Sentenza nº 239 da Constitutional Court (Italy), 30 Luglio 1984

RelatoreAntonino De Stefano
Data di Resoluzione30 Luglio 1984
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 239

ANNO 1984

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. ANTONINO DE STEFANO, Presidente

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. ORONZO REALE

Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Prof. GIUSEPPE FERRARI

Dott. FRANCESCO SAJA

Prof. GIOVANNI CONSO

Prof. ETTORE GALLO

Dott. ALDO CORASANITI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 4, 5, 15, lett. c, 24, 25, 26, 27, 28, 29 e 30 del r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731 (Norme sulle Comunità israelitiche e sulla Unione delle Comunità medesime), promosso con ordinanza emessa il 16 maggio 1979 dal pretore di Roma sul ricorso di Nahum Meir contro la Comunità israelitica di Roma, iscritta al n. 775 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8 dell'anno 1980; visti gli atti di costituzione della Comunità israelitica di Roma e di Nahum Meir nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 gennaio 1984 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

uditi gli avv.ti Dario di Gravio e Antonio Rombolà per Nahum Meir; Dario Tedeschi e Massimo Severo Giannini per la Comunità israelitica di Roma e l'avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza emessa il 16 maggio 1979, il pretore di Roma ha sottoposto al giudizio di questa Corte la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 4, 5, 15 lett. c) e da 24 a 30 del r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731 (Norme sulle Comunità israelitiche e sulla Unione delle Comunità medesime). Riguardo a tali articoli "singolarmente considerati, nonché in rapporto al sistema normativo da essi derivante" (come si precisa nel dispositivo dell'ordinanza), il giudice a quo ha ritenuto, infatti, non manifestamente infondato il dubbio che essi contrastino con gli artt. 3, 2 e 18, 23, 24 e 102, nonché 53 della Costituzione.

    In questi termini la questione é stata dal pretore sollevata nel corso di un procedimento promosso, in base all'art. 700 c.p.c., con ricorso, in data 27 febbraio 1979, del sig. Nahum Meir, a seguito della intimazione di pagamento, rivoltagli dalla Comunità israelitica di Roma, del contributo di lire 150.000, che la Comunità, su un imponibile di lire 3.125.000, aveva posto a suo carico, in quanto appartenente alla stessa, per effetto, appunto, del r.d. n. 1731 del 1930. Nel ricorso si chiedeva al pretore - come vien riferito nell'ordinanza "di sospendere a tutti gli effetti l'appartenenza del ricorrente alla Comunità israelitica di Roma sia sotto il profilo organico che sotto il profilo del rapporto tributario; di inibire alla detta Comunità di indagare sulla posizione contributiva del ricorrente; e infine di emettere ogni provvedimento idoneo a cautelare il ricorrente dal pregiudizio, anche di ordine morale, derivantegli dalla vigente normativa". In subordine, si prospettava il contrasto della disciplina regolatrice delle Comunità israelitiche "con alcune norme della Costituzione, perché soffoca il principio della personalità, perché determina una disparità di trattamento a cagione di appartenenza a razza o a religione, comprime la libertà di associazione in quanto determina automaticamente e senza il concorso della volontà del singolo l'aggregazione alla comunità, altera i principi della capacità contributiva".

    Costituitasi in giudizio, la Comunità israelitica di Roma eccepiva, in linea pregiudiziale, la improcedibilità della domanda, in quanto il ricorrente, per evitare la definitività della sua iscrizione nella matricola dei contribuenti, aveva a disposizione il rimedio del ricorso al Consiglio della Comunità, previsto dall'art. 27 del r.d. n. 1731 del 1930; ricorso, del resto, già proposto. Eccepiva, altresì, l'inammissibilità della domanda medesima per un duplice ordine di ragioni. Innanzi tutto perché il menzionato art. 27 subordina il ricorso all'autorità giudiziaria contro l'iscrizione nella matricola dei contribuenti al previo esperimento dei ricorsi in via amministrativa. E poi per la mancanza dei presupposti voluti per l'instaurazione del procedimento speciale previsto dall'art. 700 c.p.c., "sia per essere stata richiesta" - come anche é detto nell'ordinanza - "una sospensione del rapporto tributario e del rapporto associativo con la Comunità senza necessità di abiura, quando invece era prevista la cessazione di tali rapporti con una semplice dichiarazione di dissociazione, e sia perché difettava l'imminenza ed irreparabilità del danno". Circa, poi, le questioni di legittimità costituzionale prospettate dal ricorrente, ne affermava la manifesta infondatezza.

    Sciolta la riserva espressa all'udienza di comparizione, il pretore, disattese le eccezioni proposte dalla Comunità, disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte.

