Sentenza nº 65 da Constitutional Court (Italy), 19 Aprile 2024

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione19 Aprile 2024
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 65 del 2024

SENTENZA N. 65

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 12 maggio 2022, n. 15236, e del Consiglio di Stato, sezione quinta, 31 maggio 2021, n. 4150, promosso dalla Camera dei deputati, con ricorso notificato il 22 settembre 2023, depositato in cancelleria il 9 ottobre 2023, iscritto al n. 4 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2023, fase di merito.

Visti l’atto di costituzione del Consiglio di Stato e l’atto di intervento del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 19 marzo 2024 il Giudice relatore Francesco Viganò;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Camera dei deputati, Francesco Saverio Marini e Vinicio Settimio Nardo per il Senato della Repubblica;

deliberato nella camera di consiglio del 19 marzo 2024.

Ritenuto in fatto

  1. – Con il ricorso indicato in epigrafe, la Camera dei deputati ha promosso confitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato in riferimento alle sentenze, rispettivamente, delle sezioni unite civili, 12 maggio 2022, n. 15236, e della sezione quinta, 31 maggio 2021, n. 4150.

    1.1.– Riferisce la ricorrente che nel 2017 l’amministrazione della Camera dei deputati aveva avviato una procedura ristretta di rilievo comunitario per l’appalto di diversi servizi di monitoraggio di contratti Information and Communication Technology (ICT). La graduatoria finale della procedura, quale risultante al termine delle attività della commissione giudicatrice, vedeva classificarsi al primo posto il raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) costituito da P. srl e H. spa. Tuttavia, con provvedimento dell’11 ottobre 2019 il Servizio amministrazione della Camera, rilevate talune anomalie nell’offerta, deliberava l’esclusione di detto RTI dalla procedura.

    Il provvedimento di esclusione, così come i verbali e documenti che motivavano tale esclusione e il provvedimento di aggiudicazione conclusivo della procedura, venivano quindi impugnati congiuntamente dalle due società facenti parte del RTI innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

    Di fronte al giudice amministrativo si costituiva l’amministrazione della Camera dei deputati, che formulava in via pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nonché di ogni altro giudice esterno alla Camera stessa, stante l’esclusiva competenza a conoscere della controversia del Consiglio di giurisdizione della Camera, quale organo di autodichia. In particolare, la Camera rilevava che il «Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli atti di amministrazione della Camera dei deputati non concernente i dipendenti», approvato in attuazione dell’art. 12, comma 3, lettera f), del regolamento della Camera dei deputati 18 febbraio 1971 e s.m.i., di cui all’art. 64, primo comma, della Costituzione, attribuisce all’organo di autodichia il compito di decidere in primo grado sui «ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche presentata da soggetti esterni alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera medesima» (art. 1).

    Con sentenza del 24 aprile 2020, n. 4183, il TAR Lazio respingeva nel merito il ricorso, ma contesualmente rigettava l’eccezione di inammissibilità formulata dall’amministrazione della Camera, affermando la propria giurisdizione. Richiamate le sentenze n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017 di questa Corte, infatti, il giudice amministrativo rilevava che «[a]lla luce delle suddette pronunce deve ritenersi che la previsione regolamentare invocata non possa estendersi alle controversie in materia di appalti, le quali hanno la loro disciplina in atti di normazione statale e comunitaria e non riguardano questioni interne all’organo costituzionale».

    Nel giudizio di appello instaurato dalle società soccombenti innanzi il Consiglio di Stato si costituiva l’amministrazione della Camera dei deputati, chiedendo il rigetto del ricorso e proponendo appello incidentale nei confronti della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo.

    Con la sentenza n. 4150 del 2021 il Consiglio di Stato respingeva l’appello incidentale della Camera e accoglieva il ricorso delle società appellanti in via principale. In particolare, il giudice amministrativo affermava che la giurisdizione domestica della Camera dovesse essere limitata «alle controversie che abbiano per oggetto non qualsiasi atto di amministrazione della Camera dei deputati ma esclusivamente quegli atti adottati in una materia in ordine alla quale, all’organo costituzionale, è costituzionalmente riconosciuta una sfera di autonomia normativa». Le altre controversie – fra cui, come nel caso di specie, quelle aventi a oggetto l’affidamento a terzi di contratti di lavori, servizi e forniture – sarebbero invece sottoposte, «secondo la “grande regola” dello Stato di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e 113 della Costituzione)», alla giurisdizione comune.

