Sentenza nº 266 da Council of State (Italy), 20 Gennaio 2014

Date20 Gennaio 2014
IssuerCouncil of State (Italy)

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Salvatore Cacace, Presidente FF

Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore

Hadrian Simonetti, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO, sede di ROMA, SEZIONE II TER, n. 01015/2006, resa tra le parti, concernente sanzione disciplinare della destituzione.

sul ricorso numero di registro generale 3295 del 2007, proposto da:

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudia Zhara Buda e Massimo Zhara Buda, con domicilio eletto presso l'avv. Claudia Zhara Buda, in Roma, via Orti della Farnesina n. 155;

Ministero delle politiche agricole e forestali - Corpo forestale dello Stato, non costituitosi in giudizio;

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2013, il Cons. Angelica Dell'Utri;

Udita per la parte appellante, alla stessa udienza, l'avv. Claudia Zhara Buda;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

  1. - Con atto notificato il 22 marzo 2007 e depositato il 19 aprile seguente, il dott. -OMISSIS-, -OMISSIS-, ha appellato la sentenza 10 febbraio 2006 n. 1015 del TAR per il Lazio, sede di Roma, sezione seconda ter, con la quale è stato respinto il suo ricorso avverso il decreto dirigenziale 16 dicembre 2003 n. 115, di destituzione dal servizio a decorrere dal 13 marzo 1999, e gli atti sottostanti.

    L'appellante ha premesso che una sola ed unica volta, in un colloquio registrato dall'interlocutore e trascritto dai Carabinieri, si è trovato ad accettare una somma di denaro dall'amministratore di una società che aveva partecipato a numerose gare per la fornitura di capi di vestiario; di qui la condanna in sede penale per il reato di concussione e tuttavia anche dalle sentenze penali emergerebbero elementi, che, se fossero stati oggetto di adeguata e dovuta valutazione, avrebbero condotto ad un diverso e meno drastico provvedimento.

    Ha premesso ancora, tra l'altro, che la Cassazione rigettava il suo ricorso con sentenza depositata il 1° ottobre 2003, ma ancor prima l'Amministrazione dava inizio al procedimento disciplinare con lettera di contestazioni del 4 luglio 2003, cui egli controdeduceva ampiamente ponendo in luce i molteplici vizi dell'istruttoria del giudizio penale di primo grado che la Corte d'appello non ha ritenuto di ripetere, mentre la Corte di Cassazione non poteva riaprire il merito della causa.

    Nella seduta del 30 settembre 2003 la Commissione di disciplina, ascoltate le difese del deferito e del legale, deliberava l'applicazione della sanzione predetta ex art. 84, comma 1, lett. a), c) ed f) del d.P.R. n. 3 del 1957 ?per avere il dipendente posto in essere un comportamento che rivela la mancanza di senso morale con grave abuso di autorità avendo richiesto ed accettato compensi in relazione ad un affare trattato per ragioni di ufficio?.

    Il procedimento si concludeva col decreto suindicato dell'Ispettorato generale del Corpo a firma del Vice Capo del Corpo stesso.

  2. - A sostegno dell'appello vengono dedotti i seguenti quattro motivi, corrispondenti ai motivi dell'originario ricorso ritenuti infondati dal TAR:

    1. Vizio del procedimento. Violazione dell'art. 9 della legge 7.2.1990 n. 19.

      Egli lamenta l'avvio del procedimento disciplinare sulla scorta della sentenza della Corte di appello, cioè quando il quadro delle responsabilità soggettive non era ancora definito, pendendo il giudizio di cassazione; né la Commissione di disciplina ha ritenuto di dover tenere conto della completa motivazione della Cassazione (la cui sentenza è stata infatti depositata il giorno seguente), da cui potevano emergere utili elementi ai fini dell'istruttoria che la medesima Commissione avrebbe comunque dovuto condurre autonomamente.

      Il TAR, si afferma, non ha compreso tale censura, avendo ritenuto che egli intendesse lamentare il decorso di oltre 180 giorni dalla sentenza della Corte di appello; censura che, invece, era da ritenersi fondata stante la non irrevocabilità di quest'ultima sentenza.

    2. Vizio del...

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