Sentenza nº 133 da Constitutional Court (Italy), 29 Maggio 2019

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione29 Maggio 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 133

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 30 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249, recante «Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e), della legge 28 novembre 2005, n. 246», promosso dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, nel procedimento vertente tra B. B. e il Consiglio notarile di Milano e altri, con ordinanza del 15 novembre 2017, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di costituzione di B. B. e del Consiglio notarile di Milano, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 aprile 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò;

uditi gli avvocati Francesco Marone e Massimo Rossi per B. B., Matteo Gozzi per il Consiglio notarile di Milano e l’avvocato dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 15 novembre 2017 la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 30 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249, recante «Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e), della legge 28 novembre 2005, n. 246».

    1.1.– Espone la sezione rimettente di essere investita del ricorso proposto da un notaio, B. B., avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Milano del 12 luglio 2017, con la quale è stato rigettato il gravame contro una decisione della Commissione amministrativa regionale di disciplina (CO.RE.DI.) della Lombardia, che aveva inflitto a B. B la sanzione disciplinare della destituzione ai sensi della disposizione censurata.

    Riferisce il giudice a quo che B. B. era già stata due volte ritenuta responsabile – nel 2012 e nel 2013 – dell’illecito previsto dall’art. 147, primo comma, della legge n. 89 del 1913, per non avere versato all’erario le somme versatele dai clienti per la registrazione e la trascrizione degli atti rogati. Nel primo caso le era stata inflitta la sanzione della sospensione per la durata di due mesi, e nel secondo caso quella della sospensione per la durata di un anno. Avendo nel 2015 la CO.RE.DI. ritenuto nuovamente responsabile B. B. per altre condotte integranti l’illecito disciplinare di cui all’art. 147 della legge n. 89 del 1913, la stessa CO.RE.DI. aveva ritenuto di dover applicare il secondo comma di detta disposizione, il quale prevede che «la destituzione è sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi all’ultima violazione».

    1.2.– Ad avviso della sezione rimettente, la disposizione censurata detta una norma di carattere speciale rispetto alla regola generale di cui all’art. 144 della legge n. 89 del 1913, che disciplina l’applicazione delle circostanze attenuanti agli illeciti disciplinari dei notai, prevedendo in particolare che – ove le stesse siano ritenute sussistenti – alla sanzione della destituzione sia sostituita quella della sospensione. Tale regola generale non opererebbe, secondo il giudice a quo, nella particolare fattispecie di recidiva reiterata infradecennale prevista dalla disposizione censurata, nella quale sarebbe sempre doveroso applicare la sanzione massima della destituzione: il trattamento sanzionatorio risulterebbe infatti, in tal caso, «insensibile alla eventuale “lievità” in concreto del fatto costituente illecito disciplinare, essendo la sanzione prevista dalla legge in modo inderogabile, sulla base di una presunzione iuris et de iure di gravità del fatto».

    1.3.– La sezione rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di tale disciplina.

    1.3.1.– Essa sarebbe, anzitutto, in contrasto con l’art. 3 Cost.

    Il giudice a quo richiama, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte in materia di proporzionalità della pena rispetto al disvalore del fatto illecito commesso, giurisprudenza che si porrebbe in consonanza con l’art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (CDFUE). Da tale giurisprudenza discenderebbe, in particolare, il divieto di automatismi sanzionatori, i quali impedirebbero di adeguare la pena alle effettive responsabilità personali; divieto che la giurisprudenza costituzionale avrebbe esteso dal campo del diritto penale alla materia delle sanzioni disciplinari (sono citate le sentenze n. 268 del 2016 e n. 363 del 1996 in materia di sanzioni per i militari, la sentenza n. 170 del 2015 in materia di sanzioni per i magistrati e la sentenza n. 2 del 1999 in materia di sanzioni per i ragionieri e periti commerciali).

    Con specifico riferimento alla responsabilità disciplinare dei notai, il rimettente rileva come la sentenza n. 40 del 1990 di questa Corte abbia dichiarato – per violazione del «principio di proporzione» discendente dall’art. 3 Cost. – l’illegittimità costituzionale dell’art. 142, ultimo comma, della legge n. 89 del 1913, nella parte in cui prevedeva la destituzione di diritto del notaio che fosse stato condannato per determinati delitti, in relazione alla «automatica ed indifferenziata previsione [della sanzione massima] per l’infinita serie di situazioni che stanno nell’area della commissione di uno stesso, pur grave, reato».

    Analogamente, la disposizione ora censurata non consentirebbe al giudice disciplinare di graduare la sanzione in relazione alla gravità del caso concreto; ciò che, invece, apparirebbe necessario dal punto di vista dell’art. 3 Cost., dal momento che l’art. 147 della legge n. 89 del 1913 abbraccia fattispecie di illecito disciplinare «che possono avere, nei diversi casi concreti, una gravità molto diversa tra loro». La disposizione...

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