    Nella motivazione dell'ordinanza di rinvio si osserva anzitutto che, essendo evidente che per decidere le sollevate questioni occorre in primo luogo verificare, sul terreno della legittimità costituzionale, se l'appartenenza del cittadino ebreo, di diritto, alla Comunità, violi o meno norme e principi della Costituzione, non può dubitarsi della rilevanza delle questioni stesse. A questo proposito, secondo il pretore, é significativo che nel ricorso si contesti non l'entità del tributo imposto, né la legittimità dell'imposizione in rapporto alle vigenti disposizioni legislative, ma la legittimità del sistema normativo che disciplina le Comunità israelitiche. Né ad escludere la rilevanza gioverebbe rifarsi alla circostanza (dalla resistente Comunità addotta, fra gli altri motivi, a sostegno della eccepita improponibilità ed inammissibilità del ricorso) del mancato esaurimento, al momento della presentazione del ricorso, del procedimento amministrativo (che peraltro sarebbe stato dal ricorrente avviato) previsto dall'art. 27 del r.d. n. 1731. Giacché - come ritenuto da questa Corte nella sentenza n. 185 del 1976 - la questione dell'asserita improponibilità dell'azione giudiziaria per omesso previo esperimento dei rimedi amministrativi, riguardando il giudizio a quo, non é suscettibile di esame nella diversa sede del giudizio di legittimità costituzionale. Per le stesse ragioni, riguardo alla sussistenza, nel caso in questione, della condizione della irreparabilità del danno (richiesta dall'art. 700 c.p.c. perché possa chiedersi il provvedimento di urgenza, ed anche essa ritenuta insussistente dalla Comunità), trattandosi, anche per questo aspetto, del giudizio a quo, non deve - si afferma nell'ordinanza - darsi precedenza al giudizio relativo ad essa. A parte, comunque, la considerazione che nel caso in questione si verte in tema di diritti della personalità costituzionalmente garantiti, la cui tutela, non attuabile mediante riparazioni pecuniarie, s'impone, anche per questo, con carattere di urgenza.

    Nel delineare, quindi, riguardo al merito, i termini della disciplina del r.d. n. 1731 del 1930, il pretore premette che l'art. 1 attribuisce alle Comunità israelitiche la qualificazione di "corpi morali" e ne individua le finalità nel "soddisfacimento dei bisogni religiosi degli israeliti secondo la legge e le tradizioni ebraiche", collegando così in un nesso inscindibile l'esistenza della Comunità con l'esercizio del culto ebraico. In correlazione con l'art. 1, il successivo art. 4 stabilisce che "appartengono di diritto alla Comunità tutti gli israeliti che hanno residenza nel territorio di essa", determinando con ciò stesso l'inserimento del cittadino ebreo nella Comunità, per il solo fatto di essere israelita, senza che da parte sua siano necessarie manifestazioni di volontà (non potendosi considerare tali le eventuali dichiarazioni di verità sul proprio status personale, come quella rilasciata dal Meir alla Comunità israelitica di Roma il 23 settembre 1973, dopo che, come risulta dagli atti, dalla Libia, dove già risiedeva, si era, con la sua famiglia, trasferito in Italia). E se é vero che nel successivo art. 5 del decreto é prevista la possibilità, da parte del cittadino ebreo, in quanto tale appartenente alla Comunità, di una dichiarazione di recesso, va anche notato che tale dichiarazione non é rimessa alla mera discrezionalità del dichiarante, essendo consentita soltanto, o in conseguenza del passaggio ad altra religione, ovvero della volontà "di non essere più considerato israelita agli effetti del presente decreto"; dal che deriva che, quanto meno di fatto, il cittadino che tale dichiarazione abbia reso non é più in grado di partecipare ai riti religiosi gestiti dalla Comunità.

    Coerente conseguenza di queste norme fondamentali, nelle quali, e soltanto nelle quali, trovano giustificazione, sono quindi - sottolinea ancora il pretore - le altre specifiche disposizioni, degli artt. 24 e segg. del decreto, concernenti particolarmente i contributi previsti a carico degli appartenenti alle Comunità israelitiche, e il potere di imporli, a queste attribuito.

    Ciò premesso, il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale degl'indicati articoli del r.d. n. 1731 del 1930 in relazione alle seguenti norme della Costituzione.

    In contrasto con l'art. 3 Cost. appaiono gli artt. 4, 24 e segg. del r.d. n. 1731 del 1930, in quanto contengono una disciplina che, sia sul terreno dello status personale, sia, e conseguentemente, sul piano della situazione patrimoniale, si fonda esclusivamente sulla razza o fede religiosa del cittadino. Né vale osservare che quest'ultimo, in base all'art. 5, ha facoltà di recesso, tale facoltà potendosi esercitare solo nelle due richiamate ipotesi, ciascuna delle quali comporta sostanzialmente una pubblica professione di fede religiosa.

    Inoltre, riguardo a quella "sorta di coattiva partecipazione ad una comunità a carattere associativo" - quale la Comunità israelitica - che gli artt. 4 e 5 e, di...

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