Processo in absentia e differenza tra dichiarazione ed elezione di domicilio. Il diritto ad un processo equo passa per il sistema delle notificazioni

AutoreRoberto Puglisi
Pagine338-345

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@1. Il concetto giurisprudenziale interno di processo equo

- La Cassazione affronta - nella sentenza in rassegna - due questioni inerenti il sistema di informazione dei soggetti nei confronti dei quali si sta svolgendo un procedimento penale: il rapporto tra elezione e dichiarazione di domicilio; le conseguenze della violazione delle regole stabilite per la notificazione degli atti. Il decisum della Corte manifesta in tutta la sua problematicità la difficile conciliazione tra esigenze punitive dello Stato e diritto ad un processo equo, aprendo la strada, in questa sede, ad un breve confronto con alcune esperienze processualpenalistiche europee in tema di presenza dell'accusato nel processo penale. Il primato italiano di condanne della CEDU per violazione dei diritti umani è, infatti, notoriamente dovuto alla struttura del nostro sistema giudiziario penale.

La pronuncia in commento trae spunto da una condanna avvenuta nei confronti di un soggetto, il quale, in occasione dell'udienza di convalida dell'arresto, eleggeva domicilio presso il proprio difensore e, successivamente, all'atto della scarcerazione dichiarava il domicilio individuandolo nella propria abitazione. Il problema posto all'attenzione della Cassazione ha riguardato, quindi, la validità o meno delle notifiche degli atti avvenute tutte presso il primo domicilio eletto nonostante una successiva dichiarazione di domicilio e, in caso di esito negativo della notifica, il regime dell'invalidità che colpisce l'atto.

Il primo aspetto non appare decisivo ai fini della corretta informazione dell'accusato trattandosi essenzialmente di sciogliere un contrasto giurisprudenziale sorto sul dettato normativo. È sufficiente, in altri termini, giungere ad una soluzione condivisa per garantire il diritto ad essere informati, passando in secondo piano la soluzione di dibattiti teorici; comunque, la lettura del sistema fornita dalle Sezioni unite è da condividere in virtù di considerazioni che, tuttavia, sono rimaste nella penna dell'estensore.

Invero, l'indirizzo prevalente della giurisprudenza della Cassazione condiziona il venire meno dell'elezione di domicilio alla revoca espressa della stessa; una dichiarazione di domicilio, anche se successiva, non potrebbe prevalere sulla precedente elezione. A favore di questa interpretazione si rileva, innanzitutto, la sussistenza di una differenza di natura e funzione tra dichiarazione ed elezione di domicilio: quest'ultima consiste in un negozio costitutivo recettizio in forza del quale l'imputato decide di stabilire dove e, soprattutto, a chi devono essere notificati gli atti relativi al procedimento a suo carico; la prima, viceversa, si riduce ad un atto dichiarativo teso solo a cristallizzare l'esistenza di una relazione fisica tra il luogo ed il destinatario degli atti. Da ciò ne dovrebbero discendere due importanti conseguenze: non si può parlare di elezione (a prescindere dai termini usati nel relativo atto) se non è stata indicata anche la persona; una dichiarazione, in quanto atto solamente dichiarativo, non può togliere efficacia alla precedente elezione (atto costitutivo)1.

Un contrario orientamento, fondato su un approccio apparentemente più pratico e meno dogmatico, si è formato sul presupposto che dal codice (e dalla sola diversità giuridica tra i due atti) non si potrebbe trarre alcuna gerarchia tra le due scelte, con la conseguenza che una dichiarazione ben può determinare una mutazione del domicilio precedentemente eletto2. In altre parole, con tale lettura non si nega la differente natura giuridica tra elezione e dichiarazione di domicilio. Tuttavia, rifiutando di fondare sulla stessa differenza una gerarchia tra atti, tale impostazione omette di spiegarne la ratio.

D'altro canto, allo stesso risultato si è giunti riconducendo sic et simpliciter entrambe le categorie di atti a dichiarazioni di volontà aventi valore negozial-processuale3.

Le Sezioni unite enunciano il principio di diritto secondo il quale, in tema di notificazioni, la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio, pur non espressamente revocata. A sostegno di tale assunto si contesta la distinzione sopra ricordata tra atto negoziale ed atto dichiarativo e, in secondo luogo, si ricorre alla paritaria effettività di conoscenza dell'atto che comporterebbero le due ipotesi di scelta previste dall'art. 161 c.p.p.

La strada percorsa per raggiungere la meta non convince, in quanto omette di considerare l'aspetto soggettivo della ricezione dell'atto di notificazione per ridurlo ad una questione di scelta di luoghi.

