Sentenza nº 109 da Constitutional Court (Italy), 25 Giugno 1981

RelatoreAntonio La Pergola
Data di Resoluzione25 Giugno 1981
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 109

ANNO 1981

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente

Dott. GIULIO GIONFRIDA

Prof. EDOARDO VOLTERRA

Dott. MICHELE ROSSANO

Prof. ANTONINO DE STEFANO

Prof. LEOPOLDO ELIA

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. ORONZO REALE

Avv. ALBERTO MALAGUGINI

Prof. LIVIO PALADIN

Dott. ARNALDO MACCARONE

Prof. ANTONIO LA PERGOLA

Prof. VIRGILIO ANDRIOLI

Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Interruzione volontaria della gravidanza) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 ottobre 1978 dal Giudice tutelare di Verona sull'istanza proposta da Gava Stefania, iscritta al n. 644 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 1979;

2) ordinanza emessa il 2 maggio 1979 dal Giudice tutelare di Cuneo sull'istanza proposta da Rainisio Tiziana, iscritta al n. 481 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 237 del 1979;

3) ordinanza emessa il 24 maggio 1979 dal Giudice tutelare di Torino sull'istanza proposta da Cotugno Caterina, iscritta al n. 508 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 244 del 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1981 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Il Pretore di Verona, investito della decisione prevista dall'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, con riguardo all'interruzione della gravidanza da parte di una minore degli anni diciotto, solleva d'ufficio, in riferimento agli artt. 30 e 3 Cost. la questione di legittimità costituzionale di detta norma.

    L'art. 12 è censurato in quanto dispone che i genitori non siano informati della gravidanza della figlia minore, dove la loro consultazione sia sconsigliata da seri motivi: in via subordinata, in quanto consentirebbe all'interprete di considerare come serio motivo, agli effetti testè previsti, la "dichiarata ferma" opposizione dei genitori, per ragioni di ordine morale o religioso, alle pratiche abortive.

    Nella specie il medico di fiducia ritiene che la gestante possa essere autorizzata a decidere l'interruzione della gravidanza, per via dello stato di salute in cui essa versa, e della sua situazione familiare.

    I genitori non sono stati informati della vicenda, nè il medico si è curato, come la legge gli avrebbe permesso, di indagare sui motivi della loro mancata consultazione. La sola spiegazione addotta dalla minore di fronte al Giudice tutelare è che la madre, donna di chiesa, ed il padre, presidente delle famiglie adottive, avrebbero sempre condannato l'aborto.

    La questione, prospettata con esclusivo riferimento ai motivi che nel presente caso giustificherebbero la mancata consultazione dei genitori, non tocca le altre ipotesi considerate nel citato art. 12. La disposizione in esame prevede infatti l'intervento del Giudice tutelare quando ricorrano motivi che non solo sconsigliano, ma impediscono addirittura la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, ovvero quando queste, interpellate, rifiutano l'assenso o esprimono pareri difformi. L'uno e l'altro di questi ultimi disposti, ritiene il giudice a quo, non contraddicono la Costituzione, e concordano del resto con il sistema del codice civile, che chiama il giudice a controllare, sotto vario riguardo, l'esercizio della potestà genitoriale, fino a pronunziare la decadenza prevista nell'art. 330. La previsione che il Giudice tutelare possa decidere ai sensi della norma censurata, senza che ne siano nemmeno informati i genitori della gestante, vulnererebbe invece i seguenti precetti della Carta fondamentale:

    1. L'art. 30, che conferisce ai genitori il diritto ed il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. L'ingerenza della pubblica autorità nella sfera riservata a tale diritto - dovere sarebbe consentita, ai sensi del secondo comma dell'art. 30, solo in via sussidiaria, quando i genitori risultino incapaci di assolvere ai propri compiti.

      La statuizione che si assume violata risulterebbe poi intimamente connessa con l'altra (art. 29), in forza della quale la famiglia è riconosciuta come società naturale e salvaguardata da qualsiasi interferenza esterna, specialmente da quella statale: il vincolo scaturente dalla filiazione esigerebbe dunque che, di fronte alla difficile e spesso traumatica scelta della minore, non si precluda al genitore di recarle un aiuto, che secondo natura ed esperienza può presumersi più qualificato e producente di qualsiasi altro;

    2. L'art. 3 Cost.: prescindere dal consultare i genitori in ragione di una loro ritenuta ostilità di principio all'aborto, significherebbe discriminarli sulla base dei convincimenti di ordine religioso o morale che incidono sull'esercizio della patria potestà. Discriminazione ingiustificata, si assume, oltretutto perchè, difettando ogni previsione di un sindacato del giudice a questo riguardo, i motivi che ostano alla consultazione dei genitori finirebbero con il risultare dalle sole ed interessate affermazioni della gestante.

      Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per sentir dichiarare l'infondatezza della questione. Il giudice a quo non avrebbe correttamente interpretato la norma in esame: la quale, si dice, lo abilita a sentire la donna e poi ad autorizzarla a decidere l'interruzione della gravidanza, in considerazione della volontà e delle ragioni che essa fa valere, nonchè della relazione trasmessagli dalla struttura socio - sanitaria, dal consultorio, o dal medico di fiducia. La valutazione rimessa al Giudice tutelare prima che egli adotti il provvedimento previsto dalla legge riguarderebbe necessariamente anche la serietà dei motivi ai quali è subordinata la mancata consultazione dei genitori. Solo che questi motivi siano intesi con il rigore e la strettezza richiesti dalla gravità del problema, si dice, resta esclusa l'asserita lesione della sfera garantita alla patria potestà. In conseguenza non sussisterebbe nemmeno la diseguaglianza che il giudice a quo ravvisa nell'ipotesi - sicuramente estranea all'intento e al dettato della norma denunziata - che si ometta, o invece si curi, di interpellare i genitori secondo le opinioni religiose loro attribuite in tema di aborto.

  2. - Il Giudice tutelare di Cuneo, vista la relazione del consultorio familiare di quella città, con la quale si esprime parere favorevole all'interruzione della gravidanza di una minore degli anni diciotto, denunzia l'art. 12 ed, in quanto presupposto da tale norma, anche l'art. 4 della legge 194 del 1978. Quest'ultimo articolo prevede le situazioni che la gestante deve accusare al fine di avviare la procedura regolata nell'art. 5 ed in successive disposizioni della stessa legge. Si deduce che, così posta, la questione sia rilevante...

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