N. 140 SENTENZA 4 - 8 maggio 2009

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:

Presidente: Francesco AMIRANTE;

Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI;

ha pronunciato la seguente

Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 384, primo comma, del codice penale promosso dal Tribunale di Como nel procedimento penale a carico di C. C., con ordinanza del 26 settembre 2007, iscritta al n. 843 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 4, 1ª serie speciale, dell'anno 2008.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di consiglio dell'11 marzo 2009 il giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto in fatto 1. - Il Tribunale di Como, in composizione monocratica, con ordinanza del 27 settembre 2007, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione, dell'art. 384, primo comma, del codice penale 'nella parte in cui non contempla tra i soggetti che possono beneficiare della scriminante anche il convivente more uxorio'.

Il rimettente premette di essere chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di C. C., imputato del delitto di cui all'art. 378 cod. pen., 'per avere offerto ospitalita' presso la propria abitazione a M. D., aiutandola, cosi', a sottrarsi alle ricerche dell'autorita' poiche' colpita da provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Milano del 15 dicembre 2004 (fatto accertato in data 10 maggio 2006)'.

Il giudice a quo aggiunge che 'l'imputato intenderebbe invocare l'esimente di cui all'art. 384 cod. pen. per essere stata, con tutta evidenza, la sua condotta determinata dalla necessita' di evitare alla convivente more uxorio le gravi e inevitabili conseguenze in tema di liberta', che sarebbero derivate dall'esecuzione dell'ordine di carcerazione emesso a suo carico con il provvedimento di unificazione di pene della Procura'. Pero' tale causa di non punibilita', in base al testuale tenore dell'art. 384, primo comma, cod. pen., sarebbe applicabile soltanto a chi ha agito per salvare se stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella liberta' o nell'onore, ed ai fini della legge penale - art.

307, quarto comma, cod. pen. - in questa nozione rientrerebbe il coniuge, ma non il convivente more uxorio.

Ne' sarebbe possibile un'interpretazione adeguatrice della norma invocata, al fine di ritenerla applicabile anche nel caso concreto mediante un procedimento analogico in bonam partem, perche' il dato letterale desumibile dal combinato disposto degli artt. 384, primo comma, e 307, quarto comma, cod. pen. sarebbe esplicito sul punto, elencando casi tassativi tra i quali non rientrerebbe quello in esame.

In tal modo, pero', si determinerebbe una irragionevole disparita' di trattamento tra situazioni (quella del coniuge e quella del convivente more uxorio) 'assolutamente identiche nella sostanza'.

Invero, la ratio dell'esimente contemplata dall'art. 384, primo comma, cod. pen. sarebbe quella 'di evitare, per motivi etici, che un soggetto sia obbligato ad arrecare un nocumento grave ad una persona a cui e' legato da un profondo vincolo affettivo perche' parente o perche' legato da una convivenza stabile consacrata con il vincolo del matrimonio: non v'e' ragione perche' tali motivi etici non debbano essere considerati anche all'interno della famiglia di fatto'. Il citato art. 384, nella sua ratio, sicuramente porrebbe l'accento sulla realta' sociale della stabile convivenza cui sono connessi vincoli affettivi, non sull'unione formalizzata tra due persone conviventi, ovvero si fonderebbe, oltre che sul principio del nemo tenetur se detegere, sul riconoscimento della forza degli affetti e dei legami di solidarieta' familiare che si basano sulle caratteristiche di quei vincoli interpersonali e non sull'esistenza dell'atto di matrimonio.

Il carattere ufficiale del matrimonio, nel caso di specie, avrebbe 'il solo scopo di offrire una migliore garanzia in ordine alla effettiva esistenza della situazione di fatto sottesa che la norma intende tutelare', cioe' la 'stabile relazione affettiva ormai instauratasi: e nel caso in cui, come nel caso di specie, pure in assenza di un contratto di matrimonio tale stabile relazione affettiva sia ampiamente comprovata, ogni disparita' di trattamento tra le due situazioni assolutamente comparabili appare irragionevole e irrazionale'.

Ne' gioverebbe obiettare che gli interessi del coniuge e del convivente non sarebbero equiparabili, ai sensi dell'art. 3 Cost., perche' il rapporto di fatto sarebbe privo della certezza e stabilita' che, invece, caratterizzano il matrimonio. In realta' nella famiglia legittima si potrebbe parlare soltanto di certezza nel senso della rilevanza pubblica del rapporto ma non certo di garanzia di stabilita'; ed anche il...

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