Il minore dichiarante e vittima vulnerabile, con particolare riguardo alla fase investigativa. Criticità dell'audizione a sommarie informazioni da parte della polizia giudiziaria

AutoreGiuseppe Pavich
Pagine467-473
467
dott
Arch. nuova proc. pen. 5/2012
DOTTRINA
IL MINORE DICHIARANTE E
VITTIMA VULNERABILE, CON
PARTICOLARE RIGUARDO
ALLA FASE INVESTIGATIVA.
CRITICITÀ DELL’AUDIZIONE A
SOMMARIE INFORMAZIONI
DA PARTE DELLA POLIZIA
GIUDIZIARIA
di Giuseppe Pavich
Molto si è scritto e si è detto a proposito dell’audizione
del minore, sia esso persona offesa (spesso di gravi reati)
ovvero semplice testimone, nel contraddittorio delle parti:
si tratti dell’esame dibattimentale, ovvero - con non meno
rilevanti prof‌ili critici - del contraddittorio anticipato in
sede di incidente probatorio.
Minore rilievo, nel dibattito dottrinario e nella giuri-
sprudenza, ha avuto invece l’audizione del minore vittima
o persona informata dei fatti a sommarie informazioni, nel
corso della prima fase delle indagini preliminari, sovente
demandata per buona parte alla polizia giudiziaria.
È noto che, in termini generali, l’ascolto del minore
porta con sé molteplici problemi, soprattutto in merito
alle modalità di audizione, trattandosi di soggetto in fase
evolutiva, con peculiari caratteristiche psicologiche,
particolare sensibilità e - spesso - spiccata vulnerabilità e
permeabilità a condizionamenti esterni.
Ciò vale, sicuramente, nel caso di soggetto di minore
età che abbia assistito o sia comunque informato di fatti
costituenti reato, soprattutto laddove tali fatti coinvolgano
a vario titolo soggetti appartenenti alla sua sfera affettiva
e/o familiare, ovvero si tratti di fatti particolarmente gravi
o potenzialmente suggestivi.
Ma, a maggior motivo, ciò vale nel caso del minore-
vittima, specie se egli sia stato destinatario di condotte
qualif‌icabili come gravi reati.
È del resto notorio che il minore-vittima si inscrive
necessariamente, in quanto tale, nella nozione (per vero
alquanto ampia e per certi versi sfumata) di vittima vul-
nerabile.
Vale la pena, per meglio comprendere il rilievo di tale
nozione in riferimento al soggetto minorenne, muovere
dai fondamenti di essa; con la doverosa premessa che la
condizione della vittima vulnerabile è stata largamente
posta in relazione con forme di reati caratterizzati da abu-
si, anche se essa è sicuramente riferibile a ben più ampie
categorie di reati, rispetto ai quali la posizione del minore
come soggetto passivo ne evidenzia parimenti la debolezza
soggettiva.
È comunque noto che, in particolare, le vittime dei
delitti di abusi (sessuali, familiari ecc.) versano spesso,
nei confronti del soggetto attivo, in una condizione psico-
logica di assoggettamento, che in molti casi le induce a
tacere o a negare ciò che subiscono e, anche nel corso del
successivo procedimento penale, può protrarsi e creare
loro turbamento nel momento di riferire la loro condizione
all’autorità.
Questo è tanto più evidente quando, a dover riferire
in ordine a condotte vessatorie, siano quelli che di solito
vengono def‌initi soggetti deboli: a cominciare - appunto -
dai minori, o dalle persone con menomazioni psicof‌isiche
potenzialmente inf‌luenti sulla loro condizione e, conse-
guentemente, sulla loro libertà e aff‌idabilità dichiarativa.
Questo sebbene sia vero che la nozione di soggetti deboli
non si esaurisce in queste due categorie, come dimostra il
dibattito a proposito della nozione - sovente usata, non del
tutto correttamente, come sinonimo della precedente - di
vittime vulnerabili: categoria presente nella normativa e
nella giurisprudenza sovrannazionali, ma sostanzialmente
presa in esame in relazione alle esigenze di protezione di
tali soggetti anche nell’ambito del procedimento penale,
con speciale riguardo all’impatto che su di loro possono
avere alcune attività processuali.
Le Corti internazionali tendono a dare a tale nozione
una valenza duplice, da un lato facendo riferimento alla
debolezza della posizione soggettiva della vittima (anche,
ma non necessariamente, in rapporto all’età e alle meno-
mazioni psicof‌isiche), dall’altro facendo riferimento alla
natura oggettiva dell’illecito di cui essa è stata vittima. In
def‌initiva, può affermarsi che la nozione di vittima vulne-
rabile elaborata dalla giurisprudenza e dalla legislazione
internazionale e comunitaria si estende fra una concezio-
ne oggettiva, ossia legata al tipo e alle modalità del reato e
al bene giuridico offeso, e una concezione soggettiva, ossia
legata alla personalità della vittima (1).
Viceversa, il principale riferimento a tale nozione in
ambito nazionale proviene dalla sentenza n. 63/2005 della
Corte Costituzionale, che ha di fatto esteso ai maggioren-
ni infermi di mente la possibilità di essere sentiti nelle
forme dell’art. 398, comma 5 bis, c.p.p., in precedenza
riconosciuta ai soli minorenni. Pur restando la peculiare
disciplina conf‌inata entro l’ambito di soggetti deboli
appartenenti a categorie ben individuate, la sentenza in
questione afferma: «rendere testimonianza in un procedi-
mento penale, nel contesto del contraddittorio, su fatti e
circostanze legati all’intimità della persona e connessi a
ipotesi di violenze subìte, è sempre esperienza diff‌icile e
psicologicamente pesante: se poi chi è chiamato a deporre
è persona particolarmente vulnerabile, più di altre espo-
sta ad inf‌luenze e a condizionamenti esterni, e meno in
grado di controllare tale tipo di situazioni, può tradursi
in un’esperienza fortemente traumatizzante e lesiva della

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