Legittimità

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. UN., 22 SETTEMBRE 2011, N. 34475 (C.C. 23 GIUGNO 2011)

Pres. Lupo – est. Siotto – p.m. Martusciello (conf.) – ric. Valastro

Misure cautelari personali y Condizioni di applicabilità y Custodia cautelare in carcere y Presunzione di adeguatezza ex art. 275 c.p.p. y Associazione dedita al traffico di stupefacenti y Commissione di fatti reato di lieve entità y Conseguenza y Inoperatività della presunzione di adeguatezza.

La presunzione di adeguatezza della misura della custodia carceraria prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. non opera, sussistendo i gravi indizi di colpevolezza, in riferimento all’imputazione per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti quando l’associazione sia costituita al fine di commettere fatti di lieve entità. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 275; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 390, art. 74) (1)

(1) Su tale specifica questione non risultano precedenti prese di posizione della giurisprudenza di legittimità, né in senso affermativo, né in senso negativo. Cfr., in termini generali, Cass. pen., sez. un., 14 luglio 2011, Ambrogio, in questa Rivista 2011, 522.

Svolgimento del processo

  1. Con ordinanza del 18 ottobre 2010, depositata il 21 ottobre 2010, il Tribunale di Messina ha respinto l’appello interposto ex art. 310 c.p.p. da Gaetano Valastro nei confronti dell’ordinanza emessa in data 21 giugno 2010 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, con la quale era stata disattesa la richiesta dell’imputato volta ad ottenere la revoca o la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere adottata nei suoi confronti in relazione al reato di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309 del 9 ottobre 1990.

    Il Tribunale, condividendo quanto già argomentato dal G.i.p. - secondo il quale per il delitto di cui all’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 (ipotesi criminosa nella specie ritenuta all’esito del giudizio abbreviato) era applicabile la presunzione di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p. - ha osservato che tale disposizione processuale, nel richiamare integralmente, per il tramite del-l’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., il disposto dell’art. 74 cit., non aveva introdotto alcuna esclusione relativamente all’ipotesi connotata da minore disvalore penale; né - ad avviso del Tribunale -poteva condurre a diverse conclusioni il fatto che la disciplina dell’associazione costituita per commettere fatti di lieve entità in materia di sostanze stupefacenti fosse stata operata attraverso il rinvio all’art. 416, commi primo e secondo, c.p. (ovvero ad una fattispecie non compresa tra quelle indicate dall’art. 275, comma 3, c.p.p.), posto che doveva ritenersi comunque insuperabile il dato normativo dell’integrale richiamo alle fattispecie di cui all’art. 74, D.P.R. 309 del 1990.

  2. Per l’annullamento di tale ordinanza il difensore del-l’imputato ha proposto ricorso censurando, con un unico motivo, la violazione degli artt. 275, comma 3, c.p.p., e 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990.

    Il ricorrente ha in particolare lamentato il fatto che, pur a fronte della ritenuta natura autonoma del reato previsto dall’art. 74, comma 6, D.P.R. cit., ossia del reato di associazione finalizzata alla commissione di fatti di lieve entità concernenti le sostanze stupefacenti, il Tribunale avesse tuttavia ritenuta operativa la presunzione di pericolosità posta dall’art. 275, comma 3, c.p.p. in quanto indifferentemente comprensivo, per il tramite del richiamo integrale -attraverso il riferimento all’art. 51, comma 3 bis, c.p.p. - all’art. 74 cit., di tutte le ipotesi criminose ivi contemplate. Di contro - ad avviso del ricorrente - proprio la natura autonoma del reato (in tal modo valutato come semplice ipotesi di associazione per delinquere comune), più volte affermata dalla Corte di legittimità (in particolare da Cass. pen., sez. V, n. 11938 del 5 marzo 2009 e da sez. VI, n. 42639 del 20 settembre 2007), avrebbe dovuto condurre all’applicazione del regime giuridico previsto per l’art. 416 c.p. e, quindi, ad affermare la non operatività della presunzione ex art. 275, comma 3, c.p.p.

  3. Con ordinanza del 30 marzo 2011, depositata il 27 aprile 2011, la Prima Sezione penale di questa Corte, investita del ricorso, rilevato che in ordine alla ricomprensione o meno del delitto di cui all’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 tra i delitti ex art. 74 nei casi in cui quest’ultima disposizione è richiamata con riferimento ai delitti ai quali deve essere riservato un particolare regime (segnatamente, oltre che dall’art. 275, comma 3, c.p.p.: dall’art. 4 bis ord. pen. in materia di benefici penitenziari; dall’art. 444, comma 1 bis, c.p.p. in materia di applicazione della pena su richiesta; dall’art. 1, comma 3, lett. a), legge n. 207 del 2003 in materia di sospensione condizionata dell’esecuzione della pena; dall’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. in materia di esecuzione delle pene detentive) andava registrato un contrasto giurisprudenziale, ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite stante l’incidenza di tale questione sulla definizione del ricorso.

