Sentenza nº 22 da Constitutional Court (Italy), 22 Febbraio 2024

RelatoreGiovanni Amoroso
Data di Resoluzione22 Febbraio 2024
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 22 del 2024

SENTENZA N. 22

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra L. S. e C. N. srl, con ordinanza del 7 aprile 2023, iscritta al n. 83 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visti l’atto di costituzione di L. S., nonché gli atti di intervento di T. spa e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2024 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Sandro Mainardi per T. spa, Marco Lovo per L. S. e l’avvocato dello Stato Roberta Guizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 23 gennaio 2024.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 7 aprile 2023 (reg. ord. n. 83 del 2023) la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), censurato per difformità rispetto al criterio di delega dettato dall’art. 1, comma 7, lettera c), della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro).

    1.1.– La Corte rimettente riferisce di dover decidere il ricorso avverso la sentenza di appello che, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, aveva dichiarato la nullità del licenziamento disciplinare/destituzione, comunicato al lavoratore in data 5 ottobre 2018, per violazione degli artt. 53 e 54 dell’Allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), e, previa dichiarazione di estinzione del rapporto di lavoro intercorso tra il ricorrente e la C. N. srl, società esercente il servizio di trasporto pubblico urbano, aveva condannato la datrice di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (TFR), facendo applicazione della tutela economica prevista dall’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015.

    1.2.– Il giudizio principale risulta promosso da un dipendente che, assunto con mansioni di autista in data successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015 (7 marzo 2015), all’esito di una contestazione disciplinare seguita, nonostante le giustificazioni rese, dalla comunicazione dell’opinamento alla destituzione, ai sensi della normativa speciale prevista per gli autoferrotranvieri dall’art. 53, terzo comma, dell’Allegato A al r.d. n. 148 del 1931, aveva chiesto di essere nuovamente sentito a propria difesa, e che, come previsto in caso di conferma dell’opinamento, sulle sanzioni di competenza del Consiglio di disciplina (d’ora in poi: CdD), si pronunciasse il Consiglio stesso, ai sensi del nono comma dell’art. 53 citato. In assenza dell’istituzione del CdD, l’Azienda aveva comunicato il provvedimento disciplinare di destituzione, tempestivamente impugnato in giudizio al fine di veder accertata la nullità del licenziamento per contrarietà alle norme imperative in materia di procedure per l’irrogazione di sanzioni disciplinari, ovvero perché di natura discriminatoria, con conseguente condanna della società convenuta alla reintegra ed al risarcimento del danno.

    1.3.– La Corte d’appello di Firenze – dato atto che nonostante la tempestiva richiesta del lavoratore, ai sensi della normativa speciale per gli autoferrotranvieri, il CdD non era stato costituito; che la Regione non aveva indicato il proprio rappresentante nel CdD; che la sanzione espulsiva era stata adottata dal medesimo amministratore delegato, il quale aveva proceduto alla contestazione disciplinare – aveva configurato la violazione di una forma di garanzia procedurale ulteriore e speciale rispetto a quella di cui all’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), e dichiarato la nullità del procedimento disciplinare e della conseguente sanzione, in quanto la potestà punitiva era stata esercitata dal datore di lavoro ormai privato di tale facoltà in conseguenza dell’obbligatoria devoluzione della decisione in capo al CdD.

    La stessa Corte d’appello aveva, tuttavia, escluso che l’ipotesi sottoposta al suo esame rientrasse nella disciplina di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, che riservava la sanzione della reintegra al licenziamento discriminatorio o «riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge», poiché in questo caso, esclusa la discriminazione, la nullità, pur sussistente in conformità dell’univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità, non risultava espressa, bensì riconducibile a categorie di ordine generale; optava quindi per la tutela indennitaria ex art. 3 dello stesso decreto legislativo.

    1.4.– La sentenza era impugnata in cassazione da entrambe le parti.

    La parte ricorrente aveva censurato come erronea l’interpretazione della Corte di merito secondo cui la tutela reintegratoria fosse applicabile soltanto ai casi di nullità espressa, e non a tutti i casi di nullità, anche derivanti, come nella specie, dall’art. 1418 del codice civile, sia sotto il profilo dell’eccesso di delega che della illogicità e incoerenza dell’enfatizzazione dell’avverbio «espressamente»; il datore di lavoro, ricorrente in via incidentale, aveva, invece, dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 54 dell’Allegato A al r.d. n. 148 del 1931, perché l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, in fatto sospeso per l’inerzia dell’organo amministrativo (Regione Toscana) nella nomina del proprio rappresentante nel CdD, sarebbe dovuto prevalere sulle garanzie di difesa del lavoratore secondo un criterio di proporzionalità.

    1.5.– In termini di rilevanza, la Corte rimettente premette che, secondo un consolidato diritto vivente, nel caso in cui il dipendente autoferrotranviario, a seguito dell’opinamento di destituzione, invochi la pronuncia del CdD, nella persistente vigenza di una disciplina di maggior tutela rispetto a quella generale prevista dallo statuto lavoratori, rimane irrilevante il fatto che gli enti competenti non abbiano esercitato il potere di nomina dei componenti di quell’organo, prevedendo, l’art. 53 dell’Allegato A al r.d. n. 148 del 1931, una procedura inderogabile articolata in più fasi, ove l’omissione di una sola di esse determina la nullità della sanzione disciplinare che, in relazione al tipo di violazione, rientra nella categoria delle nullità di protezione in quanto fondata sullo scopo di tutela del contraente debole del rapporto.

    Tale violazione – prosegue il giudice a quo – non sarebbe assimilabile a quelle procedurali di cui all’art. 18, sesto comma, dello Statuto dei lavoratori, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), poiché l’adozione della sanzione della destituzione da parte del datore di lavoro che, in caso di opzione del lavoratore per l’intervento del CdD, è privato del potere sanzionatorio, deferito ex lege al CdD stesso, costituisce una violazione a monte della procedura, per deviazione dell’esercizio del potere in materia, devoluto ad un organo terzo anziché alla parte datoriale, comparabile a quella di un licenziamento a non domino, riconducibile al regime generale delle nullità, disciplinato dall’art. 1418 e seguenti cod. civ., integrando l’ipotesi di nullità per contrarietà a norma imperativa.

    1.6.– Condividendo il presupposto interpretativo della Corte di merito, secondo cui in presenza di una nullità non espressamente prevista dalla legge sarebbe preclusa l’attrazione nell’ambito applicativo dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, il giudice a quo ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per un duplice ordine di ragioni.

    In primo luogo, rileva il rimettente che la lettera della legge delegante sembrerebbe comprendere nell’area della reintegrazione tutti i licenziamenti nulli e discriminatori, delegando solo l’individuazione di specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato cui ulteriormente ricollegare il diritto alla reintegrazione; in altri termini, senza prevedere una ulteriore limitazione alle nullità espresse dalla legge, la delega escluderebbe del tutto la possibilità di limitare l’area dei licenziamenti nulli e discriminatori.

    In secondo luogo, osserva che la restrizione ai soli casi di nullità espressa – nel senso di...

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