    Avverso tale pronuncia, la Camera proponeva ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, lamentando in particolare la lesione delle proprie attribuzioni costituzionali e affermando che le norme regolamentari che escludono la giurisdizione di qualsiasi giudice esterno alla Camera stessa sulle controversie come quella in esame possiedono rango primario, equiparato a quello delle norme di legge, e non possono pertanto essere disapplicate da parte di un giudice esterno alla Camera. Il Consiglio di Stato avrebbe pertanto dovuto prendere atto dell’autodichia della Camera e dichiarare l’inammissibilità del ricorso introduttivo, o in alternativa, sollevare conflitto di attribuzione innanzi a questa Corte.

    Con la sentenza n. 15236 del 2022, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, respingeva il ricorso della Camera, affermando che «[r]iconoscendo la propria giurisdizione e decidendo il fondo della controversia, il Consiglio di Stato non ha disapplicato i Regolamenti parlamentari, ma ne ha solo interpretato la portata, correttamente escludendo che le disposizioni da esse recate giustificassero l’attrazione, nell’ambito della cognizione dell’Organo di autodichia, dell’impugnazione del provvedimento, adottato dal Servizio Amministrazione della Camera, di esclusione dell’offerta del costituendo raggruppamento dalla procedura di gara di rilievo comunitario per l’affidamento dell’appalto».

    1.2.– Tanto premesso, la Camera promuove ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, in riferimento alle menzionate sentenze, chiedendo a questa Corte di «dichiarare che non spettava al Consiglio di Stato e alla Corte di cassazione, in quanto organi della giurisdizione comune, giudicare della controversia descritta in narrativa, con conseguente annullamento» di entrambe le sentenze.

    Esse avrebbero infatti affermato la giurisdizione del giudice amministrativo in luogo di quella dell’organo di autodichia della Camera «con sostanziale medesimezza di argomentazioni», risultando pertanto entrambe lesive delle attribuzioni costituzionali della Camera. Precisa inoltre la ricorrente che il ricorso in esame «non intende certo rivendicare la sottrazione a qualsivoglia sindacato giurisdizionale esterno, bensì […] ottenere la puntuale definizione dei confini fra le giurisdizioni, rimuovendo le ragioni di incertezza derivanti da alcuni punti rimasti in ombra» nei precedenti arresti di questa Corte. E ciò anche «nell’interesse generale del sistema istituzionale».

    1.2.1.– Dopo aver ampiamente argomentato in ordine all’ammissibilità del ricorso, nel merito la ricorrente rileva anzitutto che le sentenze oggetto del conflitto avrebbero leso la sfera di attribuzione riservata alla Camera dall’art. 64, primo comma, Cost., il quale prevede che «[c]iascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti», nonché gli artt. 55 e seguenti Cost., che «attribuiscono specifiche funzioni e una posizione di particolare indipendenza alle Camere», asseritamente violata dalle sentenze in questione.

    Rammenta la ricorrente che l’autodichia «designa il potere attribuito agli organi costituzionali di esercitare la funzione giudicante relativamente a particolari tipologie di controversie che direttamente o indirettamente coinvolgono l’esercizio delle loro funzioni», e dunque il potere di «giurisdizione domestica» che consiste «nel decidere direttamente, tramite articolazioni organizzative interne, ogni controversia interferente con l’esercizio delle funzioni proprie, senza che organi giurisdizionali esterni siano abilitati a esercitare forme di sindacato o di controllo». Tale potere si giustificherebbe in relazione alla «esigenza di tutelare l’indipendenza e il buon andamento degli organi costituzionali, garantendo la non intromissione degli altri poteri dello Stato nella loro organizzazione».

    In quest’ottica, l’autonomia normativa garantita alle Camere dall’art. 64, primo comma, Cost., non si limiterebbe alla sola disciplina del procedimento legislativo, ma riguarderebbe anche l’organizzazione interna (sono citate le sentenze n. 262 del 2017 e n. 120 del 2014 di questa Corte)...

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