Sentenza nº 180 da Constitutional Court (Italy), 13 Luglio 2017

RelatoreGiuliano Amato
Data di Resoluzione13 Luglio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 180

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), promossi dal Tribunale ordinario di Trento, con due ordinanze dell’8 aprile 2015 e del 28 aprile 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 174 e 211 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37 e n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di costituzione di E. R. e G. N. e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi l’avvocato Massimo Luciani per E. R. e G. N., e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con due ordinanze di analogo tenore, dell’8 aprile 2015 (r.o. n. 174 del 2015) e del 28 aprile 2015 (r.o. n. 211 del 2015), il Tribunale ordinario di Trento ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso).

    Tale disposizione prevede che «La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali».

    Ad avviso del giudice rimettente, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU, poiché la previsione della necessità, ai fini della rettificazione anagrafica dell’attribuzione di sesso, dell’intervenuta modificazione dei caratteri sessuali primari attraverso trattamenti chirurgici pregiudicherebbe gravemente l’esercizio del diritto fondamentale alla propria identità di genere.

    È, inoltre, denunciato il contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., per l’irragionevolezza insita nella subordinazione dell’esercizio di un diritto fondamentale, quale il diritto all’identità sessuale, al requisito della sottoposizione della persona a trattamenti sanitari (chirurgici o ormonali), estremamente invasivi e pericolosi per la salute.

  2. – In entrambi i giudizi, il Tribunale riferisce di essere chiamato a decidere in ordine alla domanda di rettificazione anagrafica dell’attribuzione di sesso, avanzata da una persona non sposata e senza figli, intenzionata al riconoscimento di una nuova identità di genere, diversa da quella attribuita alla nascita.

    In particolare, nel giudizio da cui proviene l’ordinanza iscritta al n. 174 del r.o. 2015, si richiede che risulti quale genere quello maschile e quale prenome uno dello stesso tipo. A questo fine, la parte istante riferisce di aver percepito, sin da quando aveva 14 anni, un’identità maschile, anche facendosi chiamare con un nome del genere, e di essersi già sottoposta a trattamento con testosterone, nonché a mastectomia bilaterale e isterectomia.

    Nel giudizio da cui proviene l’ordinanza iscritta al n. 211 del r.o. 2015, la parte attrice, di sesso anagrafico maschile, chiede che risulti quale genere quello femminile e quale prenome uno dello stesso tipo, evidenziando di aver percepito da anni un’identità di genere femminile, con la quale si presenta anche nell’ambiente sociale, di avere avviato una terapia ormonale e di non ritenere necessario alcun intervento chirurgico. Solo in via di estremo subordine, è richiesta la relativa autorizzazione.

    2.1.– In entrambi i giudizi, il Tribunale rimettente ritiene che il tenore letterale della disposizione censurata escluda la possibilità di ottenere la rettificazione dell’attribuzione di sesso anche in assenza della modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari, vale a dire l’apparato genitale, in base al quale, al momento della nascita, si individua il sesso della persona.

    È ben vero – osserva il giudice a quo – che l’art. 31, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), stabilendo che «[q]uando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato», sembrerebbe prevedere che il trattamento medico-chirurgico sia solo eventuale, come farebbe intendere la locuzione «quando risulta necessario».

    In entrambe le ordinanze di rimessione, il Tribunale ritiene che ciò non significhi che la rettificazione sia ottenibile a prescindere dall’adeguamento dei caratteri sessuali primari, ma solo che possano esservi casi concreti nei quali gli stessi siano già modificati (ad esempio, per un intervento già praticato all’estero o per ragioni congenite).

    Se così non fosse – rilevano i rimettenti – non si comprenderebbe l’espressione «a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali», di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982. Infatti, ove il legislatore avesse inteso consentire la rettificazione dell’attribuzione di sesso a prescindere da tale modificazione, ad essa non avrebbe fatto alcun riferimento nella parte finale della disposizione in esame. Sarebbe necessaria, pertanto, la piena corrispondenza tra gli organi sessuali primari della persona che chiede la rettificazione e la sua nuova identità sessuale.

    Nella ordinanza n. 174 del r.o. 2015 si osserva, altresì, che la lettera dell’art. 1, comma 1, non precisa in cosa debbano consistere le modificazioni dei caratteri sessuali necessarie per ottenere la rettificazione, sicché, secondo il giudice a quo, l’interprete non potrebbe effettuare alcuna distinzione circa tali modificazioni.

    Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata richiederebbe interventi non solo “demolitivi”, ma anche “ricostruttivi”, al fine di rendere la conformazione anatomica della persona il più possibile corrispondente a quella del diverso sesso da attribuire anagraficamente.

    In entrambi i casi oggetto dei giudizi a quibus, il Tribunale adìto dovrebbe rigettare la domanda di rettificazione, non essendo soddisfatto tale requisito; nell’ordinanza n. 211 si riferisce, in particolare, che la parte istante non si è sottoposta ad alcun intervento chirurgico, ma solo alla terapia ormonale, mentre nel caso di cui all’ordinanza n. 174 sono stati eseguiti interventi chirurgici di tipo demolitivo, ma non quelli ricostruttivi.

    Di qui, la rilevanza della questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982, nella parte in cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali della persona istante, dovendosi interpretare la norma nel senso che essa impone modificazioni sia demolitive, sia ricostruttive.

    2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, in entrambe le ordinanze di rimessione, il Tribunale rimettente ritiene che l’inciso «a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali», di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982, si ponga in contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 della CEDU.

    Il giudice a quo, dopo avere premesso che ogni persona ha un sesso «anagrafico» attribuitole al momento della nascita in base a un esame morfologico, ritiene che in alcuni casi non vi sia coincidenza tra il sesso anagrafico e quello «biologico». In tali casi, il sesso attribuito diverrebbe una mera finzione, perché la componente psicologica si discosta dal dato biologico.

    Quando ciò avviene, si manifestano le molteplici componenti della sessualità umana, la quale è al contempo genetica, fenotipica, endocrina, psicologica, culturale e sociale. Si osserva che il dato fondamentale non è più il sesso biologico o anagrafico, ma il genere, definito quale «variabile socio-culturale», vale a dire «qualità della persona in base alla quale della stessa si può dire che è maschile o femminile». Laddove vi sia una «percezione» soggettiva di non coincidenza tra il genere assegnato alla nascita e il genere cui la persona acquista la consapevolezza di appartenere, tale mutamento...

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