Sentenza nº 291 da Constitutional Court (Italy), 27 Dicembre 2019

RelatoreGiulio Prosperetti
Data di Resoluzione27 Dicembre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 291

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettere j), m), e q), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4-8 febbraio 2019, depositato in cancelleria il 12 febbraio 2019, iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione di Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 19 novembre 2019 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l’avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Piera Pujatti per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 4-8 febbraio 2019 e depositato il 12 febbraio 2019 (reg. ric. n. 22 del 2019), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettere j), m) e q), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e in relazione agli artt. 5, comma 5, 12, commi 5 e 12-bis, e 21, comma 1, lettere e) ed f), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

  2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta che, con le disposizioni oggetto di impugnativa, la Regione Lombardia ha apportato modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria); in particolare, l’art. 15, comma 1, lettera j), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018 ha modificato l’art. 22, comma 7, della legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, prevedendo che le annotazioni dei capi di selvaggina migratoria sul tesserino venatorio devono essere effettuate, in modo indelebile, sul posto di caccia, dopo gli abbattimenti e l’avvenuto recupero dell’animale.

    Secondo il ricorrente la previsione regionale sarebbe in contrasto con la disciplina nazionale di cui all’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, che prescrive che l’obbligo dell’annotazione sia adempiuto subito dopo l’abbattimento, per finalità statistiche e per garantire il rispetto del limite giornaliero dei prelievi delle specie.

    Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il fatto di subordinare tale obbligo di annotazione al preventivo recupero dell’animale abbattuto comporterebbe il rischio di escludere dal conteggio gli animali non rintracciati e non recuperati, sia per l’eventuale difficoltà di ricerca nella vegetazione, dovuta alla natura impervia, paludosa o lacustre delle aree, sia per sopraggiunte condizioni di scarsa luminosità.

    L’art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, ponendo un obbligo funzionale al regime vigente di caccia programmata, che fissa quote massime di esemplari passibili di caccia in un determinato territorio, sarebbe espressione di quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica da assicurare su tutto il territorio nazionale, di competenza del legislatore statale nell’esercizio delle attribuzioni in materia ambientale, non derogabile in peius dalle Regioni.

    La norma regionale, introducendo l’ulteriore requisito del preventivo recupero dell’animale da parte del cacciatore, avrebbe, dunque, violato la norma interposta, abbassando lo standard di tutela ambientale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

  3. – In riferimento all’art. 15, comma 1, lettera m), della legge regionale impugnata, la difesa dello Stato rappresenta che esso, modificando il comma 9 dell’art. 25 della legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, consente ai titolari ed utilizzatori degli appostamenti di caccia di vagare «in attitudine di caccia», anche con uso di cane da riporto o con l’uso di natante con motore fuoribordo, con obbligo di arma scarica e riposta nell’apposita custodia, entro un raggio di duecento metri dagli appostamenti medesimi, per abbattere e recuperare la fauna precedentemente ferita.

    La norma, non distinguendo tra appostamenti fissi o temporanei, con o senza richiami vivi, violerebbe il principio di esclusività dell’opzione di caccia, fissato dagli artt. 5, comma 5, e 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, in base al quale il cacciatore, con opzione in via esclusiva per la caccia da appostamento con richiami vivi, non può esercitare la caccia in forma vagante per la stagione venatoria in corso, incorrendo nella sanzione amministrativa di cui all’art. 31, comma 1, lettera a), della legge n. 157 del 1992, nonché nella sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia per un anno, ai sensi del successivo art. 32, comma 4.

    Le norme statali, prosegue l’Avvocatura, sono volte ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e, quindi, possono essere oggetto di integrazione da parte della legge regionale solo nel senso dell’incremento della tutela, non riscontrabile lì ove, come nella specie, si ampli la possibilità di cacciare, consentendo una forma di caccia diversa da quella per cui si è optato in via generale.

  4. – Infine, la difesa dello Stato censura l’art. 15, comma 1, lettera q), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, che aggiunge il comma 19-bis all’art. 25 della legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, prevedendo che le distanze attinenti agli appostamenti di caccia debbano essere misurate seguendo il profilo morfologico del terreno e non in forma lineare.

    Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale modalità di misurazione comporterebbe una riduzione delle distanze minime e la conseguente diminuzione della tutela della pubblica incolumità, in funzione della quale queste distanze sono prescritte dall’art. 21, comma 1, lettera e), della legge n. 157 del 1992.

    La difesa dello Stato sottolinea che la modalità di misurazione realizzata seguendo l’andamento morfologico del terreno non è conosciuta dall’ordinamento e, infatti, in materia urbanistico-edilizia la giurisprudenza si richiama al sistema di misurazione lineare delle distanze tra i fabbricati, mentre la disciplina venatoria statale, per l’uso delle armi da fuoco, prende in considerazione il concetto di gittata massima (art. 21, comma 1, lettera f, della legge n. 157 del 1992), incompatibile con una misurazione che includa l’increspatura dei terreni.

    Conseguentemente, l’art. 15, comma 1, lettera q), della legge regionale impugnata si porrebbe in contrasto con...

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