Sentenza nº 212 da Constitutional Court (Italy), 14 Ottobre 2020

RelatoreGiovanni Amoroso
Data di Resoluzione14 Ottobre 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 212

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, secondo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), come modificato dall’art. 1, comma 38, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), promosso dal Tribunale ordinario di Catania, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra S. S. e la Auchan spa, con ordinanza del 17 maggio 2019, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti l’atto di costituzione della Auchan spa nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 settembre 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

udito l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 22 settembre 2020.

Ritenuto in fatto

  1. ‒ Il Tribunale ordinario di Catania, sezione lavoro, con ordinanza del 17 maggio 2019, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, secondo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), nella parte in cui non prevede che l’impugnazione stragiudiziale di cui al primo comma della stessa disposizione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, oltre che dagli adempimenti ivi indicati, anche dal deposito del ricorso cautelare ante causam ex artt. 669-bis, 669-ter e 700 del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 3, 24, 111, 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

  2. ‒ Il giudice rimettente riferisce che un lavoratore disabile aveva impugnato, con ricorso d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., anteriore alla causa, il provvedimento con il quale il datore di lavoro ne aveva disposto il trasferimento presso un’altra sede (in una diversa regione isolana) e che, nel costituirsi nel procedimento cautelare, la società resistente aveva formulato due eccezioni di decadenza, fondate, l’una, sulla mancata impugnazione stragiudiziale della comunicazione di trasferimento entro il termine di sessanta giorni previsto dal primo comma dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 e, l’altra, sull’omessa impugnazione giudiziale, nel termine di decadenza di centottanta giorni contemplato dal secondo comma della stessa disposizione, mediante la proposizione di un ricorso di merito ex art. 414 cod. proc. civ. ovvero la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione o di arbitrato. In particolare, per la difesa della parte datoriale, la proposizione, prima dello spirare del termine in questione, di un ricorso d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. non potrebbe ritenersi idonea a impedire la predetta decadenza.

    Il Tribunale di Catania, ciò premesso in fatto, ritenuto di poter superare la prima eccezione di decadenza perché l’impugnazione stragiudiziale era stata in realtà tempestivamente proposta, assume che, al fine della statuizione sulla domanda di tutela in via d’urgenza del lavoratore ‒ il quale non aveva proposto, entro il termine previsto a pena di decadenza dall’impugnazione degli atti datoriali ivi contemplati dall’art. 6, secondo comma, della legge n. 604 del 1966, come sostituito dall’art. 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), il ricorso di merito, né formulato richiesta di conciliazione o di arbitrato – è rilevante la decisione sulle sollevate questioni di legittimità costituzionale, stante il costante indirizzo interpretativo della Corte di cassazione, costituente ormai diritto vivente, secondo cui il ricorso cautelare ante causam non è idoneo a impedire la decadenza da tale impugnazione.

    In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente sottolinea che la norma denunciata determina il risultato paradossale di precludere al giudice della cautela, adito con ricorso ante causam, di pronunciarsi sulla domanda del ricorrente, ove il termine di decadenza di cui all’art. 6, secondo comma, della legge n. 604 del 1966 spiri nelle more del processo, per intervenuta inoppugnabilità dell’atto.

    Il Tribunale ritiene, quindi, che la disposizione censurata, comporti una sanzione eccessivamente grave, sproporzionata e irragionevole rispetto agli obiettivi perseguiti con la sua introduzione, nella misura in cui impedisce definitivamente al lavoratore, per motivi meramente formali e di rito, di avere una decisione sulla sua impugnazione, ancorché abbia attivamente e tempestivamente contestato l’atto datoriale con la proposizione di un mezzo idoneo, come il ricorso cautelare, ad anticipare gli effetti del giudizio di merito.

