Sentenza nº 225 da Constitutional Court (Italy), 05 Dicembre 2018

Date05 Dicembre 2018
IssuerConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 225

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Mario Rosario MORELLI Giudice

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Luca ANTONINI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5-sexies, comma 8, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), come introdotto dall’art. 1, comma 777, lettera l), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promossi dal Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, con tre ordinanze del 16 novembre 2016, iscritte rispettivamente ai numeri da 18 a 20 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2018 il Giudice relatore Daria de Pretis.

Ritenuto in fatto

  1. – Con tre ordinanze del 16 novembre 2016, iscritte rispettivamente ai numeri da 18 a 20 del reg. ord. 2017, testualmente identiche, il Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. «5-quinquies» (recte: «5-sexies»), comma 8, della legge 24 marzo 2001, n. 89, recante «Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile» (cosiddetta “legge Pinto”), come introdotto dall’art. 1, comma 777, lettera l), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», per violazione degli artt. 3, 24, 104 e 108 della Costituzione.

    La norma censurata dispone che «[q]ualora i creditori di somme liquidate a norma della presente legge propongano l’azione di ottemperanza di cui al titolo I del libro quarto del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il giudice amministrativo nomina, ove occorra, commissario ad acta un dirigente dell’amministrazione soccombente, con esclusione dei titolari di incarichi di Governo, dei capi dipartimento e di coloro che ricoprono incarichi dirigenziali generali. I compensi riconosciuti al commissario ad acta rientrano nell’onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti».

    Le questioni sono sorte nel corso di giudizi di ottemperanza instaurati da creditori di somme liquidate a norma della legge n. 89 del 2001 e descritti dal rimettente nei termini seguenti.

    Con tre sentenze del 25 febbraio 2016, il medesimo TAR aveva accolto i ricorsi proposti per conseguire l’attuazione di altrettanti decreti emessi dalla Corte d’appello di Perugia, di condanna del Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento di eque riparazioni per irragionevole durata del processo, e aveva nominato quale commissario ad acta il direttore della locale filiale della Banca d’Italia, nelle funzioni di tesoreria provinciale dello Stato, per il caso in cui l’amministrazione soccombente non avesse adempiuto in un termine stabilito.

    Con successive istanze del 4 aprile 2016, proposte ai sensi dell’art. 114, comma 6, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), il nominato direttore della filiale della Banca d’Italia aveva chiesto al suddetto TAR di «essere sollevato dall’incarico» deducendo che, in base alla novella introdotta dall’art. 1, comma 777, lettera l), della legge n. 208 del 2015, il giudice dell’ottemperanza deve nominare commissario ad acta, ove occorra, un dirigente dell’amministrazione soccombente.

    Sentite le parti al fine di decidere su tali istanze, il TAR ha emesso le ordinanze di rimessione.

    1.1.– Sulla rilevanza delle questioni, il giudice a quo osserva che, per provvedere sulle istanze di sostituzione del commissario ad acta e definire così i giudizi di ottemperanza, si deve necessariamente applicare la norma censurata, introdotta dalla legge n. 208 del 2015, che vincola il giudice amministrativo a nominare commissario ad acta un dirigente di seconda fascia dell’amministrazione soccombente. Una diversa opzione interpretativa, costituzionalmente orientata, non sarebbe consentita dalla chiara lettera della legge, la cui applicabilità agli atti compiuti dopo la sua entrata in vigore, anche se relativi a giudizi instaurati in precedenza, deriverebbe dalle regole sulla successione delle leggi processuali nel tempo.

    1.2.– Sulla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che di due principi occorre tenere conto in tema di disciplina della figura del commissario ad acta: da un lato il principio di «imparzialità e terzietà» del commissario ad acta, quale ausiliario del giudice, dall’altro quello del carattere ampiamente discrezionale del potere del giudice amministrativo nel nominarlo.

    1.2.1.– Sotto il primo profilo, la qualità di ausiliario del giudice amministrativo, che quest’ultimo può nominare nelle ipotesi in cui «deve sostituirsi all’amministrazione», ex art. 21 cod. proc. amm., farebbe del commissario ad acta un organo la cui imparzialità e terzietà è riconducibile a quella costituzionalmente imposta al giudice stesso, sicché egli non dovrebbe essere legato a nessuna delle parti del processo, analogamente a quanto è prescritto per il giudice. Tale imparzialità sarebbe garantita dalla legge sia affidandone la nomina al giudice, sia prevedendo l’applicabilità anche al commissario degli istituti dell’astensione e della ricusazione, con il rinvio operato dal citato art. 21 all’art. 20, comma 2, cod. proc. amm.

    La terzietà sarebbe altresì garantita dal fatto che la verifica dei provvedimenti adottati dal commissario ad acta spetta solo al giudice che lo ha nominato, non potendo tali provvedimenti essere unilateralmente modificati dalla pubblica amministrazione, ma solo contestati davanti allo stesso giudice con un apposito incidente di esecuzione. Il commissario ad acta sarebbe, in sostanza, un organo «paragiurisdizionale», che esercita un’attività «più pregnante e incisiva» degli altri ausiliari del giudice, in quanto non si limiterebbe a eseguire atti istruttori o «propulsivi», ma interverrebbe in sostituzione della pubblica amministrazione nell’esercizio delle sue prerogative.

    1.2.2.– Sotto il secondo profilo, il largo margine di apprezzamento, in capo al giudice amministrativo, dei requisiti e dell’identità del commissario ad acta, che connota l’elevato carattere fiduciario dell’incarico, risulterebbe con particolare evidenza dall’art. 21 cod. proc. amm., che non ribadisce, per la sua nomina, gli stessi vincoli cui è subordinata la nomina del consulente tecnico d’ufficio, quali l’iscrizione in specifici albi o comunque il possesso di particolare competenza tecnica, come prevede il precedente art. 19.

    L’ampio potere discrezionale del giudice dell’ottemperanza, sia nel determinarsi per l’uno o per l’altro mezzo di esecuzione del giudicato, sia nella scelta eventuale del commissario ovvero dell’organo al quale demandarla, farebbero rientrare la nomina in questione nella sua «disponibilità».

    1.3.– Ad avviso del giudice a quo, la necessità di scegliere un commissario ad acta indipendente deriverebbe sia dall’art. 24 Cost., in quanto «il principio di effettività della tutela […] si estrinseca anche attraverso il diritto ad un giudice terzo ed imparziale, quindi equidistante», sia dall’art. 108, secondo comma, Cost., ai sensi del quale «[l]a legge assicura l’indipendenza […] degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia». La discrezionalità del giudice amministrativo nella scelta del commissario più idoneo e imparziale scaturirebbe invece dal principio di autonomia e indipendenza della magistratura, ai sensi dell’art. 104 Cost., e più in particolare sempre dall’art. 108, secondo comma, Cost., secondo cui «[l]a legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali […]».

    1.4.– La scelta operata dal legislatore con la norma censurata, anche se limitatamente al «sistema» della legge Pinto, si porrebbe in termini di netta rottura con i principi delineati, derogando a essi sia nella parte in cui prescrive che il commissario ad acta sia un soggetto interno all’amministrazione inadempiente, mettendo in tal modo in dubbio la sua necessaria terzietà, sia nella parte in cui individua nei dirigenti di seconda fascia della stessa amministrazione la categoria alla quale obbligatoriamente attingere, elidendo così...

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