La differente natura giuridica tra elezione e dichiarazione di domicilio sussiste, ma l'errore compiuto da coloro che sostengono ciò sta nelle conseguenze che se ne vogliono trarre: una gerarchia di valore tra i due atti. La causa del fraintendimento (riscontrabile anche nella decisione in commento) è da ricercare nell'assenza di una premessa necessaria: importante, in materia di notificazioni, non è il luogo, ma la persona presso la quale deve giungere la notizia del processo. Punto di riferimento esclusivo non è l'indirizzo presso il quale si deve rivolgere il notificatore, ma la persona (diretto interessato ovvero «soggetto eletto») che deve ricevere l'informazione. È la consegna nelle mani di tale soggetto, e non la visita in quanto tale del nuncius in un determinato luogo, che realizza la garanzia sottesa ad un processo equo (e ciò a prescindere, poi, dai profili di conoscenza legale che contraddistinguono il sistema di notificazioni del nostro ordinamento).

Eccezionalmente, invero, il codice permette che non sia il prevenuto (unico soggetto, evidentemente, titolare del diritto all'informazione) a ricevere le notifiche, ma una persona dallo stesso scelta. Ecco, dunque, spiegata la ratio dell'art. 161 c.p.p.: l'accusato o indica un'altra persona che potrà fungere da un suo alter ego o, scegliendo di rimanere il destinatario delle notifiche, indica uno dei luoghi di cui all'art. 157 c.p.p.; in quest'ultimo caos, il naturale destinatario degli atti nonPage 339 fa altro che stabilizzare tale sua qualità con l'individuazione di uno dei luoghi previsti, appunto, per la notificazione degli atti all'imputato non detenuto. Con l'elezione, invece, si costituisce un nuovo rapporto soggettivo reso possibile attraverso una sorta di potere di rappresentanza a compiere un atto giuridico: ricevere la notificazione. L'art. 161 c.p.p., con il rinvio all'art. 157 c.p.p., sottolinea che, in caso di dichiarazione di domicilio, il soggetto sceglie di fare permanere l'elezione «naturale» di se stesso a domiciliatario.

La differente natura giuridica tra i due atti, dunque, sussiste ed è data dalla nota costitutivo-rappresentativa caratterizzante l'elezione, ma non si può stabilire un ordine di preferenza tra elezione e dichiarazione; allo stesso tempo, non avrebbe senso parlare di elezione presso di sè: entrambi gli atti servono a garantire che una persona sia informata del processo per la validità del processo stesso.

La lettura offerta dalle Sezioni unite sull'altra questione - riguardante l'invalidità conseguente alla violazione delle regole di notificazione - non può essere condivisa. Il secondo principio espresso è, invero, quello secondo cui la notificazione della citazione all'imputato che abbia dichiarato domicilio (e abbia, quindi, ribadito la volontà di essere direttamente informato degli atti del processo) effettuata presso il difensore di fiducia, sebbene invalida, risulterebbe, comunque, metodo idoneo a determinare la conoscenza effettiva della citazione da parte dell'imputato, considerato il rapporto fiduciario che lo lega la difensore. La verifica dell'operazione ermeneutica può essere agevolata dalla lettura offerta in precedenza sempre dalle Sezioni unite sul tipo di nullità discendente dall'irritualità delle notificazioni a seconda dell'inidoneità o meno delle stesse «a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato»4. La questione, in quel caso, ha riguardato il regime della nullità di una notificazione avvenuta nel domicilio reale anziché in quello eletto. Le Sezioni unite, nel 2004, lungi dall'affermare una regola astratta di presunzione di conoscenza dell'atto in determinate ipotesi, hanno ribadito la necessità di distinguere tra omessa notificazione e violazione delle regole di notificazione; allo stesso tempo, invero, hanno precisato come l'adozione di un modello di notificazione diverso da quello prescritto comporti un vizio dell'atto, ma questo «non è per ciò solo inesistente: è possibile infatti che l'atto sia idoneo a produrre l'effetto della conoscenza e che in concreto la produca». È chiara l'importanza del riferimento alla idoneità in concreto della notificazione: in caso positivo, si ha una nullità di ordine generale, a norma dell'art. 178 lett. c) c.p.p. - per l'inosservanza di disposizioni concernenti l'intervento dell'imputato - ed a regime intermedio, che deve essere rilevata e dedotta nei termini stabiliti dall'ultima parte dell'art. 180 c.p.p.; all'opposto la nullità deve ritenersi insanabile, a norma dell'art. 179 comma 1 c.p.p., quando la notificazione eseguita in una forma diversa da quella prescritta, pur apparendo astrattamente idonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto, risulti in concreto inidonea a tal fine. Si è enunciata, quindi, una regola che parte dall'esigenza di non porre in secondo piano la circostanza dell'avvenuta notifica nel domicilio reale rispetto all'osservanza delle modalità di informazioni prescritte. Con la sentenza in commento, viceversa, la Cassazione dilata la suddetta differenziazione e la usa per una fattispecie opposta alla precedente (notifica avvenuta in un luogo diverso dall'abitazione ad una persona non eletta, anziché nel domicilio reale e scelto dallo stesso imputato per ricevere le notifiche): si afferma, sostanzialmente, il principio in base al quale è legittimo desumere dal mandato...

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