Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Misure cautelari personali - Custodia cautelare - Termini di durata complessiva - Criteri di computo - Ragguaglio alla pena stabilita per il reato per cui si procede anziche' alla concreta punibilita' dell'illecito - Denunciato contrasto con il principio di ragionevole...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:

Presidente: Annibale MARINI;

Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;

ha pronunciato la seguente

Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 303, comma 4, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 12 settembre 2005 dalla Corte d'appello di Catanzaro, Sezione feriale, iscritta al n. 561 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di consiglio del 17 maggio 2006 il giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza del 12 settembre 2005 la Corte d'appello di Catanzaro, Sezione feriale, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303, comma 4, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, nella parte in cui dispone che i termini di durata complessiva della custodia cautelare siano commisurati ai valori edittali di pena propri del reato per cui si procede, e non invece "alla concreta punibilita' dell'illecito, nei termini gia' ritenuti in sentenza".

    Nel giudizio a quo si procede nei confronti di persona imputata del delitto punito dall'art. 416-bis, primo comma, del codice penale, con l'aggravante di cui al quarto comma della stessa norma, trattandosi nella specie di associazione "armata".

    Secondo quanto riferito dal rimettente, con la sentenza di condanna pronunciata in esito al giudizio di primo grado sono state riconosciute in favore dell'imputato le circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti all'aggravante contestata, ed e' stata inflitta la pena di quattro anni di reclusione. Il provvedimento e' stato poi confermato dal giudice di appello con sentenza del 7 giugno 2005.

    Successivamente l'imputato ha proposto istanza di scarcerazione, ai sensi dell'art. 303, comma 4, cod. proc. pen., per l'asserita decorrenza del termine di durata complessiva della custodia cautelare, indicato in due anni a partire dall'esecuzione del provvedimento restrittivo, iniziata il 7 gennaio 2003. Secondo la difesa, dopo la pronuncia della sentenza di condanna, il delitto per cui "si procede" (in relazione al quale vanno misurati i termini a norma del comma 4 dell'art. 303 cod. proc. pen.) non sarebbe piu' quello contestato mediante il provvedimento cautelare, ma quello effettivamente ritenuto dal giudice con la decisione di merito. In particolare, ove un'aggravante venga "eliminata" per effetto della comparazione con circostanze di segno opposto, il reato "ritenuto in sentenza" si ridurrebbe alla forma semplice, e la fissazione del termine finale per la custodia dovrebbe rapportarsi ai corrispondenti valori di pena.

    Il rimettente osserva che l'adozione del criterio indicato implicherebbe, nel caso di specie, l'applicazione della lettera a) del comma 4 dell'art. 303 cod. proc. pen., che fissa in due anni il termine massimo della custodia per i reati puniti con la pena della reclusione non superiore ai sei anni (qual e' la fattispecie non aggravata di associazione di tipo mafioso), mentre, guardandosi ai...

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