L incidenza dell adesione di nuovi Stati all Unione Europea sulle fattispecie di cui agli artt. 12 e 22 D.L.VO 286/1998: dai contrasti giurisprudenziali ad una proposta ermeneutica unitaria

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  1. Premessa. - Il raffronto fra la sentenza in rassegna e l'ordinanza del Tribunale di La Spezia 16 aprile 2007 (pubblicata in questa Rivista 2007, 783, per cui: «La modifica della norma comunitaria che individua i Paesi facenti parte dell'Unione europea, determina una fattispecie riconducibile al comma 2 dell'art. 2 c.p. Infatti, il fenomeno della successione di leggi penali nel tempo non può essere circoscritto ai casi di modificazione diretta della norma penale, verificandosi anche nel caso in cui la modificazione di tale norma sia mediata, riguardando, cioè, un'altra norma o un altro elemento che integra la fattispecie incriminatrice. Di conseguenza, tale modifica incidendo direttamente su tutta la normativa amministrativa che disciplina l'ingresso degli stranieri in Italia, incide altresì sulle fattispecie incriminatrici applicabili. Il venire meno dello status di cittadino extracomunitario, contribuendo ad integrare il contenuto del precetto penale, finisce per incidere, eliminandolo, sul disvalore penale del fatto complessivamente considerato. Pertanto, il giudice dell'esecuzione ha il potere di disporre la revoca della sentenza passata in giudicato di condanna del cittadino rumeno [non più extracomunitario] per il reato di cui all'art. 14 comma 5 ter D.L.vo 286/1998, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato») rileva in maniera significativa ed esemplificativa la difformità di orientamenti espressi dalla giurisprudenza in ordine all'incidenza che l'ingresso nell'U.E. di nuovi Stati produce sulle fattispecie - consumate in epoca precedente - di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina ed assunzione di lavoratori extracomunitari privi del prescritto permesso di soggiorno, previste e punite rispettivamente dagli artt. 12 e 22 D.L.vo 286/1998.

    La problematica, resa importante sotto il profilo pratico dal costante intensificarsi del fenomeno migra- Page 183 torio, ergo dalla sua frequente trattazione nelle aule giudiziarie, riveste particolare rilievo anche sotto il profilo teorico poiché risveglia l'attenzione dell'interprete sulla (ampiamente trattata, eppure mai definitivamente risolta) questione della riconducibilità all'istituto della abolitio criminis di cui all'art. 2, comma 2, c.p. delle modifiche di norme extrapenali integrative del precetto penale e sollecita la riflessione del giurista sulla possibilità di coordinare in unità, sì da superare aleatorie incertezze processuali, il multi- forme e variegato panorama disegnato in materia de qua dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

  2. L'abolitio criminis: la ratio sottesa all'art. 2, comma 2, c.p. - L'art. 2, comma 2, c.p. dispone che: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali».

    La norma introduce un principio speculare a quello della irretroattività nel tempo della legge penale, sancito dal primo comma della medesima disposizione.1

  3. La successione di norme extrapenali integratrici. - L'ingresso nell'U.E. di nuovi Stati realizza una modificazione del Trattato istitutivo di quest'ultima, ovvero una successione di norme extrapenali integratrici della fattispecie penalmente rilevante.

    L'ambito di applicazione del D.L.vo 286/1998 (T.U. immigrazione) è, infatti, regolato dall'art. 1 dello stesso, ai sensi del quale: «Il presente testo unico, in attuazione dell'art. 10, secondo comma, della Costituzione, si applica, salvo che sia diversamente disposto, ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea e agli apolidi, di seguito indicati come stranieri».

    Ne consegue l'inapplicabilità del predetto testo unico ai cittadini di nuovi Stati dell'Unione Europea2.

    Dottrina e giurisprudenza, tuttavia, condizionate dalla complessità del fenomeno di «integrazione» del precetto penale, non hanno ancora elaborato criteri chiari e condivisi da tutti per risolvere i delicati problemi di riconducibilità all'art. 2, comma 2, c.p., della successione di norme extrapenali integrative della norma incriminatrice, ovvero di quelle modifiche normative che (come nel caso di specie) non incidono direttamente sugli elementi costitutivi della fattispecie penale, bensì in maniera soltanto «indiretta» o «mediata».

    L'atteggiamento più tradizionale della giurisprudenza, di pregiudiziale chiusura all'estensione della disciplina di cui all'art. 2, comma 2, c.p. oltre il limite del concetto letterale di «legge penale», non enunciato dalla norma in esame - in cui compare sempre la sola locuzione «legge» - ed in evidente contraddizione sia con l'assimilazione delle norme cosiddette integratrici alle stesse norme penali seguita in materia di errore ed ignorantia legis che con l'ammissione di fonti anche secondarie o diverse dalla legge in senso formale quali elementi integrativi delle fattispecie, può ritenersi definitivamente superato.3

    La giurisprudenza della Corte di cassazione, infatti, ha affermato in linea di principio che, ai fini dell'applicazione del regime di retroattività della legge più favorevole di cui all'art. 2 c.p., per legge incriminatrice deve intendersi non solo la disposizione che formal- mente prevede la sanzione, bensì il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto (cfr. Cass., SS.UU., 23 maggio 1987, Tuzet, in Cass. pen., 1987, 2099, n. 1740, in cui è stata ritenuta non più ravvisabile l'ipotesi di reato di peculato nella condotta di un dipendente di una Cassa di risparmio perché è stata esclusa, a seguito di novatio legis, l'attribuibilità allo stesso della qualifica di pubblico ufficiale; nonché Cass., sez. V, 18 marzo-8 giugno 1998, n. 6690, Gambino, in Cass. pen., 1999, 3127, in cui si è affermato che la trasformazione dell'Enel da ente pubblico in una spa ad opera dell'art. 15 D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella L. 8 agosto 1992, n. 359, non rende più configurabile la fattispecie di contraffazione del sigillo di un ente pubblico, prevista dall'art. 468 c.p., commessa prima della detta trasformazione).

    In altri termini, siccome «per norma incriminatrice si intende la norma che definisce la struttura essenziale e circostanziale del reato, comprese le fonti extrapenali che contribuiscono ad integrare la fattispecie penale, qualsiasi modifica delle fonti integratrici (dovrebbe comportare) un mutamento della norma incriminatrice, mutamento che è disciplinato dai principi di cui all'art. 2 c.p.».4

    In più occasioni, tuttavia, la stessa giurisprudenza ha specificato che esula dall'istituto la successione di atti o fatti amministrativi, che pure influendo sulla punibilità o meno di determinate condotte, non implica una modifica della norma incriminatrice (cfr. Cass., sez. II, 21 settembre 1993...

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