    La sproporzione della sanzione rispetto alle esigenze di certezza del datore di lavoro deriva – sottolinea il giudice rimettente – dalla circostanza che le stesse potrebbero essere perseguite anche riconoscendo l’idoneità del ricorso cautelare a impedire il verificarsi della decadenza, sia in quanto il procedimento introdotto dallo stesso è destinato a concludersi con una decisione anticipatoria degli effetti della sentenza di merito, sia per la possibilità riconosciuta a entrambe le parti in causa, e quindi anche al datore di lavoro, di instaurare il giudizio di merito ove ne abbiano interesse.

    Osserva il giudice rimettente che la disposizione denunciata renderebbe inutiliter data un’eventuale ordinanza cautelare di accoglimento pronunciata prima dello spirare del termine di decadenza nell’ipotesi in cui, entro lo stesso termine, non venga proposto ricorso di merito o comunicato il tentativo di conciliazione o la richiesta di arbitrato.

    Assume, dunque, il Tribunale che la preclusione all’accesso alla tutela giurisdizionale finisce per gravare – con una sanzione eccessiva rispetto allo scopo perseguito ‒ sulla parte debole del rapporto, violando tanto il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., quanto gli artt. 24 e 111 Cost. in tema di giusto processo e l’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, primo comma, CEDU, poiché la Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ritenuto illegittime le limitazioni all’accesso alla tutela giurisdizionale per motivi formali, prive di uno scopo legittimo ovvero in caso di sproporzione tra mezzo impiegato e scopo, pur legittimo, perseguito.

    Nella prospettazione del giudice a quo, inoltre, i dubbi di legittimità sollevati sono ulteriormente corroborati, in ordine alla dedotta irragionevolezza (ex art. 3 Cost.) della norma censurata, dalla circostanza che quest’ultima, interpretata dal diritto vivente nel senso di non attribuire alcuna rilevanza al ricorso cautelare, la assegna invece espressamente ad atti di natura stragiudiziale, che possono concludersi anche senza la definitiva regolazione dei rapporti tra le parti, come la richiesta di tentativo di conciliazione e di arbitrato, neppure prevedendo, come avviene per l’ipotesi del mancato accordo per l’espletamento di tali mezzi, che dopo la conclusione del giudizio cautelare il lavoratore possa incardinare il giudizio di merito entro un determinato termine.

    Secondo il giudice rimettente, tale complessivo assetto normativo deve ritenersi irragionevole, poiché la domanda cautelare ante causam è atto almeno equipollente al tentativo di conciliazione o alla richiesta di arbitrato rispetto alla manifestazione al datore di lavoro dell’interesse del lavoratore a ottenere la rimozione dell’atto impugnato. L’incoerenza del sistema sarebbe tanto più evidente per il sostanziale impedimento della tutela cautelare in relazione ad atti fortemente incisivi sulla sfera giuridica del lavoratore, come il licenziamento e il trasferimento, in relazione ai quali il dipendente avrebbe maggiore esigenza di ricorrere alla tutela d’urgenza.

    Sottolinea, inoltre, il Tribunale di Catania che il contrasto della disposizione denunciata con i parametri invocati si disvelerebbe anche per la ragione che, sul piano letterale, nell’espressione «ricorso» utilizzata dall’art. 6, secondo comma, della legge n. 604 del 1966, si presterebbe a rientrare anche il ricorso cautelare, con conseguente incertezza della parte in ordine ai mezzi di difesa di cui può disporre.

  3. – Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale promosso dal rimettente, si è costituita la parte datoriale Auchan spa.

    Nelle proprie deduzioni scritte, la società ha eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità delle questioni sollevate dal giudice a quo per erronea identificazione della norma di legge oggetto di censura, costituita, piuttosto che dall’art. 6, secondo comma, della legge n. 604 del 1966, dall’art. 32, comma 3, della legge n. 183 del 2010, che ha esteso la decadenza ivi contemplata anche ad altri atti, tra i quali il trasferimento del lavoratore.

    Nel merito, la società deduce la manifesta infondatezza delle questioni, in relazione a ciascuno dei parametri invocati. Osserva, per un verso, che non è precluso al...

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