Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Parlamento - Intercettazioni 'casuali' di comunicazioni o conversazioni di parlamentari eseguite nel corso di procedimenti riguardanti terzi - Utilizzabilita' in giudizio solo previa autorizzazione della Camera di appartenenza e distruzione della documentazione in caso di diniego - Asse...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:

Presidente: Franco BILE;

Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;

ha pronunciato la seguente:

Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003 n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), promosso con ordinanza del 9 gennaio 2006 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di M.U.G. ed altri, iscritta al n. 108 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.

Visto l'atto di intervento del presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto in fatto

  1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), nella parte in cui prevede che - ove la Camera competente neghi l'autorizzazione all'utilizzazione delle intercettazioni "indirette" o "casuali" di conversazioni cui ha preso parte un membro del Parlamento - la relativa documentazione debba essere immediatamente distrutta, e che i verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni, acquisiti in violazione del disposto dello stesso art. 6, debbano essere dichiarati inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento; anziche' limitarsi a prevedere l'inutilizzabilita' di detta documentazione nei confronti del solo parlamentare indagato.

    Il rimettente riferisce che, nel procedimento a quo, il pubblico ministero aveva fatto istanza, ai sensi dell'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, affinche' fosse richiesta alla Camera dei deputati l'autorizzazione all'utilizzazione di alcune conversazioni telefoniche, intercettate su utenze in uso a terzi, alle quali aveva preso parte un membro di detta Camera, iscritto nel registro delle notizie di reato per fatti di turbativa d'asta aggravata in concorso.

    I difensori del parlamentare si erano opposti alla richiesta, osservando che il citato art. 6 concerneva - per espressa previsione del comma 1 - le intercettazioni di conversazioni di membri del Parlamento eseguite nel corso di procedimenti "riguardanti terzi": ipotesi, questa, che non ricorreva nella specie, essendo il parlamentare indagato nel medesimo procedimento. I medesimi difensori avevano quindi prospettato al giudice a quo la seguente alternativa: o ritenere applicabile l'art. 4 della legge n. 140 del 2003 (che richiede l'autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza al fine di eseguire intercettazioni nei confronti di un membro del Parlamento), dichiarando di conseguenza inutilizzabili le conversazioni telefoniche; ovvero sollevare questione di legittimita' costituzionale dei citati artt. 4 e 6, nella parte in cui - non disciplinando espressamente il caso in esame - sembrerebbero consentire all'autorita' inquirente di intercettare "indirettamente" (ossia tramite utenze in uso a terzi) il parlamentare indagato, rimettendo successivamente all'autorita' giudiziaria la scelta se utilizzare le conversazioni intercettate senza alcuna autorizzazione, ovvero se chiedere una autorizzazione "postuma", in applicazione analogica dell'art. 6, comma 2. Ad avviso della difesa, anche questa seconda opzione interpretativa sarebbe stata irragionevole e non rispettosa della garanzia prevista dell'art. 68, terzo comma, Cost., il quale fa riferimento alle intercettazioni, "in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni": e, dunque - secondo l'assunto difensivo - anche alle intercettazioni "indirette" del parlamentare, eseguite nell'ambito del procedimento in cui risulta indagato.

    Il giudice a quo dichiarava manifestamente infondata l'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa, ritenendo che la norma applicabile nel caso di specie fosse proprio l'art. 6 della legge n. 140 del 2003, e non l'art. 4, che disciplina le intercettazioni su utenze in uso al parlamentare. Di conseguenza, richiedeva l'autorizzazione all'utilizzazione delle intercettazioni alla Camera dei deputati, la quale, con delibera assunta nella seduta del 20 dicembre 2005, la negava.

