Abitazioni: successione nel contratto di locazione

AutorePaolo Rolleri
Pagine509-511

Page 509

@Premessa

Riteniamo che sia di comune conoscenza che la morte di una delle parti di un contratto non ne determina la risoluzione, ma fa subentrare gli eredi nella posizione del defunto: il contratto continua, dunque, con gli eredi e, se si tratta di un contratto che ha durata nel tempo, gli effetti cesseranno solo con il compimento del termine. Ciò, a meno che non si tratti di contratto nel quale l'identità delle parti abbia importanza determinante nel processo di formazione della volontà.

È ovvio, infatti, che se taluno ha concluso un contratto per farsi fare il ritratto, la morte del pittore risolverà il contratto, non potendosi considerare indifferente che il ritratto lo esegua il pittore scelto o il di lui erede.

Alla regola generale - cui abbiamo fatto cenno sopra - il codice civile fa eccezione in materia di locazione di immobili urbani (ad uso abitazione o ad uso diverso), disponendo all'art. 1614 c.c. che, nel caso di morte del conduttore, i di lui eredi possono recedere dal contratto, se questo ha da durare ancora per più di un anno e se in esso sia stata esclusa la possibilità di sublocare. Il recesso, dice sempre l'articolo, deve essere esercitato entro tre mesi dalla morte del conduttore ed essere comunicato al locatore con un preavviso di almeno tre mesi.

Così il codice. Ma, in materia di locazione, sono intervenute successivamente una marea di leggi: talune si sono occupate anche di ciò che succede alla morte del conduttore.

La L. 253/50 (che si proponeva di regolare organicamente la proroga delle locazioni e le questioni ad essa connesse) ha stabilito (prima parte dell'ultimo comma dell'art. 1) che, in caso di morte del conduttore, se si trattava di immobile adibito ad uso di abitazione, la proroga da essa legge prevista avrebbe operato soltanto a favore del coniuge, degli eredi, dei parenti e degli affini del defunto con lui abitualmente conviventi.

Nel 1974 il D.L. n. 236 (convertito nella L. 12 agosto 1974, n. 351) ha previsto all'art. 2 bis che, sempre per le locazioni abitative, la proroga avrebbe operato a favore dei soggetti individuati dalla L. 253/50, soltanto se anagraficamente conviventi con il conduttore defunto.

Infine, la L. 392/78 (meglio conosciuta come «Legge sull'equo canone») ha regolato la «successione» nel contratto di locazione, stabilendo che «in caso di morte del conduttore, gli sarebbero succeduti nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui "abitualmente" conviventi» (il novero dei «successibili» è stato successivamente ampliato dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 404/88, in questa Rivista 1988, 286; in Foro it. 1988, I, 2515; in Giust. civ. 1988, I, 1654; in Impresa 1988, 2045), che ha dichiarato incostituzionale l'art. 6 L. 392/1978: a) nella parte in cui non prevedeva che al conduttore deceduto potesse subentrare il convivente more uxorio; b) nella parte in cui non prevedeva la successione del convivente more uxorio con prole, nel contratto di locazione, in caso di cessazione della convivenza da parte del conduttore. Con la detta sentenza - va ricordato - il giudice delle leggi ha definito la questione di legittimità de qua in modo diametralmente opposto a quanto fatto con sent. 14 aprile 1980, n. 45 (in Giur. it. 1980, I, 1, 1792), pronunziata sotto la vigenza della L. 351/74).

Come si vede, la legge dell'equo canone, per individuare i successori, ha riprodotto la dizione che la L. 253/50 aveva usato per indicare i soggetti a favore dei quali avrebbe operato la proroga.

La norma, pur chiara, ha richiesto il ripetuto intervento del giudice, al fine di individuare l'esatto ambito applicativo della disposizione.

L'attenzione dei giudici si è soffermata - fondamentalmente - su tre questioni. Le prime due, afferenti il concetto di...

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