    3.1. La Sezione rimettente ha, infatti, rilevato che alcuni arresti giurisprudenziali si erano espressi per l’esclusione del delitto di cui all’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del

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    1990 dal richiamo genericamente operato (come nel caso di cui all’art. 51, comma 3 bis, c.p.p.) ai delitti di cui all’art. 74. E ciò, in particolare, con riguardo alla esclusione dai benefici operata dall’art. 4 bis ord. pen., essendosi ritenuto che, per effetto del richiamo all’art. 416 c.p., il reato ex art. 74, comma 6, dovesse seguire il regime giuridico previsto per tale tipo di reato (Cass. pen., sez. V, n. 1483 del 16 marzo 2000, De Santis, Rv. 216045); con riguardo all’applicabilità del cosiddetto “indultino” ex art. 1, comma 3, lett. a), legge n. 207 del 2000, essendosi in esso fatto rientrare il delitto ex art. 74, comma 6, in quanto seguente il regime di cui all’art. 416 c.p. (Cass. pen., sez. I, n. 26310 del 6 luglio 2006, La Monica, Rv. 235018); con riguardo infine al patteggiamento allargato, essendosi ritenuto definibile con tale rito il reato di associazione di lieve entità perché non annoverabile tra quelli di cui all’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., esclusi dalla definizione pattizia (Css. pen., sez. VI, n. 42639 del 20 settembre 2007, Russi, Rv. 237966 e sez. VI, n. 11938 del 5 marzo 2009, Colasuonno, Rv. 243079). 3.2. A tale indirizzo, tuttavia, se ne era contrapposto un altro che aveva ritenuto che il delitto di associazione finalizzata alla commissione di fatti di lieve entità previsto dall’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 dovesse seguire il regime degli altri delitti associativi previsti nel medesimo art. 74 cit., in particolare essendosi ciò affermato con riguardo alla esclusione, prevista appunto anche per i reati di cu a tale articolo, dalla sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 656, comma 9, c.p.p. (in tal senso: Cass. pen., sez. I, n. 10050 del 19 febbraio 2002, Moreli, Rv. 221497 e sez. I, n. 25213 del 3 giugno 2009, Russi, rv. 243824, anche con riguardo al più esteso ambito di applicabilità soggettiva dell’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990, comprendente anche le figure del finanziatore e dirigente dell’associazione, rispetto all’art. 416 c.p.). 4. Il Primo Presidente, con decreto del 2 maggio 2011, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza camerale.

    MOTIVI DELLA DECISIONE

  4. La questione demandata al giudizio delle Sezioni Unite consiste nello stabilire «se la presunzione di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia carceraria, prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p., operi, sussistendo i gravi indizi di colpevolezza ed esigenze di cautela, in riferimento all’imputazione per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti quando l’associazione sia costituita al fine di commettere fatti di lieve entità».

  5. Su tale specifica questione non risultano precedenti decisioni, né in senso affermativo né in senso negativo, della Corte di cassazione; in relazione ad essa, peraltro, assumono significatività i termini del contrasto insorto in altri ambiti (ed al quale si è sopra accennato), concernenti soprattutto la valenza dei richiami operati da alcune norme al fine di escludere l’applicabilità di taluni istituti ad alcune fattispecie criminose.

    Infatti, ai fini della risoluzione della questione e, corrispondentemente, della decisione del ricorso, articolato sull’unico motivo rappresentato dalla pretesa inapplicabilità alla fattispecie delittuosa dell’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 della presunzione di pericolosità di cui al-l’art. 275, comma 3, c.p.p., deve necessariamente chiarirsi se il generico rinvio, sostanzialmente operato (sia pure per il tramite dell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p.) da tale ultima disposizione processuale ai «delitti previsti dall’art. 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309», debba essere ritenuto comprensivo o meno anche della fattispecie di lieve entità contemplata dal comma 6 del citato articolo, a proposito assumendo rilevanza l’orientamento che la Corte di legittimità ha assunto in relazione ad alcune fattispecie che, analogamente all’art. 275, comma 3, c.p.p., operano, appunto, un rinvio, diretto od indiretto, all’art. 74 cit. nella sua genericità.

    2.1 Secondo un primo orientamento infatti -con riguardo al divieto di applicazione dei benefici penitenziari in genere e della sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 1, comma 3, lett. a), legge n. 207 del 2003, ovvero della sospensione della esecuzione delle pene detentive ex art. 656, comma 9, c.p.p. previsto per i reati indicati dall’articolo 4 bis legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché con riguardo al divieto del “patteggiamento allargato” previsto dal comma 1 bis dell’art. 444...

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