Sentenza nº 64 da Constitutional Court (Italy), 19 Aprile 2024

RelatoreLuca Antonini
Data di Resoluzione19 Aprile 2024
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 64 del 2024

SENTENZA N. 64

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia. (Testo B)», trasfuso nell’art. 133, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promosso dal Tribunale ordinario di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra M.M. B. e l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), con ordinanza del 20 giugno 2023, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visti l’atto di costituzione dell’INAIL e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 marzo 2024 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato Giandomenico Catalano per l’INAIL e l’avvocato dello Stato Pietro Garofoli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 19 marzo 2024.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 20 giugno 2023 (reg. ord. n. 121 del 2023), il Tribunale ordinario di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 23, 53, 76 e 111, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia. (Testo B)», trasfuso nell’art. 133, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)».

    La suddetta disposizione stabilisce che «[i]l provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio [a spese dello Stato] la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato».

    Essa è censurata nella parte in cui, secondo l’interpretazione datane dal diritto vivente, prevede che, qualora risulti vittoriosa la parte non abbiente ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, il giudice civile quantifichi le spese processuali dovute a quest’ultimo dal soccombente «secondo i criteri ordinari, in misura piena e quindi superiore rispetto a quella dei compensi dovuti dallo Stato [stesso] al difensore del non abbiente».

  2. – Investito del ricorso diretto all’annullamento di una cartella esattoriale emessa per la riscossione di un credito vantato dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), il rimettente riferisce di essere chiamato, nel definire il giudizio, a regolare le spese processuali, ponendole a carico dell’Istituto resistente secondo il principio della soccombenza e disponendone il pagamento a favore dello Stato, poiché la parte vittoriosa è stata ammessa al suddetto beneficio.

    2.1.– Il giudice a quo rileva che, in tal caso, la giurisprudenza di legittimità (sono citate Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione seconda, ordinanze 19 settembre 2017, n. 21611, e 16 settembre 2016, n. 18167; sezione sesta penale, sentenza 8 novembre-14 dicembre 2011, n. 46537) avrebbe inizialmente enunciato il principio della necessaria coincidenza tra la somma che va rifusa allo Stato ai sensi dell’art. 133, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 e quella erogata dallo Stato stesso al difensore della parte non abbiente e liquidata ai sensi degli artt. 82, comma 1, e 130, comma 1, del medesimo d.P.R., in forza dei quali i compensi dovuti a tale difensore debbono essere quantificati in misura non superiore ai valori medi previsti dai parametri recati dall’apposito decreto ministeriale e poi ridotti della metà.

    Il rimettente precisa che, tuttavia, la giurisprudenza civile di legittimità sarebbe successivamente pervenuta alla conclusione opposta, affermando che «il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato […] e quelle dovute dallo Stato [stesso] al difensore del non abbiente […], alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l’eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità» (è citata Corte di cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 11 settembre 2018, n. 22017).

    Tale orientamento avrebbe trovato, poi, conferma – «e non più solo sotto forma di obiter» – in numerose altre pronunce della Corte di cassazione (sono citate Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenze 19 gennaio 2021, n. 777 e 3 gennaio 2020, n. 19; sezione lavoro, sentenza 26 marzo 2019, n. 8387; sezione seconda civile, ordinanza 8 gennaio 2020, n. 136; sezione sesta civile, sottosezione lavoro, ordinanza 3 maggio 2019, n. 11590), consolidandosi al punto da divenire diritto vivente.

  3. – Così interpretato, l’art. 133, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 violerebbe, a parere del giudice a quo, gli evocati parametri costituzionali.

    3.1.– Alla prospettazione dei dubbi di legittimità costituzionale viene premessa una ricostruzione diacronica della disciplina legislativa dell’assistenza giudiziaria alle persone non abbienti, per desumerne che, prima dell’adozione del d.P.R. n. 115 del 2002 – il quale ha accorpato le disposizioni legislative di cui al d.lgs. n. 113 del 2002 e le disposizioni regolamentari di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo C)» –, lo Stato avrebbe potuto «recupera[re] dalla parte soccombente diversa da quella non abbiente gli importi dovuti al difensore della parte beneficiaria del patrocinio gratuito e non anche somme maggiori».

    Con la norma indubbiata, quindi, sarebbe stato «per la prima volta» previsto che lo Stato possa «recuperare dalla parte soccombente il valore dei compensi di avvocato liquidabile […] come se la parte vincitrice non fosse ammessa al patrocinio», ovvero senza «il limite della coincidenza di detto valore con quello dei compensi anticipati dall’Erario all’avvocato della parte gratuitamente difesa».

    Di qui la dedotta violazione dell’art. 76 Cost., poiché tale previsione contrasterebbe con l’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998).

    Questa disposizione, nel delegare il Governo all’adozione di testi unici finalizzati al riordino delle norme legislative e regolamentari in un complesso di materie, tra cui quella delle spese di giustizia, detterebbe infatti, al comma 2, lettera d), il criterio direttivo del mero «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti», consentendo di superare tale limite solo se ciò sia funzionale all’obiettivo «della coerenza logica e sistematica della normativa riordinata» (sono citate le sentenze n. 53 e n. 52 del 2005 di questa Corte).

    Il Governo, invece, con la disposizione denunciata non si sarebbe limitato, alla luce delle considerazioni dianzi svolte, al mero coordinamento formale, avendo invece introdotto una norma del tutto innovativa.

    Né, d’altro canto, una siffatta scelta potrebbe essere...

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