Ordinanza nº 24 da Constitutional Court (Italy), 26 Gennaio 2017

RelatoreGiorgio Lattanzi
Data di Resoluzione26 Gennaio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

ORDINANZA N. 24

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), promossi dalla Corte d’appello di Milano con ordinanza del 18 settembre 2015 e dalla Corte di cassazione con ordinanza dell’8 luglio 2016, rispettivamente iscritte al n. 339 del registro ordinanze 2015 e al n. 212 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 2 e 41, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti gli atti di costituzione di M.A.S. e M.B., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 novembre 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi gli avvocati Gaetano Insolera e Andrea Soliani per M.A.S., Nicola Mazzacuva per M.B. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

  1. – La Corte di cassazione, terza sezione penale, e la Corte d’appello di Milano hanno investito questa Corte della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957 (Testo consolidato con le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007), come interpretato dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco.

    Con questa decisione la Corte di giustizia ha affermato che l’art. 325 del TFUE impone al giudice nazionale di non applicare il combinato disposto degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, del codice penale quando ciò gli impedirebbe di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, ovvero quando frodi che offendono gli interessi finanziari dello Stato membro sono soggette a termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per le frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.

    Per effetto degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., gli atti interruttivi della prescrizione, per i reati fiscali puniti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e aventi a oggetto l’IVA, comportano, di regola e salvo casi particolari, l’aumento di un quarto del tempo necessario a prescrivere. Ove questo aumento si riveli in un numero considerevole di casi insufficiente per reprimere le frodi gravi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, che dipendono dalla mancata riscossione dell’IVA sul territorio nazionale, il giudice penale dovrebbe procedere nel giudizio, omettendo di applicare la prescrizione, e nello stesso modo il giudice dovrebbe comportarsi se la legge nazionale prevede per corrispondenti figure di reato in danno dello Stato termini di prescrizione più lunghi di quelli stabiliti per le frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione.

    I giudici rimettenti procedono per frodi fiscali punite dal d.lgs. n. 74 del 2000 e attinenti alla riscossione dell’IVA, che reputano gravi e che sarebbero prescritte ove si dovessero applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., mentre nel caso contrario i giudizi si potrebbero concludere con una pronuncia di condanna. I rimettenti aggiungono che l’impunità conseguente all’applicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. ricorre in un numero considerevole di casi.

    La Corte d’appello di Milano prende in esame anche un’ipotesi normativa che ritiene lesiva del principio di assimilazione, perché il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, previsto dall’art. 291-quater del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), assimilabile all’associazione per delinquere allo scopo di commettere delitti in materia di IVA, lesivi degli interessi finanziari dell’Unione, non è soggetto al limite dell’aumento di un quarto stabilito nei casi di interruzione della prescrizione.

    In entrambi i giudizi sussisterebbero perciò le condizioni enucleate dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, del TFUE, in presenza delle quali il giudice, escludendo la prescrizione, dovrebbe decidere nel merito.

    I rimettenti tuttavia dubitano che questa soluzione sia compatibile con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona, espressi dagli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma, 27, terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, con particolare riguardo al principio di legalità in materia penale.

    Questo principio comporta che le scelte relative al regime della punibilità siano assunte esclusivamente dal legislatore mediante norme sufficientemente determinate e applicabili solo a fatti commessi quando esse erano già in vigore. Secondo i giudici rimettenti, invece, la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., che concerne anche le condotte anteriori alla data di pubblicazione della sentenza resa in causa Taricco, determina un aggravamento del regime della punibilità di natura retroattiva. Mancherebbe, inoltre, una normativa adeguatamente determinata, perché non è chiarito, né quando le frodi devono ritenersi gravi, né quando ricorre un numero così considerevole di casi di impunità da imporre la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen, cosicché la relativa determinazione viene rimessa al giudice.

    I giudizi vertono su analoghe questioni e meritano di essere riuniti per una decisione congiunta.

  2. – Il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione è un dato acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell’art. 11 Cost.; questa stessa giurisprudenza ha altresì costantemente affermato che l’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona è condizione perché il diritto dell’Unione possa essere applicato in Italia. Qualora si verificasse il caso, sommamente improbabile, che in specifiche ipotesi normative tale osservanza venga meno, sarebbe necessario dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge nazionale che ha autorizzato la ratifica e resi esecutivi i Trattati, per la sola parte in cui essa consente che quell’ipotesi normativa si realizzi (sentenze n. 232 del 1989, n. 170 del 1984 e n. 183 del 1973).

    Non vi è inoltre dubbio che il principio di legalità in materia penale esprima un principio supremo dell’ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata retroattiva. Tale principio è formulato dall’art. 25, secondo comma, Cost., per il quale «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».

    Se l’applicazione dell’art. 325 del TFUE comportasse l’ingresso nell’ordinamento giuridico di una regola contraria al principio di legalità in materia penale, come ipotizzano i rimettenti, questa Corte avrebbe il dovere di impedirlo.

  3. ...

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