Ordinanza nº 66 da Constitutional Court (Italy), 13 Aprile 2021

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione13 Aprile 2021
EmittenteConstitutional Court (Italy)

ORDINANZA N. 66

ANNO 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso da Vittorio Sgarbi, nella qualità di deputato, con ricorso depositato in cancelleria il 20 novembre 2020 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra poteri 2020, fase di ammissibilità, in relazione a tutti i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati, fino alla data di deposito del ricorso, per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19.

Udito nella camera di consiglio del 10 marzo 2021 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

deliberato nella camera di consiglio del 10 marzo 2021.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 20 novembre 2020, il deputato Vittorio Sgarbi ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, «anche nella sua qualità di rappresentante del Governo della Repubblica Italiana»;

che oggetto del conflitto sono «[t]utti i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri adottati per fronteggiare l’emergenza Covid-19-SARS-Cov2», che vengono analiticamente elencati in ordine cronologico, «nella parte in cui costituiscono esercizio della funzione legislativa da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri in contrasto con le norme sulla produzione legislativa di cui agli artt. 76 e 77 Cost.»;

che di tali atti il ricorrente chiede l’annullamento, previa dichiarazione di non spettanza al Presidente del Consiglio dei ministri e al Governo del potere di adottare le misure previste dai suddetti decreti;

che il ricorrente chiede, altresì, che la Corte costituzionale sollevi d’ufficio dinanzi a sé questione di costituzionalità di quattro decreti-legge e delle relative leggi di conversione, pure analiticamente elencati, per contrasto con una pluralità di parametri costituzionali;

che il ricorrente – membro della Camera dei deputati, appartenente al Gruppo Misto nella componente politica “Noi con l’Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro” – ripercorre le tappe che hanno contrassegnato l’azione del Governo nel contrasto alla pandemia da coronavirus, a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020, allegando che, con l’emanazione del decreto-legge 23 febbraio 2020 n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, si sarebbe verificato un «sovvertimento dell’ordine costituzionale», con l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri di un «potere di emergenza e di deroga a tutti i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti» e con «l’introduzione di un procedimento in deroga agli artt. 76 e 77 Cost. per l’adozione di norme di diritto»;

che, in particolare, con il d.l. n. 6 del 2020, come convertito, sarebbero state genericamente elencate una serie di misure, «consistenti nella forte limitazione o nella totale esclusione di una serie di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti», affidandone la concreta individuazione ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute e sentiti i ministri competenti nonché i Presidenti delle Regioni interessate (nel caso in cui le misure avessero riguardato esclusivamente una sola Regione o alcune specifiche Regioni), ovvero il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, nel caso di misure riferite all’intero territorio nazionale;

che, di conseguenza, venivano emanati quattro decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (il 23 e il 25 febbraio, il 1° e il 5 marzo 2020);

che, con i successivi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri dell’8, del 9 e dell’11 marzo 2020, secondo il ricorrente, il Presidente del Consiglio dei ministri «metteva sostanzialmente in quarantena tutti i cittadini italiani sani – con pochissime eccezioni da documentare alla polizia», con ciò impedendo l’esercizio di una serie di diritti fondamentali: il diritto al lavoro (artt. 1, 4, 35 e 36 della Costituzione), la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà di circolazione (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.), la libertà di culto (art. 19 Cost.), la libertà di istruzione (art. 34 Cost.), la libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), tutti tutelati ai sensi dell’art. 2 Cost.;

che i successivi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (adottati il 10 e il 26 aprile 2020), nella ricostruzione del ricorrente, avrebbero confermato «la sostanziale chiusura dell’intero paese e l’obbligo per i cittadini, con pochissime eccezioni, di restare chiusi nelle proprie abitazioni indipendentemente dal loro stato di salute e dal rischio concreto di contagiare ed essere infettati»;

che solo con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 maggio 2020 (Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19) si prevedeva la progressiva riapertura delle attività economiche, mantenendo ferma però, «dall’ambito commerciale e professionale, alla scuola e all’università sino al culto e...

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