Sentenza nº 154 da Constitutional Court (Italy), 21 Giugno 2019

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione21 Giugno 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 154

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 6 della legge della Regione Sardegna 18 giugno 2018, n. 21 (Misure urgenti per il reclutamento di personale nel sistema Regione. Modifiche alla legge regionale n. 31 del 1998, alla legge regionale n. 13 del 2006, alla legge regionale n. 36 del 2013 e alla legge regionale n. 37 del 2016), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 10-21 agosto 2018, depositato in cancelleria il 17 agosto 2018, iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 21 maggio 2019 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Sonia Sau per la Regione autonoma Sardegna.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 10-21 agosto 2018 e depositato il 17 agosto 2018 (reg. ric. n. 51 del 2018), ha impugnato gli artt. 2 e 6 della legge della Regione Sardegna 18 giugno 2018, n. 21 (Misure urgenti per il reclutamento di personale nel sistema Regione. Modifiche alla legge regionale n. 31 del 1998, alla legge regionale n. 13 del 2006, alla legge regionale n. 36 del 2013 e alla legge regionale n. 37 del 2016).

    Secondo il ricorrente, la legge reg. Sardegna n. 21 del 2018, nell’introdurre una serie di disposizioni in materia di reclutamento del personale, avrebbe travalicato «la competenza legislativa esclusiva regionale, come attribuita dagli articoli 3 e 5 dello Statuto Speciale», violando anche l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione (quanto all’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2018) nonché l’art. 97 Cost. (quanto all’art. 6 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2018).

    1.1.– Secondo il ricorrente, in particolare, l’art. 2 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2018, nel sostituire l’art. 26, comma 3, della legge della Regione Sardegna 13 novembre 1998, n. 31 (Disciplina del personale regionale e dell’organizzazione degli uffici della Regione), violerebbe i citati parametri statutari e costituzionali, in relazione all’art. 45 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e, in generale, alle disposizioni contenute nel Titolo III dello stesso decreto legislativo.

    Espone il ricorrente che l’art. 26 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998 riconosceva al personale preposto al coordinamento delle unità di progetto per il conseguimento di obiettivi specifici (previste dal comma 1 del medesimo articolo) una retribuzione collegata al conseguimento degli obiettivi stessi, secondo quanto disposto dalla contrattazione collettiva regionale per l’area dirigenziale.

    L’art. 2 della legge regionale impugnata ha sostituito il comma 3 dell’art. 26 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998 con un testo del seguente tenore: «Al personale non dirigente preposto al coordinamento delle Unità di cui al comma 1 è riconosciuta una indennità aggiuntiva equiparata alla retribuzione di posizione spettante al direttore di servizio e alla relativa retribuzione di risultato commisurata al raggiungimento degli obiettivi».

    Il ricorrente evidenzia che la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), all’art. 3, comma 1, lettera a), «attribuisce alla potestà legislativa esclusiva regionale» la disciplina dell’ordinamento degli uffici amministrativi regionali e dello stato giuridico ed economico del relativo personale, ma nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.

    Secondo il ricorrente, l’art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede che il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dalla contrattazione collettiva e deve seguire «le procedure proprie in contraddittorio con le rappresentanze sindacali».

    In base a tali previsioni, profondamente innovative della disciplina precedente sul pubblico impiego, l’intera materia sarebbe retta dai «principi della privatizzazione e della contrattualizzazione collettiva e individuale», che individuerebbero il «metodo di disciplina dei rapporti di lavoro nel settore pubblico», applicabile a tutto il personale dipendente pubblico e, quindi, anche a quello regionale.

    Secondo il ricorrente, nel riservare alla contrattazione collettiva l’intera definizione del trattamento economico, nell’ambito di una visione privatistica del rapporto di pubblico impiego, il legislatore avrebbe appunto attuato «una fondamentale riforma economica e sociale della Repubblica» (come peraltro risulterebbe espressamente dall’art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001), sicché «le norme che traducono questa riforma» costituirebbero «limite invalicabile alla potestà legislativa – anche esclusiva – delle regioni».

    Il ricorrente osserva che la legge regionale previgente lasciava alla contrattazione collettiva regionale per l’area dirigenziale l’individuazione delle retribuzioni del personale preposto al coordinamento delle unità di progetto.

    La disposizione censurata, invece, ignorerebbe del tutto la fonte contrattuale e fisserebbe autonomamente sia l’attribuzione che la misura della voce retributiva spettante al personale preposto al coordinamento delle predette unità, ponendosi, per questa ragione, in contrasto con la norma statale che impone la definizione del trattamento economico fondamentale e accessorio del personale pubblico mediante contrattazione collettiva, così violando il limite del rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.

    Del resto, aggiunge il ricorrente, se pure alla potestà legislativa regionale è demandata la materia dell’organizzazione degli uffici, tuttavia la disciplina del rapporto di lavoro non atterrebbe ai profili organizzativi, rientrando piuttosto nella sfera contrattuale, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, cui è riservata la materia dell’«ordinamento civile», ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

    Il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali, essendo stato privatizzato, sarebbe per questo retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro privatistici, nonché soggetto alle regole statali che ne garantiscono l’uniformità. Per questo, i principi fissati dalla legge statale in materia costituirebbero tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità, sul territorio nazionale, delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati. Come tali, i principi in parola si imporrebbero anche alle Regioni a statuto speciale (viene citata, in tal senso, la sentenza n. 189 del 2007).

    Secondo il ricorrente, la disposizione censurata atterrebbe alla disciplina del rapporto di lavoro e non «alla mera...

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