Locazioni abitative e legge di riforma, problemi applicativi

AutoreCorrado Sforza Fogliani
Pagine673-676

Page 673

@1. Decreto legge «sfratti», già in Corte

Poco più di cinque mesi di vita, e il decreto legge «sfratti» è stato spedito alla Corte costituzionale. In effetti, il Governo l'ha fatta grossa: in febbraio, ha varato (col n. 32/'00) un provvedimento d'urgenza per stabilire che - su richiesta di determinate categorie di inquilini, come gli ultrasessantacinquenni e così via - il giudice non può rinviare l'esecuzione di rilascio (lo «sfratto», in gergo) per meno di 9 mesi. Un legaccio vero e proprio per le mani dei magistrati (ridotti ad automi eteropilotati) che non è piaciuto al Tribunale di Udine. Il quale - su eccezione del Responsabile del Coordinamento dei legali della Confedilizia, avv. Scalettaris Paolo - ha infatti sollevato formale eccezione di incostituzionalità del provvedimento, con un'ineccepibile (indipendentemente dalla fine che potrà fare alla Consulta...) decisione (est. Antonini Drigani).

Il tribunale ha avuto buon gioco nel sottolineare che - in materia di date di «sfratto» - persino l'art. 56 della legge dell'equo canone stabilisce un termine massimo differenziato «per casi eccezionali», ma mai un termine minimo (imposto - e prestabilito - dal legislatore, così che il giudice non può mai valutare comparativamente le esigenze del locatore e dell'inquilino, anche se quelle di quest'ultimo siano di ben minore valenza). Non solo: sulla base del decreto legge impugnato, il giudice non può mai valutare neppure l'eventualità della ricorrenza in capo al locatore della condizione di necessità di disporre dell'immobile. Ancora, il provvedimento del Tribunale di Udine (consultabile nel suo testo integrale al sito Internet della Confedilizia: www.confedilizia.it) rileva che il decreto legge preclude in via assoluta la possibilità per il locatore di dimostrare che il conduttore non si trovi affatto nella condizione di non poter reperire altro idoneo immobile nel quale trasferirsi e addirittura anche la possibilità di fornire la dimostrazione del fatto positivo che il conduttore abbia in concreto la disponibilità di altro immobile idoneo alle sue esigenze. Ce n'è a sufficienza perché la Corte costituzionale batta un colpo, e (senza le remore dalle quali sembra condizionata in materia di Ici, e quindi quando si tratti di incidere sulle pubbliche entrate) dimostri di esserci...

@2. Tutto scritto, anche i preliminari

La nuova legge sulle locazioni abitative prescrive la forma scritta per la stipula di «validi contratti di locazione».

Si tratta di una disposizione che commentatori superficiali hanno ritenuto dettata a favore degli inquilini, ma che è invece stata voluta dalla proprietà edilizia e dalla sua organizzazione: infatti, evita giochi di artificio di inquilini senza scrupoli, sulla effettiva nascita (e decorrenza) dei contratti di locazione, giochi ai quali i pratici erano ben adusi. Ci si chiede, comunque, se la forma scritta sia a questo punto prescritta (e ad substantiam, non ad probationem: perché il contratto sorga in tutto e per tutto, cioè, non semplicemente per provarne l'esistenza) solo per i contratti veri e propri, o anche per i negozi ad essi collegati o, addirittura, propedeutici. E la risposta è senz'altro nel senso che tutti gli atti concernenti i contratti di locazione devono oggi essere redatti per iscritto. Dalle procure a stipulare i contratti di locazione ai preliminari di contratto ed anche ad ogni patto che si voglia aggiungere ai contratti di locazione già in essere. Insomma: quel che si faceva prima secondo una prassi ormai consolidata, oggi si deve fare obbligatoriamente per legge. E, in questo modo, vengono ad essere spuntate le armi di chi, sull'incertezza e confusione, regnava, restando in casa e riuscendo a far durare una causa (come pure i bambini sanno oggi fare) anche anni e anni.

@3. Convenzione urbanistica, dopo l'equo canone

La legge 431/98 ha abrogato la legge sull'equo canone, nella sua parte relativa alle locazioni abitative. Nasce allora un problema particolare: che fine fanno le convenzioni urbanistiche nelle quali i costruttori si sono impegnati coi comuni ad erigere edifici da destinare alla locazione, ma alle precise condizioni stabilite dalla legge dell'equo canone? Cadono le convenzioni intere? Oppure, si ha una specie di sopravvivenza della legge dell'equo canone, a questi limitati fini? La soluzione pare un'altra, e per arrivarvi occorre inquadrare bene la fattispecie.

Le convenzioni in questione costituiscono - in pratica - «un contratto a favore di terzi, secondo il paradigma di cui all'art. 1411 c.c., idoneo quindi non soltanto a fondare l'obbligo della parte, e quindi del proprietario, nei confronti dell'altro contraente all'esecuzione dell'impegno assunto, ma anche la diretta pretesa dei terzi, e quindi dei conduttori, al rispetto dell'obbligazione medesima e, dunque, alla fissazione del canone di locazione pattuito tra proprietario e comune» (Vincenzo Cuffaro). In tale situazione, non può allora non considerarsi - sempre a parere dello stesso...

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