Sentenza nº 98 da Constitutional Court (Italy), 23 Maggio 2013

RelatorePaolo Grossi
Data di Resoluzione23 Maggio 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 98

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco GALLO Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 2, 3, comma 4, 14, 18 e 19 della legge della Regione Lombardia 27 febbraio 2012, n. 3, recante «Disposizioni in materia di artigianato e commercio e attuazioni della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno. Modifiche alla legge regionale 30 aprile 2009, n. 8 (Disciplina della vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione per il consumo immediato nei locali dell’azienda) e alla legge regionale 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27 aprile 2012, depositato in cancelleria il 3 maggio 2012 ed iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 27 marzo 2013 il Presidente Franco Gallo in luogo e con l’assenso del Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 27 aprile 2012 e depositato il successivo 3 maggio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato in via principale gli articoli 2, comma 2, 3, comma 4, 14, 18 e 19 della legge della Regione Lombardia 27 febbraio 2012, n. 3, recante «Disposizioni in materia di artigianato e commercio e attuazioni della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno. Modifiche alla legge regionale 30 aprile 2009, n. 8 (Disciplina della vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione per il consumo immediato nei locali dell’azienda) e alla legge regionale 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere)» [pubblicata nel BUR del 29 febbraio 2012, n. 9, Supplemento].

    1.1. – In primo luogo, le censure si appuntano sull’articolo 2, comma 2, che, introducendo il comma 4-bis all’art. 2 della legge regionale 30 aprile 2009, n. 8 (Disciplina della vendita da parte delle imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione per il consumo immediato nei locali dell’azienda), richiede per i cittadini europei ed extracomunitari l’attestazione del possesso, nella comunicazione di inizio attività, di uno dei documenti previsti dall’art. 67, comma 2-bis, della legge regionale 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere), a sua volta inserito dall’altrettanto impugnato art. 19 della legge regionale n. 3 del 2012 (ossia un certificato di conoscenza della lingua italiana, Certificazione Italiano Generale, ovvero un attestato che dimostri di aver conseguito un titolo di studio presso una scuola italiana legalmente riconosciuta, o di aver svolto un corso professionale per il commercio relativo al settore merceologico alimentare o per la somministrazione di alimenti e bevande istituito dalla Regione Lombardia o dalle altre Regioni), disponendo che in caso di mancata attestazione il cittadino extracomunitario o comunitario è tenuto a superare positivamente un corso di lingua italiana presso la Camera di Commercio territorialmente competente (o altro riconosciuto dalla Regione o dalle altre Regioni).

    Secondo il ricorrente i predetti artt. 2, comma 2, e 19, configurando una evidente diretta discriminazione nei confronti di soggetti stranieri sia comunitari che extracomunitari in ragione della loro cittadinanza, si pongono in contrasto: a) con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in quanto disattendono i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e l’art. 49 Trattato UE che vieta restrizioni alla libertà di stabilimento, stabilendo l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, nonché l’art. 15 della Direttiva Servizi 2006/123/CE (attuata dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, recante «Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania») che richiede, qualora lo Stato membro subordini l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto di determinati requisiti, la garanzia che tali requisiti non siano discriminatori, e che siano informati ai criteri di necessità e proporzionalità; b) con l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., che riserva allo Stato la competenza in materia di condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea; c) con l’art. 117, secondo comma, lettera e), che riconosce allo Stato la competenza in materia di tutela della concorrenza, lesa dalla introduzione di un ingiustificato ostacolo all’esercizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande per i cittadini extracomunitari e dell’Unione europea.

    1.2. – Viene, poi, censurato l’art. 3, comma 4, nella parte in cui prevede un trattamento differenziato tra operatori delle attività finalizzate al benessere fisico ed al miglioramento estetico della persona o alla cura del corpo senza scopi terapeutici a seconda della iscrizione o meno al registro istituito dalla legge regionale 1° febbraio 2005, n. 2 (Norme in materia di discipline bio-naturali), prevedendo che solo le attività svolte da chi non sia iscritto vadano ricondotte nell’ambito della legge statale 4 gennaio 1990, n. 1 (Disciplina dell’attività di estetista), che prevede espressamente il possesso della qualifica professionale di estetista. Secondo il ricorrente si determina la violazione della potestà concorrente in materia di professioni (ex art. 117, terzo comma, Cost.), giacché in tal modo la legge regionale lombarda conferirebbe valore abilitativo all’esercizio di una professione all’iscrizione in un registro regionale; così ponendosi in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale (di cui vengono citate le sentenze n. 11 del 2008, n. 300, n. 93 e n. 57 del 2007, n. 424 e n. 153 del 2006) che ha tradizionalmente vietato alle Regioni l’istituzione di fatto di nuove figure professionali o l’istituzione di un registro professionale regionale e le condizioni per potersi iscrivere ad esso.

    1.3. – Altra impugnazione riguarda l’art. 14, avente ad oggetto il rilascio e il rinnovo delle concessioni dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, nella parte in cui prevede la possibilità di individuarli anche in deroga a quanto disposto dall’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno). Il ricorrente osserva come tale possibilità derogatoria dei principi comunitari sia idonea a introdurre criteri potenzialmente restrittivi della concorrenza, in special modo con riferimento alla richiamata normativa statale che stabilisce che le autorizzazioni debbano essere concesse per durata limitata, senza rinnovo automatico e individuazione di vantaggi in favore del prestatore uscente; con ciò venendo in contrasto con l’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e).

    1.4. – L’ultima censura riguarda l’art. 18, nella parte in cui prevede che il possesso del requisito professionale per l’esercizio delle attività di commercio de quibus sia comprovato non solo dall’iscrizione all’INPS, ma anche dall’attestazione degli adempimenti contributivi minimi previsti da parte della previdenza sociale nazionale. Per il ricorrente, tale requisito ulteriore, non previsto dalla legge statale, introducendo un elemento restrittivo per il riconoscimento del titolo professionale si porrebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., per violazione dei vincoli derivanti dal diritto comunitario; con le lettere a), b) e) ed o) del secondo comma dello stesso articolo, per invasione delle competenze esclusive dello Stato su condizione giuridica dello straniero, previdenza sociale e tutela della concorrenza; nonché con il terzo comma dell’art. 117 Cost. per contrasto con la norma statale di principio in materia di professioni.

  2. – Si è costituita la Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta, concludendo per l’inammissibilità e l’infondatezza di tutte le censure.

    2.1. – Premesso che l’esplicito intento della legge è quello di assicurare la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi nel territorio, anche al fine di garantire la trasparenza del mercato, la difesa della Regione osserva – quanto agli impugnati artt. 2, comma 2, e 19 – che i requisiti che il cittadino comunitario o extra deve attestare di possedere sono in realtà previsti in alternativa tra loro a scelta dello straniero, e che (quanto a quello della frequenza con esito positivo di un corso professionale per il commercio) tale requisito è identico a quello previsto anche per il cittadino italiano dall’art. 66 della legge regionale n. 6 del 2010. Pertanto le disposizioni normative non conterrebbero alcuna discriminazione rilevante ai sensi dell’art. 49 del Trattato; laddove, in subordine, secondo la Regione, un eventuale riconoscimento del carattere discriminatorio delle norme de quibus dovrebbe condurre (secondo una interpretazione conforme al diritto comunitario)...

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