Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - Giudizio civile per il risarcimento dei danni subiti a seguito delle dichiarazioni rese da un parlamentare - Ricorso proposto dalla Corte di appello di Milano - Eccepita inammissibilita' per insufficiente motivazione in o...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:

Presidente: Franco BILE;

Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;

ha pronunciato la seguente

Sentenza nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 7 ottobre 2003 relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, comma primo, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Andrea Padalino, promosso con ricorso della Corte di appello di Milano, sezione seconda civile, notificato il 15 novembre 2004, depositato in cancelleria il 24 novembre 2004 ed iscritto al n. 25 del registro conflitti 2004;

Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;

Udito nell'udienza pubblica del 24 ottobre 2006 il giudice relatore Paolo Maddalena;

Udito l'avvocato Laura Rainaldi per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ricorso depositato il 12 dicembre 2003, la Corte di appello di Milano, sezione seconda civile, nel corso di un procedimento instaurato nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi dal dott. Andrea Padalino, ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, adottata il 7 ottobre 2003 (doc. IV-quater, n. 26), secondo la quale le dichiarazioni oggetto del predetto procedimento civile concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilita' delle opinioni stesse a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.

    Il Giudice ricorrente premette che il giudizio e' stato promosso dal dott. Andrea Padalino, magistrato in Milano, per ottenere il risarcimento dei danni che afferma subiti a seguito della trasmissione televisiva "Sgarbi quotidiani" del 15 ottobre 1994 condotta dal deputato Vittorio Sgarbi, durante la quale quest'ultimo avrebbe pronunciato espressioni ritenute "lesive dell'onore" del suddetto magistrato, "denigratorie e integranti il reato di diffamazione", dopo un precedente, analogo episodio verificatosi il 4 agosto 1994. Lamentava, in particolare, l'attore che il deputato Sgarbi, prendendo lo spunto dalla citazione per danni notificatagli in riferimento alla precedente trasmissione del 4 agosto 1994, lo aveva accusato di abusare del suo potere e, facendo anche apprezzamenti sulla sua faccia, ribadiva quanto gia' espresso circa l'asserita inadeguatezza del "ragazzo" Padalino a svolgere la funzione di giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano.

    Espone la Corte di appello ricorrente che il deputato Sgarbi e' stato condannato dal Tribunale di Milano, con sentenza 17 settembre-12 ottobre 2000, al risarcimento del danno e che, in pendenza del giudizio di appello, la Camera dei deputati, nella seduta del 7 ottobre 2003, ha deliberato che i fatti oggetto del procedimento riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.

    La ritenuta insindacabilita' delle opinioni espresse, secondo il parere della Giunta per le autorizzazioni fatto proprio dall'Assemblea, sta nel fatto che l'intento del deputato Sgarbi non sarebbe stato quello di diffamare la persona del magistrato Padalino, "quanto piuttosto quello di sensibilizzare l'opinione pubblica circa le distorsioni dell'attuale sistema penale, nell'ambito del quale puo' verificarsi la circostanza che il giudice per le indagini preliminari puo' doversi trovare a decidere in poco tempo, in relazione ad indagini di particolare complessita', finendo, spesso senza sua colpa, con l'appiattirsi sulle posizioni della pubblica accusa e dunque non svolgendo pienamente quel ruolo di terzieta' che pure il codice di procedura penale astrattamente gli assegna".

    Ad avviso della Corte di appello ricorrente, la deliberazione della Camera dei deputati sarebbe lesiva delle proprie attribuzioni, mancando il nesso funzionale tra le opinioni espresse dal deputato Sgarbi e l'attivita' parlamentare.

    Riferisce il Giudice ricorrente che il deputato Sgarbi, nella trasmissione del 15 ottobre 1994, ha affermato tra l'altro: "La Procura di Milano e' presidiata da questo giovinetto, guardatene bene la faccia, ditemi se uno con la faccia come questa puo', serenamente e avendo tutto il peso di centinaia di arresti da firmare, non lasciarsi prendere la mano e puo' veramente in poche ore, lui, rivedere quello che ha fatto il pubblico ministero, se con una faccia come questa voi credete che la giustizia possa essere salva".

    Cio' premesso, secondo la Corte di appello, "quello che senza possibilita' di dubbio pone il monologo dell'on. Sgarbi fuori dai limiti del legittimo esercizio della funzione parlamentare e determina l'abuso del diritto e' l'assoluta gratuita' delle espressioni usate, non pertinenti al tema in discussione e, in particolare, il ricorso al c.d. argumentum ad hominem, ossia l'attacco personale inteso a screditare e denigrare l'avversario ponendo l'accento su una pretesa indegnita' o inadeguatezza personale piuttosto che sul merito dei suoi atti. E, per di piu', coinvolgendone anche l'aspetto fisico con i gia' accennati giudizi sulla faccia del Padalino. Inoltre questa dissertazione fisionomica (che costituisce, come risulta dalla trascrizione agli atti, una larga parte dell'intero intervento dello Sgarbi alla trasmissione del 15 ottobre 1994) si segnala anche per la pesante trivialita' e volgarita' del linguaggio (... uno ha la faccia di m..., di c... o di s..., etc.) che non consente di assimilare le espressioni usate a una manifestazione di opinioni perche' qui il discorso deborda nel campo dell'ingiuria o del mero dileggio".

    In definitiva, ad avviso del Giudice ricorrente, nella specie mancherebbe qualsiasi corrispondenza formale e sostanziale con l'attivita' parlamentare, per cui le espressioni usate non potrebbero essere coperte dall'immunita' ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, senza che a diversa conclusione possa indurre il disposto dell'art. 3 della legge 21 giugno 2003, n. 140. In particolare, ad avviso della Corte di appello, anche secondo quest'ultima norma l'insindacabilita' non puo' comunque estendersi a manifestazioni che non sono di pensiero ma costituiscono gratuiti insulti e pura denigrazione e si risolvono in una immotivata lesione dei diritti personalissimi altrui (quali l'onore e la reputazione), poiche', in tal caso, e'...

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