N. 3 ORDINANZA (Atto di promovimento)

LA CORTE MILITARE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nell'udienza camerale del 16 luglio 2008 celebrata in seguito all'appello proposto dal difensore contro la sentenza pronunciata dal G.u.p. presso il Tribunale militare della Spezia in data 18 dicembre 2007 nei confronti di Pelagatti Andrea, nato a Parma il 12 maggio 1966, imputato del reato continuato di peculato militare e truffa militare pluriaggravata (artt. 81 cpv. c.p.; 215, 234, commi 1 e 2 e 47, n. 2 c.p.m.p.), come in atti.

  1. - Con sentenza pronunciata all'esito di giudizio abbreviato e relativa anche ad altre imputazioni, il G.u.p. presso il Tribunale militare della Spezia dichiarava il magg. (allora cap.) E. I.

    Pelagatti Andrea, in atti meglio generalizzato, responsabile di quattro episodi di peculato militare (art. 215 c.p.m.p.) per essersi appropriato delle energie lavorative di militari in servizio presso il suo reparto utilizzandoli, tra il 25 maggio ed il 29 giugno 2004, per effettuare taluni lavori di pulizia nell'alloggio ASC (Alloggio di Servizio Collettivo) avuto in concessione dall'amministrazione militare.

    Avverso i capi della sentenza portanti la condanna dell'imputato proponeva appello il difensore.

    Nel gravame si contesta, tra l'altro, la configurabilita' in astratto del peculato di energie lavorative affermandosi, al riguardo, che 'la giurisprudenza della suprema Corte ha piu' volte escluso la possibilita' di ricondurre 1'appropriazione di ''energie lavorative'' all'ipotesi di peculato ravvisando, in genere, in tale condotta gli estremi del reato di abuso di ufficio (Cass. pen., sez.

    VI, 13 maggio 1998, n. 8494; sez. VI, 27 gennaio 1994, n. 6094), quanto sopra sulla base dell'obiettiva impossibilita' di concepire sotto il profilo civilistico la ''detenzione'' della persona umana e conseguentemente la sottrazione delle relative ''energie lavorative'' '.

    Con riferimento a tale doglianza, si chiede nell'atto d'impugnazione, seppure in via subordinata rispetto alla principale richiesta di assoluzione nel merito perche' il fatto non sussiste o l'imputato non l'ha commesso, che la Corte militare d'appello, ravvisati gli estremi del reato di abuso di ufficio di cui all'art.

    323 c.p., dichiari, sul punto, il proprio difetto di giurisdizione.

    All'odierna udienza, celebrata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 443, comma 4 c.p.p., il pubblico ministero ha concluso chiedendo la conferma dell'appellata sentenza; il difensore ha chiesto l'accogliniento dei motivi di appello.

  2. - La Corte condivide l'argomento difensivo secondo cui non e' configurabile il peculato di energie lavorative.

    E' ben vero che un indirizzo di legittimita', recentemente riaffermato (Cass., sez. VI, 18 gennaio 2001, n. 352, ud. 7 novembre 2000), sostiene che il reato di peculato possa essere integrato anche dall'appropriazione di energie lavorative, ma questo Collegio ritiene di aderire all'orientamento contrario, in sintesi osservando che:

    le energie umane non sono una cosa mobile suscettibile di possesso ne' e' ammissibile il possesso della persona che le produce;

    se si ammettesse il peculato di energie lavorative, dovrebbe coerentemente ma paradossalmente ammettersi che il personale dipendente, qualora prestasse con piena consapevolezza la propria indebita attivita', sarebbe concorrente nel reato di peculato della propria attivita' (e lo stesso paradossale risultato si avrebbe nei confronti del peculatore, qualora anch'egli partecipasse materialmente ai lavori per i quali fosse utilizzato il personale dipendente);

    il fatto che la fattispecie di peculato non possa avere ad oggetto le energie lavorative e' indirettamente dimostrato dalla circostanza che, nell'ambito dei lavori parlamentari sulla legge di riforma dei reati contro la p.a., in almeno due disegni di legge venne espressamente prevista la fattispecie di peculato per sfruttamento di energie lavorative o di servizi, che non venne accolta nel testo definitivo della legge n. 86/1990;

    si rinvengono nell'ordinamento specifiche disposizioni che vietano l'utilizzazione di prestazioni lavorative altrui, disposizioni che risulterebbero ultronee se tale tipologia di condotte fosse sussumibile nelle norme incriminatici di peculato comune o militare (si fa riferimento all'art. 78, della legge 10 aprile 1981, n. 121, di riforma della Polizia di Stato ed all'art.

    136 c.p.m.p. che punisce l'abuso nel lavoro delle officine o di altri laboratori militari);

    poiche' il principio di legalita' che permea il diritto penale non consente che l'individuazione del bene giuridico tutelato rifluisca sull'ambito di applicazione di una norma incriminatrice ampliandolo oltre i limiti di tipicita' del fatto desumibili dalla testuale formulazione della norma stessa, non pare condivisibile la tesi che ammette la configurabilita' del peculato di energie lavorative sul rilievo che l'offensivita' del reato di peculato non e' limitata all'interesse patrimoniale della pubblica amministrazione ma ricomprende anche la violazione dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialita' della pubblica amministrazione sanciti dall'art. 97 Costituzione.

  3. - Escluso che le condotte ascritte all'imputato a titolo di peculato militare possano essere ricondotte a tale fattispecie, ritiene il Collegio che esse non siano penalmente irrilevanti, come in...

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