    Cio' premesso, il rimettente osserva come - a fronte del diniego della Camera - l'art. 6, comma 5, della legge n. 140 del 2003 imporrebbe l'immediata distruzione della documentazione relativa alle intercettazioni telefoniche delle conversazioni cui ha preso parte il parlamentare. Prima di dar corso alla distruzione, il giudice a quo ritiene, tuttavia, di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto dei commi 2, 5 e 6 del citato art. 6.

    Al riguardo, il rimettente muove dall'assunto che la disciplina complessiva, risultante dalla norma impugnata, si sarebbe spinta "ben oltre il raggio di operativita' delle guarentigie parlamentari, previste dall'art. 68 Cost.". Tali guarentigie atterrebbero, infatti, unicamente alle intercettazioni "dirette" delle conversazioni dei parlamentari: non potendosi far leva, in contrario, sulla locuzione "in qualsiasi forma", impiegata nel terzo comma dello stesso art. 68 Cost., la quale si riferirebbe non gia' alle intercettazioni "indirette" od "occasionali", ma soltanto alle differenti modalita' con le quali la captazione delle conversazioni puo' avvenire ed ai diversi mezzi di comunicazione intercettati. Occorrerebbe, di conseguenza, stabilire se l'estensione della guarentigia, ad opera del legislatore ordinario, anche alle conversazioni e comunicazioni contemplate dall'art. 6 della legge n. 140 del 2003 esponga la disciplina adottata a censure di illegittimita' costituzionale.

    A tale interrogativo il rimettente risponde in senso affermativo, assumendo che le previsioni normative censurate risulterebbero lesive, anzitutto, del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), sotto lo specifico profilo della parita' di trattamento rispetto alla giurisdizione. In rapporto a tale principio - il quale si colloca alle origini della formazione dello Stato di diritto - il sistema delle immunita' e delle prerogative dei membri del Parlamento potrebbe, difatti, venire in rilievo solo come eccezione e valere unicamente per i casi espressamente considerati, in quanto ritenuti dal Costituente idonei ad interferire sulla libera esplicazione della funzione parlamentare.

    L'esigenza di preservare la funzione parlamentare da indebite interferenze o condizionamenti, tuttavia, non giustificherebbe affatto la distruzione della documentazione delle intercettazioni "indirette" od "occasionali", prevista dal comma 5 dell'art. 6 della legge n. 140 del 2003. Detta distruzione - come pure l'inutilizzabilita' dei verbali, delle registrazioni e dei tabulati di comunicazioni acquisiti in violazione del disposto dell'art. 6 della legge n. 140 del 2003, prevista dal comma 6 del medesimo articolo - non avrebbe, infatti, nulla "a che vedere" con la libera esplicazione delle funzioni parlamentari: discutendosi, da un lato, di intercettazioni eseguite su utenze o presso luoghi non in uso a membri del Parlamento; e, dall'altro lato, di conversazioni la cui utilizzabilita' processuale nei confronti del parlamentare risulta comunque preclusa dalla mancata autorizzazione della Camera di appartenenza. La prevista distruzione della documentazione si spiegherebbe, pertanto, unicamente con l'intento di tutelare "oltre modo" la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare, con ingiustificata subordinazione a questa del principio di eguaglianza.

    La disciplina censurata determinerebbe, in tale ottica, una irragionevole disparita' di trattamento fra gli indagati, a seconda che tra i loro "interlocutori occasionali" vi sia stato o meno un membro del Parlamento (sia esso, o no, indagato per lo stesso reato). Infatti - in caso di diniego dell'autorizzazione, da parte della Camera di appartenenza - le conversazioni in questione, benche' legittimamente acquisite dall'autorita' giudiziaria, dovrebbero essere immediatamente distrutte, anziche' rimanere inutilizzabili soltanto nei confronti del parlamentare indagato; con la conseguenza che la tutela delle prerogative parlamentari finirebbe per tornare a vantaggio anche degli indagati non parlamentari.

    In secondo luogo, ad avviso del rimettente, risulterebbe leso l'art. 24 Cost., giacche' la distruzione immediata...

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