità giudiziaria, che altri metodi non siano sufficienti ad assicurare la prova e che sussista il fondato sospetto che un reato stia per essere commesso o sia già in corso.

Peraltro, in forza di una complessa gamma di prescrizioni limitative - tra l'altro si esige l'avviso al difensore dell'inizio dell'attività d'indagine (salvo il caso di reati contro la sicurezza nazionale) - l'istituto ha un'operatività limitata.

Possiamo tuttavia senz'altro dire che sul piano internazionale vi è una dimensione problematica comune a più ordinamenti, dai sistemi processuali differenti e lontani dal modello accusatorio, direttamente connessa al maggior credito accordato dal legislatore alle esigenze di difesa sociale 6.

Non è certo casuale che sia proprio la materia delle indagini di criminalità organizzata a costituire il principale e comunque originario banco di verifica sperimentale di queste linee di tendenza, essendo, in Italia come in Francia ed in Germania, le innovazioni del quadro normativo...

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