del 24 giugno 2008 emessa dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile promosso da Brandi Massimo ed altra contro Presidenza del Consiglio dei ministri Impiego pubblico - Dipendenti di pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazioni lavorative non superiori al cinquanta per cento di quelle a tempo pieno - Divieto di iscrizione all'albo professionale degli avvocati - Non applicabilita' a coloro che risultino gia' iscritti alla data di entrata in vigore della legge n. 339/2003 - Mancata previsione - Irragionevolez ..........

IL GIUDICE DEL LAVORO Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, Procedimento n. r. g. 7618/2003 tra Brandi Massimo, elett. te dom. to presso lo studio dell'avv. R. Veneruso, rapp.to e difeso dagli avv. Luigi e Dante De Marco e Vittorio Martino, giusta procura a margine del ricorso introduttivo, ricorrente e Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato di Napoli presso i cui uffici elett. te domicilia, resistente, nonche' ADIP - Avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale, in persona del legale rapp. te pro tempore, elett. te dom.ta presso lo studio dell'avv. R. Silvano che la rapp. ta e difende in virtu' di procura a margine della comparsa di intervento, interventore volontario.

Svolgimento del processo Con ricorso a questo giudice del lavoro depositato in data 3 luglio 2003, Brandi Massimo, dipendente dell'Avvocatura dello Stato con la qualifica di operatore amministrativo, in possesso dell'abilitazione all'esercizio della professione forense, esponeva di aver chiesto all'amministrazione, ai sensi dell'art. 1, comma 58, legge n. 662/1996, la trasformazione del proprio rapporto lavorativo a tempo pieno in rapporto part-time, al fine di poter esercitare la professione di avvocato; che l'amministrazione, con decreto in data 16 dicembre 2002 aveva negato l'autorizzazione alla richiesta, motivando il diniego con il conflitto di interessi che sarebbe scaturito dalla prosecuzione del rapporto di dipendenza con l'Avvocatura e dal contestuale esercizio della professione forense.

Lamentava il ricorrete l'illegittimita' del provvedimento, avverso il quale aveva proposto separata istanza in sede cautelare ai fini della rimozione del provvedimento di diniego, istanza respinta in prime cure e accolta all'esito del procedimento di reclamo al Collegio ex art. 669-terdecies c.p.c.

Assumendo l'illegittimita' della condotta dell'amministrazione la quale, ai sensi dell'art. 1, comma 58, cit. avrebbe solo dovuto prendere atto dell'opzione formulata da esso ricorrente, non essendo prevista dalla norma richiamata alcuna autorizzazione, chiedeva dichiararsi l'avvenuta trasformazione del rapporto di dipendenza dall'Avvocatura a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, condannando l'Amministrazione al risarcimento del danno da perdita di chance, determinato dalla temporanea impossibilita' di accettare incarichi difensivi, quantificato in complessivi € 30.000,00, oltre accessori, con vittoria di spese ed onorari del procedimento cautelare e di merito.

Costituitasi ritualmente, la Presidenza del Consiglio dei ministri eccepiva l'infondatezza delle ragioni poste a base della domanda concludendo per il suo rigetto.

Si costituiva in qualita' di interventore volontario l'associazione ADIP - Avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale - che deduceva l'entrata in vigore della legge n. 339/2003 la quale disponeva l'inapplicabilita' dell'art. 1, comma 56, 56-bis, 57 della legge n. 662/1996 all'iscrizione agli albi degli Avvocati per i pubblici dipendenti, per i quali erano da ritenersi fermi i divieti di cui al r.d. legge n. 1578/1933 convertito con modificazioni dalla legge n. 36/1934 e successive modificazioni.

Assumeva l'associazione interventrice l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003 sotto numerosi profili, concludendo per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale ed, in ogni caso, perche' fosse dichiarata la legittimazione del Brandi alla propria collocazione in part-time dal 23 gennaio 2003.

Interrogato il ricorrente, acquisita documentazione, all'udienza del 28 settembre 2005, questo giudicante disponeva la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ravvisando la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2, legge n. 339/2003 con gli artt. 3 e 4 della Costituzione. La questione veniva decisa con pronuncia di inammissibilita' della Corte emessa in data 22 novembre 2006.

Riassunto il procedimento, riesaminati gli atti, questo giudice ritiene la necessita' di sottoporre nuovamente al vaglio del Giudice delle leggi la questione di incostituzionalita' delle disposizioni richiamate, ancorche' sotto un diverso profilo, talche' all'odierna udienza si riservava di provvedere al riguardo.

Ritenuto in diritto Gli articoli 60 e seguenti del testo unico n. 3 del 1957 sugli impiegati civili dello Stato sancivano in via generale l'incompatibilita' del rapporto di pubblico impiego con l'esercizio di professioni, salvo alcune eccezioni. Quando pero', con l'art. 7 della legge n. 554 del 1988, fu introdotto con carattere di generalita' l'istituto del rapporto di lavoro a tempo parziale nel pubblico impiego, nel disciplinare tale rapporto l'art. 6, comma 2, del d.P.C.m. n. 117 del 1989 dispose che «al personale interessato e' consentito, previa motivata autorizzazione dell'amministrazione o dell'ente di appartenenza, l'esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attivita' di istituto della stessa amministrazione o ente». Il d.lgs. n. 29 del 1993, che ha disposto la cosiddetta privatizzazione dell'impiego pubblico in tutti i settori non espressamente eccettuati, prevedeva a sua volta che le amministrazioni pubbliche si avvalessero di rapporti di lavoro a tempo parziale (art. 36, comma 2), e, quanto alle incompatibilita', richiamava le regole preesistenti, tra cui quelle dettate, per il rapporto a tempo parziale, dal citato d.P.C.m. n. 117 del 1989 (art.

58, comma 1).

In questo quadro, l'art. 1, comma 56, della legge n. 662 del 1996 stabili' che «le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, nonche' le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno».

A rafforzamento ulteriore di questa scelta, il comma 56-bis dello stesso art. 1, introdotto dall'art. 6 del d.l. n. 79 del 1997, convertito in legge n. 140 del 1997, ha disposto l'abrogazione delle «disposizioni che vietano l'iscrizione ad albi e l'esercizio di attivita' professionali per i soggetti di cui al comma 56» - tra cui quella dell'art. 3, secondo comma, del r.d.l. n. 1578 del 1933 sull'ordinamento della professione forense - aggiungendo che «ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attivita' professionale non possono essere conferiti incarichi professionali dalle amministrazioni pubbliche», e (con disposizione specificamente relativa alla professione di avvocato) che «gli stessi dipendenti non possono assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione».

A sua volta il comma 58 del medesimo art. 1 della legge n. 662 del 1996 dispone che l'amministrazione nega la trasformazione del rapporto in rapporto a tempo parziale «nel caso in cui l'attivita' lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi...

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